Il personaggio
La parabola di un monarca assoluto di nome Aurelio De Laurentiis
Il presidente del terzo scudetto del Napoli si era convinto di essere l'unico artefice del successo della squadra. Doveva cambiare il calcio, ma per ora ha dovuto cambiare allenatore
Disse: “Ho vinto lo scudetto e ora cambio il calcio”, Il calcio è rimasto sempre quello e intanto lui, Aurelio De Laurentiis, ha dovuto cambiare due volte l’allenatore del suo Napoli: prima ci ha messo un disastroso Capitan Fracassa francese, Rudi Garcia, e ora, dopo aver cacciato il primo, un suo vecchio allenatore, uscito dal giro da parecchio, che dopo aver collezionato fallimenti a raffica si era messo dentro un business di ville di lusso da affittare in Toscana - cioè gli era passata proprio la fantasia per il pallone - per ripresentarsi però, dieci anni dopo la prima esperienza napoletana, a Castel Volturno col suo classico capello cotonato e una frase diventata subito storica: «Sono molto stanco». Essendo uno specializzato in scuse quando si perde - rimase famosa una sua frase ai tempi dell’Inter: «Purtroppo a un certo punto si è messo a piovere» - i tifosi del Napoli avevano soprannominato Walter Mazzarri, l’ultimo designato da Aurelio De Laurentiis, “O’ chiannazzaro”, cioè quello che ai funerali piange a pagamento e a comando. Adesso l’uomo cui De Laurentiis ha affidato il compito di risollevare il Napoli miseramente e incredibilmente smarrito dopo lo scudetto è già stato bollato dai social: “Walter O’ Stanco”. E così anche stavolta Aurelio ha stupito tutti.
La parabola di Aurelio De Laurentiis, il presidente del terzo scudetto napoletano o meglio del primo scudetto senza Maradona, passa da Castel Volturno, dove si trova il centro d’allenamento della squadra campione d’Italia. Il nome, Konami Center, è pretenzioso, in realtà qui è tutto in affitto e addirittura ormai il Napoli non dorme nell’albergo attiguo e nemmeno ci va in ritiro prima delle partite al Maradona. I giocatori sono liberi e se ne tornano a dormire a casa loro. In compenso Aurelio De Laurentiis, visto l’andazzo negativo della squadra, da qualche tempo ci ha installato il suo quartier generale. Ormai un uomo solo al comando, praticamente un monarca circondato da parenti stretti: il figlio Edoardo è vicepresidente, la figlia Valentina responsabile del marketing, il genero Antonio Sinicropi club manager. A loro ha affidato le leve del comando del club.
Ma dove sta De Laurentiis? Sta ovunque: Roma, Napoli, Capri, Castel Volturno, Los Angeles, fino a poco tempo fa il suo principale luogo geografico di riferimento. Si era detto tempo addietro di un appartamento comprato da De Laurentiis a Posillipo vicino all’antica residenza di Maradona, ma Aurelio una casa sua a Napoli non ce l’ha, mentre ad esempio ha almeno una dozzina di bellissimi appartamenti a Roma. E così quando scende a Napoli prende solitamente alloggio in una suite dell’Hotel Britannique a Chiaia. Vista mozzafiato sul Golfo.
È questo forse il grande equivoco di Aurelio De Laurentiis: è romano, non è napoletano. Di questo lo accusano, di non sentire il Vesuvio dentro. Di Torre Annunziata erano il padre Luigi e lo zio Dino, storica dynasty degli anni ruggenti del cinema italiano. Lui lavorativamente e forse anche mentalmente è rimasto più romano che napoletano. E ai tifosi questo non è mai andato troppo a genio. Il grande cruccio del presidente è quello di non essere amato dai suoi stessi sostenitori, che invece dovrebbero ampiamente omaggiarlo e ringraziarlo per quanto fatto. Che a prescindere da antipatia o simpatia è oggettivamente tanto.
Eppure il Napoli, Aurelio, ce l’ha ormai da quasi 20 anni (6 novembre 2004). Disse Christian De Sica: «Aurelio il Napoli se l’è comprato con Natale sul Nilo, che due anni prima aveva incassato 45 milioni». Intuì l’affare, il Napoli era fallito, e se lo comprò per una trentina di milioni, meno del valore di uno solo dei tanti calciatori che avrebbe poi acquistato: da Cavani a Higuain, da Kvaratskhelia a Osimhen. Pur arrivando dal cinema ed essendo sempre stato bollato come uno “paracadutato” nel pallone, per usare la terminologia di Mourinho, non si può dire più che non sia un uomo di calcio. Anzi, può dare lezioni di calcio a molti e addirittura ormai il pallone, nell’intero suo mondo di affari, è nettamente preponderante e supera ampiamente il cinema. Sfiora quasi il 90% del bilancio della Filmauro. Un vero ribaltone. Tant’è che nel 2018 DeLa si comprò anche il Bari, nominando presidente il figlio Luigi. Lo scorso anno il Bari sfiorò la promozione ai play off e se fosse salito in Serie A avrebbe dovuto obbligatoriamente venderlo, non essendo ammesse le doppie proprietà nella stessa categoria. Ma quando prese il grande club pugliese i tifosi del Napoli esposero lo striscione: «È da sempre che bari…».
