Al concorso per docenti viene richiesto un sapere tecnicistico, quando occorrerebbero persone capaci di formare i giovani per le sfide del futuro. Ma la scuola è lo specchio del Paese: un luogo vecchio e immutabile

Non è nemmeno rabbia, è qualcosa di più: un sentimento di frustrazione ancestrale, la voglia di urlare, l’assistere a uno scempio. Ora mi spiego. «L’equazione malthusiana evidenzia che la popolazione cresce secondo una progressione geometrica e le risorse secondo una progressione aritmetica oppure che la popolazione cresce in proporzione dimezzata rispetto all’incremento delle risorse?». «Chi fu Gneo Pompeo Magno?». Oppure: «Nel Piano nazionale Scuola digitale agli ambienti per la didattica digitale integrata è dedicata l’azione 4, l’azione 7, l’azione 10 o l’azione 8?». Ecco lo stato in cui è ridotto il nostro Paese, illustrato in alcune delle terribili 50 domande a crocette del concorso per insegnare italiano (a crocette sono più facili da correggere, volete mettere far scrivere qualcosa ai futuri professori, o anche semplicemente chiedere alle commissioni di esaminare degli scritti, magari prodotti a mano e non al computer?) nelle scuole medie e superiori.

 

Giuro che non scherzo, potete leggerne altre sul sito del ministero, se avete voglia. Per avere accesso alla prova orale bisogna passare questa tagliola di tecnicismo e nozionismo, non solo stupido ma dannoso.

 

Siamo preoccupati che l’intelligenza artificiale ci rubi il lavoro, ma non ci rendiamo conto che vogliamo sempre di più assomigliarle. L’idea che un insegnante, per diventare tale, debba ricordarsi dei contenuti come quelli sopra citati è profondamente sbagliata. Fossi uno che si ricorda se la Dictatus papae «fu compilata da Gregorio VII nel 1075 o da Lotario dei conti di Segni, futuro papa Innocenzo III, nel 1195», probabilmente starei a un convegno assieme ai più grandi storici del mondo, non in una scuola media in provincia di Reggio Emilia per lo stipendio più basso d’Europa. Sarei un genio, di euro ne vorrei cinquemila al mese solo per essere chiamato in causa e rispondere alle e-mail.

 

Guardate che non ricordarsi una nozione è normale, capita anche ai docenti. Per questo nei giorni precedenti alle lezioni quei poveretti studiano. È una parte del loro lavoro, oltre al prendersi cura di adolescenti per cui non sono formati perché non esiste un corso universitario per quella figura professionale. Uno si laurea in Lettere, Architettura, Economia, poi lo sbattono lì in mezzo ai vostri figli e nipoti senza avergli mai fatto studiare psicologia e dinamiche degli adolescenti. Appena messo sotto pressione dalla classe reagirà sfogando rabbia e incompetenza su dei ragazzini, segnandoli a vita. Il bello? Sarà abilitato da concorso per farlo.

 

Se secondo voi questo è un problema che riguarda solo gli insegnanti, vi comunico che state sbagliando. Il nostro Paese è fermo, cresce pochissimo, le prospettive per il domani con la concorrenza straniera sono spietate, abbiamo bisogno di generazioni future rampanti e altrettanto di insegnanti in grado di aiutarle a compiere grandi imprese. Invece niente, appena uno legge la parola “scuola” nel titolo di un articolo passa oltre perché sa che tutto, dalla giustizia alla sanità passando per la pubblica amministrazione, è ormai immutabile in Italia. Ecco quindi che la coscienza civile si manifesta solo per i pandori di Chiara Ferragni, per un commento di Selvaggia Lucarelli, per cause sempre più totalizzanti e vacue. Scritta male sui social, ma lì si sa: la colpa è della scuola.