Il disastro
Una persona su 100 che abitava nella Striscia di Gaza è morta. In meno di 4 mesi
Dall'inizio dell'operazione di Israele, sono oltre 24mila le vittime. E 8 abitanti su dieci non hanno più la casa. Intanto il Medio Oriente si infiamma tra Iran, Pakistan, Iraq, Siria e Mar Rosso
Una distesa di tende senza fine riempie ogni spazio libero. Tra gli edifici rimasti in piedi dopo i bombardamenti, a Rafah, ormai dall’inizio di dicembre, da quando le operazioni militari di terra stanno distruggendo anche il Sud della Striscia di Gaza, vivono circa un milione e mezzo di persone. Scappate dalle zone in cui il conflitto armato è più intenso, dormono sotto teli di plastica tenuti in piedi da quattro assi di legno. Che non proteggono né dalla pioggia né dal freddo. Che non assomigliano per niente alle case abbandonate di fretta per non morire durante le esplosioni. Sebbene le bombe colpiscano anche i luoghi in cui chi ha perso tutto si rifugia. Anche a Rafah, al confine con l’Egitto, vicino al valico da cui gli aiuti umanitari che entrano non sono sufficienti per sostenere una popolazione allo stremo. Anche al Sud, dove l’esercito israeliano aveva intimato ai palestinesi di cercare la salvezza.
Più dell’85 per cento della popolazione della Striscia è sfollato, almeno 1,9 milioni di persone. Più dell’1 per cento, oltre 24 mila, è morto. Più di 60 mila sono i feriti. Da quando sono iniziati i raid delle Idf a Gaza, in risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.
«La situazione è gravissima», Sami Abu Omar, cooperante tra i responsabili del Centro di scambio culturale italo-palestinese Vik, dedicato a Vittorio Arrigoni, lo ripete durante ogni telefonata: «La situazione è gravissima, non abbiamo acqua perché senza elettricità non funzionano i depuratori. La situazione è gravissima, non abbiamo niente da mangiare, anche gli animali soffrono la fame. Quei pochi rimasti sono magrissimi. La situazione è gravissima, non abbiamo più carburante e gas. La situazione è gravissima, nei negozi non c’è niente da comprare e i prezzi dei generi alimentari al mercato nero sono troppo alti. La situazione è gravissima, le persone si ammalano ma gli ospedali non funzionano. La situazione è gravissima, abbiamo sei bagni ogni 600 mila sfollati».
Abu Omar si è spostato a Rafah con la famiglia, dopo che la città di Khan Yunis, dove viveva, è diventata il fulcro delle operazioni militari di terra. Parla da una delle tende che riempiono l’area. Sotto la sua, si sentono le voci della vita che resiste attorno. «Ma per quanto? – si chiede – La situazione è gravissima».
Per il Sudafrica, molti Paesi a maggioranza musulmana e oltre mille organizzazioni, partiti, sindacati di tutto il mondo che sostengono Pretoria nella causa che ha intentato contro Israele alla Corte internazionale di Giustizia dell’Aia, le azioni che sta compiendo Benjamin Netanyahu da tre mesi nella Striscia «mostrano un modello sistematico di condotta da cui si può dedurre un genocidio». Accusando così Israele di violare la “Convenzione per la prevenzione e la punizione del crimine di Genocidio” varata nel 1948, attraverso un preciso piano contro i palestinesi di Gaza che Tel Aviv starebbe portando avanti uccidendo i civili e impedendo loro di avere accesso a cibo, acqua e cure mediche.
A sostegno dell’accusa, oltre al fatto che il 70 per cento delle vittime sono donne e bambini, il Sudafrica ha ricordato le dichiarazioni di alcuni esponenti del governo israeliano: «Stiamo combattendo contro animali umani», aveva detto il ministro della difesa Yoav Gallant. «Quando diciamo che Hamas dovrebbe essere distrutto, intendiamo anche coloro che festeggiano, coloro che sostengono e coloro che distribuiscono caramelle: sono tutti terroristi», dichiarava il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir. «Non esistono civili non coinvolti a Gaza», aveva spiegato Amihai Eliyahu, ministro del Patrimonio, in un’intervista in cui sosteneva che sganciare la bomba atomica sulla Striscia avrebbe potuto essere una possibilità.
Per il Sudafrica, prima della sentenza per cui ci vorrà tempo, la Corte Onu potrebbe imporre misure cautelari ordinando a Tel Aviv di cessare i bombardamenti, consentire l’accesso di più aiuti umanitari. Per Israele che si è difeso, «a Gaza non è in corso nessun genocidio». Secondo l’avvocato Tal Becker, l’intero caso si basa su una «descrizione deliberatamente decontestualizzata e manipolativa della realtà delle ostilità». Il Sudafrica sta tentando di «utilizzare il termine genocidio come un’arma contro Israele» e anche cercando di «contrastare il diritto intrinseco» del Paese a difendersi.