A 74 anni e dopo aver riportato lo scudetto a Napoli 33 anni dopo Maradona De Laurentiis si è trasformato in un monarca assoluto, illudendosi di essere lui e lui solo l’artefice del successo. Più di Spalletti e il manager Giuntoli che sono scappati via, più dei gol di Osimhen, vero e proprio uomo d’oro, che è rimasto trattenuto a forza ma ormai praticamente separato in casa e in attesa di andarsene anche lui in Arabia o chissà dove per essere sommerso di tutti quei soldi che a Napoli non potrà avere mai. Del famigerato rinnovo di contratto non se ne parla e in estate Aurelio ebbe a dire agli arabi che lo ammaliavano: «Con 200 milioni non ci comprate manco un piede e magari tra un anno me ne offrirete 500». Con Spalletti si sa le cose sono finite a carte bollate e si dice che l’ex allenatore del Napoli, ora ct azzurro, abbia un diario dei suoi rapporti non sempre idilliaci col presidente.
Aurelio è narciso, egocentrico, iperprotagonista, ha sicuramente fiuto per gli affari e il copyright di un metodo di fare calcio tutto suo. Comunica attraverso i social, soprattutto X (752.000 follower), allenatori e giocatori li annuncia così, gli basta scrivere “Bentornato Walter” e il tweet viene letto un milione di volte. Ma non disdegna nemmeno, facendolo gestire dai suoi social manager, addirittura il giovanile e attualissimo Tik Tok. Su cui per altro a settembre si è consumata la rottura con Osimhen: a causa di un video in cui il giocatore veniva accostato a una noce di cocco. Il manager del giocatore accusò la società di razzismo, minacciò vie legali e costrinse a cancellare tutto.
A Bruno Vespa, il DeLa, a maggio disse: «Mi hanno offerto un miliardo per il Napoli e due miliardi e mezzo per tutta Filmauro, ma non glieli ho dati». Aurelio è esagerato, teatrale, spettacolare, certamente un grande attore, vero uomo di cinema. Da quando (luglio 2011) a Milano lasciò la sala dei sorteggi della Lega di Serie A urlando a favore di telecamere per divergenze di calendario «Teste di c…, siete delle merde!» e fuggendo via dopo aver chiesto un passaggio a un tizio che transitava in scooter. Saltò dietro e via. Roba che manco Verdone… Fino a poche settimane fa, quando in occasione dell’ufficializzazione del nuovo contratto tv, ha tolto il microfono in conferenza stampa all’ad della Lega di A De Siervo, che basito gli lasciò il banco: «Questo accordo è una sconfitta del calcio italiano, Sky e Dazn non sono competenti!». Contrariamente agli altri voleva che si desse il via al Canale TV della Lega di A. Tra i suoi alleati nel calcio il general manager della Fiorentina Barone - e infatti in estate evitò di strappare l’allenatore Vincenzo Italiano ai viola - e un tempo il presidente della Lazio Claudio Lotito, che però ora chiama “Lotrito”.
In compenso adesso politicamente sta pappa e ciccia con Vincenzo De Luca, che sponsorizza per un nuovo mandato alla Regione Campania. Da notare che in questi anni De Luca ha fatto mettere, per opere varie, una ventina di milioni sul San Paolo. Così il DeLa non deve mettercene dei suoi e tanto meno impegnarsi per andare a costruire un nuovo stadio chissà dove. Con De Magistris invece fu rottura totale e con l’attuale sindaco Gaetano Manfredi per ora fa 0-0.
Aurelio è intrigante e ingombrante, eccessivo, entra piedi pari nel calcio come ha fatto anche nel cinema. Lo diceva Massimo Boldi, uno dei protagonisti dei suoi cinepanettoni: «Mette bocca su tutto, anche sulle inquadrature». E infatti prima di cacciare Garcia, all’intervallo della decisiva partita persa con l’Empoli al Maradona, era entrato nello spogliatoio arringando la squadra, umiliando l’allenatore e di fatto esonerandolo a metà partita. » il suo metodo, assolutamente originale, ai limiti della stregoneria. Disse Carlo Verdone: «Oh, a casa sua ho trovato i corni rossi pure al bagno».