Pane al pane
Carlo Cottarelli: «Le previsioni di crescita del governo sono troppo ottimiste»
Aumentano gli occupati, ma il lavoro è a scarsa produttività. L'inflazione è scesa, ma l'economia è frenata dai tassi d'interesse ancora alti. E i conti pubblici non sono in ordine. Le prospettive non sono rosee come dichiara l'Esecutivo
A inizio anno è utile fare il punto sulla situazione macro-economica del nostro Paese. Cominciamo da quanto viene prodotto in Italia, ossia dal Prodotto interno lordo (Pil). Dopo il crollo nel 2020 causato dal Covid-19, la ripresa è stata più rapida del previsto, per noi e per tutto il mondo. A metà 2021 avevamo già recuperato il livello di produzione pre Covid-19. Sull’onda di politiche monetarie e di bilancio ancora espansive, la crescita è stata rapida fino al secondo trimestre del 2022.
Poi, col cambiamento di orientamento delle politiche monetarie causato dall’inflazione, c’è stata la frenata: dal secondo trimestre del 2022 al terzo del 2023, la crescita media trimestrale del Pil reale è stata solo dello 0,1%. In media annua nel 2023 il Pil dovrebbe essere cresciuto dello 0,7%. Il governo prevede una crescita dell’1,2% nel 2024. Per arrivarci sarebbe necessario un aumento del tasso di crescita trimestrale dallo 0,1% allo 0,3%. Difficile che questo avvenga in presenza di politiche di bilancio e monetarie certo non espansive (vedi sotto). Più probabile che il Pil cresca dello 0,6-0,7%, come nel 2023.
Occupazione: negli ultimi trimestri è aumentato rapidamente sia il numero degli occupati sia quello delle ore lavorate, forse anche per effetto di un ritorno al mercato del lavoro (o una riemersione statistica) di persone che percepivano il reddito di cittadinanza o forme di sussidio sorte nel periodo Covid-19. Fatto sta che un’occupazione in crescita (1,8% in termini di ore lavorate nell’anno concluso col terzo trimestre del 2023) e una produzione quasi ferma (0,1% nello stesso periodo) comportano che la produttività del lavoro (il prodotto per ora lavorata) sia scesa dell’1,7%: si stanno creando posti di lavoro a bassa produttività, il che non è una buona notizia. Guardando in avanti, è probabile che l’aumento dell’occupazione sia più modesto che nel passato recente, a meno di sorprese in termini di crescita del Pil.
Inflazione: buone notizie su questo fronte. La stretta monetaria operata dalle principali banche centrali del mondo (inclusa la Bce) ha frenato la crescita dei prezzi, a partire da quelli delle materie prime. Anche se nell’area dell’euro il tasso d’inflazione nei dodici mesi conclusi nel dicembre scorso è ancora superiore all’obiettivo della Bce (2,9% contro il 2%) da settembre in poi l’aumento dei prezzi (al netto della stagionalità) è stato quasi zero. L’inflazione è sconfitta e la Bce farebbe bene a ridurre i tassi di interesse già a gennaio-febbraio. Ma temo che sarà più cauta, frenando troppo la crescita economica.
Conti pubblici: il deficit è previsto calare dal 5,3% al 4,3% del Pil, ma questa discesa è dovuta interamente al fatto che i bonus edilizi (superbonus e altro) sono contabilizzati quasi per intero solo fino al 2023. Al netto di questo effetto, non c’è nessuna riduzione del deficit e la politica di bilancio è più o meno neutrale. Questo in termini di obiettivi. Con una crescita economica più bassa, le entrate dello Stato saranno inferiori al previsto, deficit e debito pubblico saranno più alti e, a meno di uno sforzo intenso per tenere la spesa sotto alle previsioni, il rapporto tra debito e Pil, previsto stabile al 140% circa, potrebbe aumentare un po’. A fine anno dovremmo trovarci a circa 3 trilioni di debito, un bel primato.