Nel polo di Augusta, Sonatrach lavora a pieno ritmo malgrado le emissioni nocive. Non fa il depuratore ma finanzia gli eventi dell’estate

Eppure inquina. Chiusi gli ombrelloni, tolti i teli da spiaggia e riposti i gommoni sgonfiati, restano le ciminiere ad Augusta, nel Siracusano, dove il più grande polo petrolchimico del Mediterraneo rimane sempre attivo. Passano le stagioni, passano le inchieste, ma quelle ciminiere del polo strategico dell’economia italiana continuano a inquinare. A poco è servito il sequestro del depuratore avvenuto più di un anno fa, dopo l’indagine che ha portato a sancire il «disastro ambientale» causato dallo sversamento in mare dei rifiuti, sia quelli delle aziende sia quelli dei Comuni circostanti.

 

Dopo il sequestro, la beffa: la guerra scoppiata tre mesi prima in Ucraina e la conseguente crisi energetica dice che nulla si può fermare, lo show dell’orrore deve continuare: «Scoppia la guerra tra Ucraina e Russia e quindi interviene lo Stato il quale dice che l’impianto non può essere fermato in quanto impianto strategico – spiega Cinzia Di Modica, portavoce del comitato Stop Veleni – se avesse chiuso il depuratore, avrebbero dovuto chiudere anche gli impianti con la sola prescrizione di adeguare tutto entro 36 mesi». La Sonatrach, azienda che opera nel polo, subito dopo l’inchiesta aveva annunciato il progetto di un nuovo depuratore, mentre finanzia gli eventi dell’estate di Augusta. Le feste però non bastano. Gli occhi del comitato “Stop veleni” sono sulle ciminiere sempre attive, che a volte emettono un fumo diverso dagli altri, che non sale in verticale, come accaduto lo scorso febbraio, inducendo tutti a pensare che qualcosa non andasse per il verso giusto: «La cittadinanza andrebbe informata su quanto sta avvenendo», dice il comitato.

 

Tutto però tace, mentre l’amministrazione comunale tranquillizza gli animi, dicendo che è tutto nella norma. In fondo è sempre stato così: intanto dopo l’inchiesta per il depuratore c’è un amministratore giudiziario, ci sono 26 indagati tra controllori e controllati che facevano finta di nulla, in barba a qualsiasi regola. «Adesso, continuando, ci inquinano a norma di legge – aggiunge Di Modica – lo sanno tutti ora, ma si continua attraverso escamotage. Cercheremo di monitorare che tutti gli adeguamenti che sono stati prescritti vengano adottati. Abbiamo le armi spuntate dopo il sequestro, noi abbiamo raggiunto il risultato, ma adesso cosa dobbiamo fare?». Gli amministratori comunali non sembrano essere pervenuti in questa guerra combattuta da pochi singoli contro i colossi: «Le imprese del polo, invece di finanziare feste e accattivarsi le simpatie dei sindaci, perché non finanziano la prevenzione? Noi pressiamo le istituzioni, ma qui si fa a gara a calmare gli animi con conferenze in cui si dice che tutto va bene, è tutto nella media, è tutto tranquillo».

 

Mentre gli altri enti dicono che è tutto nella norma, il rapporto Sentieri, prodotto ogni anno dall’Iss (Istituto Superiore di Sanità) sui siti di interesse nazionale, su questo triangolo della morte in cui la bonifica è ancora lontana dall’essere effettuata, scrive che persistono: «Eccessi di patologie specifiche che riconoscono tra i fattori di rischio l’esposizione a sostanze presenti nel sito e considerate contaminanti prioritari […] eccessi di tumore alla mammella data l’esposizione a contaminanti presenti nel sito». E ancora: «Eccessi di mortalità e ospedalizzazione per malattie dell’apparato urinario e la presenza nel sito di contaminanti che hanno un effetto nefrotossico, come i metalli pesanti, solventi».

 

Nel mare in cui si fa il bagno nel mercurio e anche i pesci nascono con la spina bifida, la Procura di Siracusa ha messo gli occhi più di tre anni fa e dopo indagini e rilievi è giunta alla conclusione che ha confermato i pensieri di migliaia di persone che negli anni sono scese in strada per protestare contro l’inquinamento e le emissioni del polo: secondo le perizie, «l’esercizio continuo dell’impianto consortile di Priolo Gargallo che genera costantemente la immissione di idrocarburi in acqua senza alcun controllo da parte del soggetto gestore determina una compromissione e un deterioramento della matrice acqua anche indipendente dal suo uso».

 

Questo inquinamento però accade da 40 anni e non si è fermato neanche dopo l’indagine che ha acceso i riflettori sull’impianto di proprietà della Regione siciliana e gestito da Industria Acqua Siracusana (Ias) in cui scaricano decine di aziende che arrivano da tutto il mondo, a cominciare dalla russa Lukoil, e dove si lavorano 14 milioni di tonnellate di greggio all’anno. Il depuratore, seppur sotto sequestro non può essere fermato. Secondo l’inchiesta, anche l’aria, irrespirabile per chi si avvicina al polo, ha subito soltanto negli ultimi anni l’emissione non legale di 77 tonnellate di idrocarburi e agenti inquinanti all’anno.

 

Se con una indagine si sono materializzati i fantasmi di chi negli ultimi anni ha combattuto questo disastro visibile a tutti, uno dei protagonisti delle proteste è stato allontanato dalla sua Augusta. È don Palmiro Prisutto, che ogni 28 del mese gridava nella chiesa madre di Augusta tutti i nomi delle persone che sono morte a causa di tumori e per cui ha celebrato i funerali, una lunga lista (chiamata piazza martiri del cancro) ben più attendibile del registro tumori della provincia siracusana per il quale va tutto bene. Ufficialmente don Palmiro avrebbe «turbato la comunione ecclesiale», ma lui a questa storia non ha mai creduto: «Non ci sono motivi strettamente pastorali per il mio allontanamento dalla chiesa di Augusta – racconta – i poteri forti sono scesi in campo per fermarmi».