Rappresentanza, rapporti tra governo e Parlamento, comunicazione: i tre nodi che devono essere risolti

Non è una crisi di governo quella che, nello sconcerto internazionale, ha fatto irruzione in questo caldissimo luglio 2022. È l’ennesima prova che l’Italia sta vivendo una crisi di sistema che va compresa e affrontata con urgenza.

 

Se si adotta questa prospettiva analitica, appare di minor importanza stabilire chi abbia le maggiori colpe nell’opera di destabilizzazione del governo a guida Mario Draghi, la cui credibilità e competenza sono dai più riconosciute. Un esecutivo di unità nazionale, il suo, nato con due obiettivi, completare il piano di vaccinazione e riprogettare ed attuare il Pnrr, ma poi costretto dagli eventi a gestire con autorevolezza la delicata posizione dell’Italia rispetto al conflitto in Ucraina, con tutto ciò che ne consegue da un punto di vista geopolitico e geoeconomico, a partire da inflazione e dossier energetico.

 

Spostando il baricentro argomentativo sulle ragioni di questa crisi sistemica, che rischia di reiterarsi ad ogni legislatura, emergono almeno tre nodi sui quali riflettere.

 

Il primo è relativo alle difficoltà nella rappresentanza dei cittadini. Le formule più recenti, messe in campo sfruttando le opportunità della digital transformation con l’intento prevalente di ridurre le distanze tra elettorato attivo ed elettorato passivo, si sono rivelate fragili e precarie.

 

L’attuale legislatura, che si avvia alla fase finale, ha visto maggioranze diverse tra loro, programmi talvolta contraddittori, declinazioni identitarie differenti. E vien da chiedersi se più che la rappresentanza degli elettori non abbiano prevalso tattiche per la conservazione del potere e strategie per impedire ai propri avversari di governare. In questo quadro, anche il voto è stato sovente interpretato come uno spauracchio da evitare, più che come lo strumento funzionale a rendere simmetriche volontà dei cittadini e disegni partitici. Non si può non annotare che, solo per fare un esempio, Giuseppe Conte all’inizio è stato il nome scelto per far nascere il governo gialloverde, frutto dell’alleanza M5S-Lega. Poi è stato il nome individuato per assicurare stabilità all’Italia durante l’esecutivo giallorosso, esito dell’intesa tra M5S, Pd, Leu e Italia Viva. Da ultimo, come capo politico del Movimento fondato da Grillo e Casaleggio, è stato il soggetto posto al centro della costruzione del cosiddetto campo largo del centrosinistra.

 

Il secondo nodo, strettamente connesso al primo, è quello che induce a ritenere nelle democrazie rappresentative problematica la parziale alterazione della relazione, sarebbe meglio dire dell’equilibrio, tra Parlamento e governo, con il primo costretto a significative cessioni di ambiti funzionali al secondo in nome della, pur legittima, logica emergenziale. La crisi di questi giorni è nata per il logoramento dei rapporti tra i partiti di maggioranza che, molto diversi tra loro, ad un certo punto si sono impegnati nell’enfatizzazione delle proprie battaglie attraverso la difesa o la bocciatura di provvedimenti bandiera per recuperare il consenso perduto o stabilizzare quello acquisito. Il risultato? Aumento della conflittualità interna al governo, percezione esterna di instabilità a fronte dell’alta reputazione internazionale di Draghi e Mattarella, errata interpretazione del concetto di “politica”, che di certo non è solo “politic” (soggettualità partitica) ma soprattutto “policy” (capacità di programmazione).

 

Il terzo e ultimo nodo riguarda il primato della rappresentazione sulla rappresentanza. Sono deleteri gli effetti del processo di sostituzione della politica da parte della comunicazione. È ora di intervenire affinché tra agire comunicativo, per dirla con Habermas, e agire deliberativo vi sia più sincronia. Senza sbilanciamenti illusori e dannosi.