L’Onnipotente svolta senza freccia. Qui non si parla del Creatore del cielo e della terra ma dell’automobilista omega in pieno delirio. Gli studi di psicologia del traffico sono confermati dai numeri raccolti dall’Istat, dall’Aci, dalle forze dell’ordine. Nove incidenti su dieci sono provocati da conducenti che, per il solo fatto di essere al volante, pensano di governare l’universo. Questo, in condizioni di equilibrio psicofisico. Ma crescono i casi di alterazioni da alcol e, soprattutto in ambito urbano, dalle droghe che sono diventate frequenti quanto la birra di troppo. Pesa sempre di più un’iperconnettività compulsiva fatta di messaggi, telefonate e attenzione ai minischermi in dotazione alla maggior parte delle nuove vetture. Emergono i nuovi fattori di rischio come i monopattini e le bici elettriche diffuse tra i nuovi sottoproletari delle consegne a domicilio.
I dati Aci Istat dicono che il 93 per cento degli scontri gravi è conseguenza di errori umani e che la distrazione ha superato l’eccesso di velocità o le mancate precedenze come causa primaria. Le neuroscienze spiegano che la guida automatica di fatto già esiste perché il cervello guida in modo inconscio a partire dai primi 3-5 anni di esperienza dietro un volante.
In questo universo di egotismi influiscono molto anche gli scarsi controlli, le infrastrutture vecchie, le protezioni difettose. Ma un movente trionfa su tutti. È sempre colpa degli altri, degli imbecilli, dei drogati, degli inetti al volante, come una volta si accusavano quelli con la targa della provincia rivale, le donne in genere e le suore in particolare. Nel rapporto pubblicato in novembre dall’Anas e dalla sezione italiana della Piarc, l’associazione mondiale delle strade, entrambe presiedute da Edoardo Valente, c’è una differenza media di tre voti su una scala da zero a dieci nella percezione del proprio stile di guida (voto da otto in su) e di quello degli altri (insufficienza intorno al cinque).
Si è parlato anche di questo durante la giornata dedicata alle vittime della strada, domenica 19 novembre. I dati Aci-Istat del 2022 dicono che gli incidenti con lesioni sono in crescita. Il costo sociale stimato è mostruoso: 17,9 miliardi di euro all’anno, lo 0,9 per cento del pil. La cifra più terribile, relativa ai morti, conta 3159 decessi contro i 3173 del 2019. La flessione della pandemia è finita. Si muore di più nel Lazio, soprattutto a Roma e a Latina, poi in Sardegna e Puglia. La regione più sicura è l’Emilia-Romagna e le province a rischio minore sono state Brescia e Modena.
Fra le strade più pericolose si distinguono le statali. Sulla sola Pontina ci sono stati 210 morti nel 2022. Maglia nera anche per le anche le statali dell’Appennino abruzzese, per il Turchino in Liguria, per la 106 Reggio-Taranto.
Si rischia soprattutto nelle aree urbane, dove vivono 50 milioni di italiani. Per ragioni di peso demografico ai primi quattro posti, nell’ordine, ci sono Roma, Milano, Napoli e Torino che raccolgono un quinto della popolazione nazionale. Le vie cittadine sono teatro di tre incidenti su quattro, anche se il dato va calibrato. In Italia ci sono poco meno di 900 mila chilometri di strade, pari a ventidue giri intorno all’equatore. Gli 8006 chilometri di autostrade, dove avviene solo il 5 per cento dei sinistri, sono meno dell’1 per cento della rete viaria.
In un’analisi di periodo più lungo, qualcosa si è fatto. Nel 2001 c’erano stati 263 mila incidenti, centomila in più del 2022, e 7096 morti. Nel 2013, dieci anni dopo la patente a punti introdotta dal ministro Pietro Lunardi, i decessi erano crollati a 3401. Il più grave deterrente normativo, l’omicidio stradale diventato legge il 23 marzo 2016, ha portato benefici minori. In aggiunta, ci sono tutor e autovelox.
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Lorenzo Domenichini, professore emerito all’università di Firenze ed esperto di sicurezza stradale, commenta: «Più della vita altrui e propria, per chi guida sembra contare il portafoglio». Roberto Gualtieri e Beppe Sala, sindaci di Roma e Milano, tengono in piedi i bilanci con le multe. Sala primeggia in Italia con 151 milioni di consuntivo 2022 e 251 a budget 2023. Gualtieri si è accontentato di 133 milioni di incassi l’anno scorso e di un previsionale da 238,5 milioni. Ma è quasi tutta sosta vietata, con oltre mezzo milione di verbali nella capitale a oggi. Roma e provincia contano oltre 170 morti dall’inizio del 2023. Le forze della Polstrada, dei carabinieri e delle polizie municipali sono insufficienti o male utilizzate, spesso recalcitranti. I fattori di rischio durante un controllo di viabilità sono elevati, a fronte di follie come quella di Sirolo (Ancona) a fine agosto, dove un ragazzo è stato ucciso con un fucile da pesca subacquea dopo una lite per una precedenza.
