Oltre 600 perseguitati dal regime cileno furono sottratti alla morte da una religiosa con l’appoggio della nostra ambasciata. I racconti dei sopravvissuti in un docufilm inedito

Molti dei perseguitati dal regime di Pinochet la chiamano ancora oggi «la salvadora», la salvatrice. È una suora italiana che ha aiutato centinaia di uomini, donne e bambini a rifugiarsi nella nostra ambasciata, negli anni più neri della dittatura cilena, per evitare la prigionia, le torture, la morte. Lei e altre religiose cristiane li accoglievano in conventi, case o baracche, tenendoli nascosti. Poi, di notte, li portavano alla sede diplomatica e li aiutavano uno per uno a scavalcare il muro di cinta, spingendoli con le mani. In questo modo suor Valeria ha salvato dallo sterminio «più di 600 persone», come ricordano numerosi testimoni, italiani e cileni, quarant’anni dopo il golpe sanguinario del generale Augusto Pinochet. «Lei ci ha insegnato», riassume una sua consorella, «a non avere paura quando si fa del bene».

 

Nei nostri tempi di democrazie in crisi, dittature vincenti, diritti umani ignorati e guerre feroci, la storia di questa eroica donna italiana merita di essere raccontata e studiata. Valeria Valentin nasce nel 1937 a Badia, un paese di montagna che oggi è una capitale dello sci. Ultima di sei figli, studia filosofia in Irlanda. Diventata suora, va missionaria per dieci anni in Kenya, dove impara due lingue africane e fonda una scuola per ragazzine per offrire istruzione e lavoro. «Era una suora degli ultimi», ricordano le sue colleghe. Nel 1969 riparte per il Cile. «Siamo in quattro missionari, decidiamo di andare nelle baraccopoli attorno alla capitale», ricorda suor Valeria nell’unica intervista della sua vita. «Viviamo anche noi in una baracca di legno, condividendo la povertà della gente». In una baraccopoli vicina, conosce una persona speciale, padre Carlo Pizzinini. Insieme, dopo il golpe, creano «una rete di una dozzina di persone» che aiuta gli oppositori a scappare, con la benedizione di don Fernando Aritzia, marchiato dal regime come «il vescovo rosso». Lei diventa la sua segretaria e con l’appoggio dell’intero corpo diplomatico italiano inizia a trasferire dentro diverse ambasciate, anche straniere, innumerevoli ricercati dalla famigerata polizia segreta cilena.

 

La locandina del documentario

 

In quei tre anni, ricorda suor Valeria, «io vedo la repressione del regime. All’inizio i militari eliminano tutti gli oppositori, poi ammazzano studenti, operai, sacerdoti come il nostro amico spagnolo Juan Alsina. Quindi uccidono anche i senzatetto e i bambini di strada, per “pulire le periferie”: ne vediamo i cadaveri nel fiume. I sopravvissuti ci mostrano i segni delle torture».

 

La rete nasce dall’incontro tra religiosi, personalità laiche come Mariano Puga, poi arrestato e torturato, e diplomatici come Roberto Toscano, che i sopravvissuti cileni definiscono «un eroe». Suor Valeria viene arrestata per due volte. Per salvarla interviene il cardinale Silva Henriquez, che minaccia una crisi diplomatica. Anche l’ambasciata italiana finisce nel mirino: resterà chiusa per 15 anni, fino al ritorno della democrazia. Tornata in Italia, Valeria lascia i voti e si sposa con Carlo Pizzinini. Si spegne nel 2002. «È morta in pace», dice il marito. Alla sua memoria è dedicato un documentario del  giornalista trentino Paolo Tessadri, arricchito dalle testimonianze di decine di persone che hanno conosciuto e collaborato con «la salvatrice», come la scrittrice Isabel Allende e la suora cilena Maria Ines Urrutia, che ha rischiato la vita assieme a lei.