«Nessuno ci fermerà, né L’Aia né l’asse del male e nessun altro». Così il premier Netanyahu ha commentato il dibattimento alla Corte penale internazionale durante un discorso televisivo. Anche se la «fase intensiva» dell’attacco nel Nord della Striscia dovrebbe essere terminata, stando alle parole del ministro della Difesa Gallant, sotto pressione da Washington per ridurre l’intensità dell’aggressione. E presto si concluderà anche quella nella zona di Khan Yunis e nel Sud.
Ma le intenzioni di Israele non sono chiare: dopo più di 100 giorni dall’inizio del conflitto non si intravede nessuna pace possibile. Mentre a Gaza la strage continua. E la tensione sale anche in Cisgiordania dove è in atto un’ondata di violenza «e attacchi da parte delle forze israeliane che non si vedevano dai tempi della seconda Intifada, dal 2000 al 2005», scrive Al Jazeera. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, le forze israeliane hanno ucciso 30 palestinesi, tra cui sette bambini, in Cisgiordania nei primi 15 giorni dell’anno. L’anno scorso sono stati uccisi 507 palestinesi.
«Nel mese successivo all’attacco di Hamas del 7 ottobre, più di 800 palestinesi sono stati sfollati dalle loro case in Cisgiordania in un contesto di crescente violenza da parte del movimento radicale dei coloni israeliani, che da tempo persegue l’obiettivo di espellere i palestinesi ed espandere l’impronta ebraica nei territori occupati», si legge nell’inchiesta esclusiva con cui il Washington Post ha svelato i retroscena dell’uccisione del 17enne Obada Saed Abu Srour nel villaggio di Qusra, lo scorso 11 ottobre, colpito alla schiena probabilmente dai coloni del vicino insediamento di Esh Kodesh, mentre stava scappando. La polizia sta indagando sulla vicenda perché sembrerebbe che le truppe israeliane non siano intervenute per fermare l’attacco nonostante fossero obbligate dal diritto a proteggere tutti i residenti della Cisgiordania, compresi i palestinesi. «A tutti i topi nelle fogne del villaggio di Qusra vi stiamo aspettando e non avremo pietà. Il giorno della vendetta sta arrivando», avevano scritto i coloni di Esh Kodesh su Facebook qualche giorno prima dell’attacco.
«È mio dovere rivolgere questo messaggio semplice e diretto a tutte le parti: smettetela di giocare con il fuoco lungo la Blue line, allentate le tensioni e mettete fine alle ostilità», ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres a proposito dell’intensificarsi degli scontri al confine con il Libano tra l’esercito israeliano e Hezbollah, che causano morti da entrambi i lati. Soprattutto dopo l’uccisione del leader militare Wissam Tawil, in un attacco israeliano. «Siamo sempre pronti alla guerra. Sono gli israeliani che hanno paura», ha commentato Hassan Nasrallah, il capo dell’organizzazione sciita Hezbollah.
Ma le ostilità non si stanno intensificando solo lungo la Blue line. Gli houthi non smettono di prendere di mira le navi che attraversano il Mar Rosso neppure dopo gli attacchi di Stati Uniti e Regno Unito,alle loro basi in Yemen. «Lo Yemen si trasformerà nel cimitero degli americani e questi lasceranno la regione umiliati», ha fatto sapere Ali Al-Qahoum, uno dei leader degli houthi, gruppo armato sostenuto dall’Iran. Che nel frattempo ha iniziato a vendicare gli 84 morti degli attentati di Kerman, avvenuti durante le celebrazioni per Qasem Soleimani, il leader dei pasdaran ucciso dagli americani il 3 gennaio 2020. «I missili balistici sono stati usati per distruggere centri di spionaggio e raduni di gruppi terroristici anti-iraniani», in Iraq e Siria, hanno detto dal Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, che riferisce di aver colpito il quartier generale dell’agenzia di spionaggio israeliana Mossad a Erbil: quattro persone uccise e sei ferite. Almeno nove, tra cui quattro bambini e tre donne, secondo i media locali, sono quelle, invece, rimaste uccise in seguito agli attacchi sulla città iraniana di Saravan, nella provincia sudorientale del Sistan e Baluchistan effettuati dal Pakistan dopo che l'Iran ha colpito nel suo territorio alcuni obiettivi definiti «terroristici».Civili che proprio come a Gaza, come nel caso degli ostaggi israeliani rapiti da Hamas o come per la donna uccisa e le 17 persone ferite durante l’attentato a Ra’anana, vicino a Tel Aviv, all'inizio della settimana, pagano il prezzo più alto.