La pratica forzosa è vietata in Italia ma largamente utilizzata in molti Paesi: in Francia sono oltre 500 l'anno le donne sottoposte a questo trattamento. E solo in nove Stati è considerata reato, mentre in Spagna è stata bandita appena tre anni fa

«Sarebbe irresponsabile partorire un figlio con la tua stessa infermità». Nella mente e nel corpo di Cristina Paradero, 31enne spagnola, autistica, queste parole sono entrate in maniera indelebile. Le ha sentite ripetere più volte dai suoi genitori, nel corso della sua adolescenza. Fin quando, a 18 anni, scoprirono che aveva dei rapporti sessuali con il suo attuale compagno e dalle parole si è passati ai fatti. Paradero ha subito una sterilizzazione forzata attraverso la chiusura delle tube di Falloppio.

 

«Il tema del sesso era un tabù, non poteva far parte della mia vita», racconta a L’Espresso. «Mio padre e mia madre non hanno mai pensato che potessi essere in grado di prendermi cura di un figlio». Oggi Paradero milita in diverse associazioni per promuovere l’impegno ad abolire la sterilizzazione forzata delle donne con disabilità nell’Unione europea: se in Spagna, infatti, la legge che permetteva tale pratica è stata abolita nel 2020, solo in nove Stati è considerata un reato. Nonostante sia in contrasto con la Convenzione di Istanbul e la Convenzione internazionale sui diritti delle persone con disabilità, almeno 13 Paesi consentono ancora alcune forme di sterilizzazione forzata nella loro legislazione: Bulgaria, Croazia, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Portogallo, Repubblica Ceca e Slovacchia. Negli ultimi tre, è autorizzata anche sui minori. Il consenso di un tutore, un rappresentante legale, un amministratore o un medico in questi Paesi può essere sufficiente per avviare la sterilizzazione di una persona con disabilità.

 

In Italia tale pratica non è consentita e, in quanto «fatto (che) produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo», è considerata circostanza aggravante del reato di lesioni ai sensi dell’articolo 583, comma 2, del Codice penale. Tuttavia, «siamo al corrente dell’esistenza di tale prassi grazie alla testimonianza di alcune donne con disabilità fisica, che si sono accorte di essere state sterilizzate in età adolescenziale, quando hanno deciso di cercare una gravidanza», afferma Luisella Bosisio Fazzi, del Comitato donne dell’European disability forum (Edf). Una zona grigia, dunque, in cui, con la scusa di particolari necessità fisiche e terapeutiche, non si esclude che nell’ambito di alcuni interventi nel nostro Paese si potrebbe negare alle donne la possibilità di diventare madri, senza il loro consenso.

 

Il tribunale di Catanzaro nel 2013 si è espresso sulla richiesta di un tutore legale di praticare l’aborto e la sterilizzazione su una persona disabile rimasta incinta, definendo «aberrante» tale prospettiva: «L’abnormità della prospettata soluzione è ancor più evidente laddove si consideri che attraverso la sterilizzazione potrebbe essere scongiurato soltanto il “rischio” che la stessa concepisca dei figli ma non che possa essere abusata da chicchessia». Un cortocircuito, dunque, che si verifica nel cuore di una comunità, quella europea, che dei diritti umani si fa con orgoglio protettrice e portavoce. «In Portogallo, di recente, abbiamo parlato con una madre che è andata dal dottore per una visita di controllo della figlia di 14 anni, affetta dalla sindrome di Asperger, senza alcun particolare tipo di supporto. Va a scuola, ha relazioni sociali. Insomma, può avere una vita perfettamente normale», racconta Sara Rocha, vicepresidente del Comitato donne di Edf e membro del Consiglio europeo delle persone autistiche.

 

Nonostante queste premesse, il dottore ha proposto alla madre di sterilizzare la figlia, che per la sua fragilità è particolarmente esposta al rischio di violenza sessuale. Come se la soluzione, anziché demandare alle istituzioni la tutela dell’integrità fisica delle persone disabili e il supporto alle famiglie che se ne prendono cura, fosse quella di privare le donne di un loro diritto. La stessa consecutio presente, del resto, nei commenti sulle vittime di stupro.

 

«Il fatto che nel 2023 le donne disabili non abbiano il potere sul loro corpo e non possano decidere se diventare madri rappresenta una grande violazione dei nostri diritti», afferma Rocha. In Portogallo, dove dal 2016 un comitato di medici è preposto a esprimersi sulle richieste dei tutori legali in merito all’opportunità di eseguire la sterilizzazione, questa è considerata addirittura come criterio di accesso ad alcuni istituti residenziali. «In Francia, in molte di queste strutture è addirittura una conditio sine qua non», spiega a L’Espresso Anne Sophie Pelletier, eurodeputata eletta con il gruppo “Left” e relatrice di un rapporto adottato lo scorso dicembre dal Parlamento europeo per mettere fine alla sterilizzazione forzata delle donne con disabilità all’interno dell’Ue.

 

Anche se approvare una norma che la vieti all’interno dei singoli Stati membri è ben più arduo compito: «C’è una proposta di direttiva ferma al Consiglio dell’Unione europea dal 2008 che, se adottata dagli Stati membri e aggiornata, potrebbe riconoscere dal punto di vista del diritto europeo l’illegalità di questa prassi». Le stime, raccolte in un reportage di Euronews Spagna della scorsa estate, parlano di 500 donne disabili sterilizzate ogni anno solo in Francia, dove, a decidere sulla richiesta del tutore legale, è un giudice tutelare. Un solo chirurgo, racconta Pelletier, può ricevere centinaia di richieste all’anno. «Bisogna cambiare la prospettiva che abbiamo nei confronti delle persone disabili: hanno il diritto di avere una vita come tutti gli altri, senza paternalismi o eccessi di protezione. Vale per l’accesso al lavoro, alla casa. E per la possibilità di disporre del proprio corpo».