Solo tre miliardi di euro andranno al Sistema sanitario nazionale, che per essere al pari di quello tedesco avrebbe bisogno invece di un'iniezione di 40 miliardi. Continua così la corsa alla privatizzazione. A spese dei cittadini

E alla fine il governo Meloni partorì il topolino. Come l'Espresso aveva annunciato, la manovra finanziaria ha destinato solo bruscolini alla sanità. Eravamo stati persino ottimisti: Giorgia Meloni nel consiglio dei Ministri ha oggi annunciato che i miliardi destinati al Servizio Sanitario Nazionale sono solo tre. Insomma, il topolino partorito è pure sottopeso.

 

La presidente del consiglio ha detto che quei soldi serviranno per abbattere le liste d'attesa, perché destinerà 2,3 miliardi al contratto del comparto sanitario e alla detassazione straordinari e dei premi di risultato legati, per l'appunto, all'abbattimento delle liste d'attesa.

 

Scommettiamo che le liste d'attesa resteranno tali e quali a quelle attuali? Già i passati governi hanno tentato di invertire la rotta della crescita delle liste d'attesa destinando più risorse su questo fronte, ma senza ottenere granché, soprattutto perché le Asl e le stesse Regioni si rifiutano di fornire all'ente di controllo Agenas i dati sulle liste d'attesa. A ingolfare il sistema di prenotazione è soprattutto il fenomeno dell'intramoenia e finché una riforma della sanità italiana non metterà ordine nel sistema, il denaro destinato alle liste d'attesa rischia di restare inutilizzato. L'intramoenia è la possibilità per il cittadino di ottenere una visita specialistica da parte di un medico dell’Ssn, all’interno di un ospedale pubblico, ma pagando il cento per cento della prestazione. Come spiega all'Espresso Vittorio Agnoletto di Osservatorio Salute: «Sono i call center a suggerire ai pazienti questa formula per aggirare le liste d’attesa fuori controllo. Con tale regime guadagna il medico, guadagna tutto il personale (perché sono stati firmati contratti sindacali sulla redistribuzione degli incassi da intramoenia), guadagna l’azienda che trattiene il 40% della fattura pagata dal paziente per la visita. Chi ci perde è il cittadino, solo lui. Poiché i direttori generali sono nominati in base alla fedeltà politica e alle competenze di gestione del bilancio, è evidente che l’intramoenia diventa uno strumento fondamentale per assestare i conti e, paradossalmente, il direttore non ha alcun interesse ad abbattere le liste d’attesa, le quali, al contrario, sono la leva (sarebbe meglio dire la clava) per far lievitare il ricorso all'intramoenia». Ecco perché Regioni e Asl non forniscono dati rispetto alle liste d’attesa e fanno pochissimo per ridurle. Quindi, finché il servizio sanitario nazionale continuerà ad essere sottofinanziato e in assenza di una riforma complessiva della sanità pubblica italiana, i direttori degli ospedali, per evitare la chiusura del proprio centro continueranno a fare leva sull'intramoenia per sostenere il bilancio e, di conseguenza, a giocare sulle lunghissime liste d'attesa.
 

Ma torniamo alle parole della premier, che nel Cdm ha tacciato la stragrande maggioranza degli economisti esperti di sanità di essere bugiardi. Dice Giorgia Meloni che «con quasi 136 miliardi nel 2024 il fondo del Ssn registra il più alto investimento mai raggiunto per la sanità». Come già spiegato, il finanziamento del fondo sanitario cresce solo sulla carta: dai 123,4 miliardi del 2021 ai 125,98 del 2022, fino ai 136 del 2023, si tratta di una crescita che non contempla l'inflazione e l'aumento del Pil. E siccome il calcolo si fa sul Pil, siamo passati dal 6,4% del 2019 al 6,5% del 2023. Mentre, per arrivare a livelli di rapporto fondo/pil paragonabili a Germania e Francia, servirebbero all’incirca 40 miliardi in più l’anno, 20 per raggiungere il Regno Unito.

 

Senza una riforma del Servizio Sanitario Nazionale la sanità italiana sta velocemente scivolando verso una sostanziale privatizzazione, chiudendo un occhio sul massiccio ricorso all’intramoenia e chiudendo l’altro occhio sul sempre maggiore ricorso alle cliniche private da parte dei cittadini, così da alleggerire il ricorso alla sanità pubblica. Tutto questo a fronte di una forte contrazione dell’Ssn attraverso una politica di razionamento, coordinata dal ministero dell’Economia, per bloccare assunzioni, spese farmaceutiche e ogni singolo fattore produttivo.