Ai controllori riluttanti si aggiungono leggi vecchie. «C’è urgenza somma di modificare un quadro normativo che è fermo da trent’anni», dice ancora Domenichini. «Il Mit è latente al punto che a volte i progettisti sbagliano per seguire la legge com’è accaduto sui lavori delle Olimpiadi invernali 2026 con il bypass di Cortina in una galleria di tre chilometri. La norma impone il modello provinciale con una carreggiata a due sensi che in un tunnel è pericolosissima. Ma la galleria a doppia canna che si unisce allo sbocco non si può fare. Le norme sui nuovi dispositivi di sicurezza certificati e omologati sono del 2005-2015 ma non sono retroattive. E allora si preferisce lavorare sul codice della strada che dà visibilità mediatica istantanea. Io ho lavorato in varie commissioni tecniche ministeriali. Le bozze di nuove leggi venivano completate e poi sparivano».
Il corto circuito è esemplare nel caso delle verifiche di sicurezza chieste dall’Ue sulla rete di importanza primaria. Per gli adeguamenti dei sistemi di protezione servono esperti iscritti in un albo speciale. Per qualificarsi, oltre a lauree e curriculum, serve un corso di formazione da ripetere ogni cinque anni secondo un decreto legislativo del 2011. In dodici anni i corsi non sono stati fatti e l’albo è basato sull’autocertificazione.
Nel frattempo, il Mit guidato da Matteo Salvini riflette gli indirizzi contraddittori del titolare che vorrebbe aumentare i limiti in autostrada ma afferma che le zone a 30 kmh in città chieste dal sindaco Sala paralizzerebbero il traffico. Difficile trovare un punto medio in una città come Milano che ha creato piste ciclabili in prossimità dei mezzi pesanti, con cinque incidenti mortali in centro, in pieno giorno, a maggior gloria delle betoniere e degli autoarticolati protagonisti del boom immobiliare. E se nella metropoli del nord regna il real estate, nella capitale impera il turismo con i rischi nella circolazione che sono costati la vita a Laura Pessina in ottobre davanti al teatro Marcello sulle strisce, anche qui in pieno giorno.
Secondo alcuni esperti, la salvezza sta negli acronimi. Il primo è Alarp (as low as reasonably practicable) che è il criterio di sicurezza applicato ai sistemi stradali, sanitari, industriali in opposizione all’“obiettivo zero vittime” che, purtroppo, non ha alcuna probabilità di concretizzarsi.
Poi ci sono i Pism, i punti di incidentalità superiore alla media che erano il mantra di Giovanni Castellucci, numero uno di Aspi-Autostrade fino alla catastrofe del viadotto Morandi sul Polcevera in dibattimento alla corte d’assise di Genova. Colpa degli automobilisti distratti anche lì?
A fine settembre Castellucci è stato condannato in appello a sei anni per la strage del bus di Avellino del 2013 caduto da un viadotto autostradale con quaranta vittime. Quando non sono i manager, sono i collaudatori ad andare a processo. È accaduto con l’incidente mortale del 29 agosto 2019 sull’A14 nei dintorni di Ancona dovuto, secondo l’accusa, a una barriera mancante. I dirigenti di Aspi sono stati assolti in udienza preliminare. I tre della commissione collaudo andranno a processo e fra loro ci sono il condirettore tecnico dell’Anas, Alfredo Bajo, e l’ex capo del personale, Piero Buoncristiano.
A volte le norme nuove contrastano con parti del codice penale scritte in un’altra epoca. Nei tre articoli del codice Rocco (428, 430 e 432) che dal 1930 disciplinano la materia dei disastri nei trasporti la gravità delle pene è basata sul mezzo anziché sulla gravità dell’incidente: da cinque a dodici per la sciagura navale e aerea, da cinque a quindici per il disastro ferroviario e da uno a cinque anni per gli altri, incluso il lancio di sassi dal cavalcavia che culminò nella tragedia di Tortona del 1996.
Fabio Croccolo, referente per le strutture al Mit, terza sezione del consiglio superiore dei lavori pubblici, ha confermato l’obsolescenza tecnico-normativa del sistema durante la conferenza internazionale sulla sicurezza organizzata il 9 novembre dall’Aisico, l’associazione italiana per la sicurezza nella circolazione. «Le nostre strade seguono i criteri di sessant’anni fa», è la sua sintesi. «A Roma gli stalli di sosta sono basati sulla Bianchina, non sui Suv di oggi, che in curva hanno un ingombro tale da sbordare nella corsia opposta. Ma se si allarga un viadotto autostradale, va ricalcolata la tenuta antisismica anche se il rischio è bassissimo. Così il gestore rischia di dovere rifare l’opera da zero e preferisce non fare nulla».
L’avanzamento tecnologico, al di là dell’uso assurdo di hummer e crossover per accompagnare a scuola il pupo, ha portato avanzamenti sostanziali. È il caso dei sistemi frenanti abs applicati alle moto dal 2016 su disposizione Ue.
Altre volte, il progresso industriale ha avuto effetti sfavorevoli. Il caso più grave del 2023, con 21 morti a bordo di un pullman gran turismo precipitato da un cavalcavia a Mestre, potrebbe essere stato causato dalle pesanti batterie elettriche piazzate sul tetto. Se ne saprà di più fra tre mesi quando Placido Migliorino, l’ispettore del Mit che aveva indagato sul crollo del Morandi, depositerà la sua perizia. Per adesso, è andato in scena il classico scaricabarile delle responsabilità fra il comune veneziano guidato da Luigi Brugnaro e l’Anas su chi doveva rimpiazzare una barriera vetusta, mentre protezioni molto più recenti vengono sostituite senza reale necessità. In fondo, le istituzioni ragionano come gli automobilisti: è sempre colpa di qualcun altro.