Il dossier
Come la guerra ha cambiato gli affari: la Russia si lega a Cina e India. E ci guadagna
Mentre Kiev si è legata all'Occidente, Mosca ha sostituito con l'Asia il mancato apporto di capitali europei grandi acquirenti di gas (tra cui l'Italia) e non ha subito danni commerciali dopo aver scatenato il conflitto bellico, anzi. Aver rotto con i russi è un danno anche per gli imprenditori italiani
Parliamo di denaro, se il Donbass non interessa. Non ce ne siamo accorti, noi italiani, forse perché «stanchi» (deprimente citazione dei politici telegenici) di questi ucraini che, caspita, non vogliono arrendersi, ma in due anni di guerra l’economia mondiale e l’economia nostrana a rimorchio hanno corretto i propri confini senza attendere piani di pace. Lo certificano le analisi dell’ufficio studi di Ice (Istituto per il Commercio Estero) su dati Istat, Eurostat e di altri Istituti nazionali di statistica.
Prima l’Italia, poi il mondo intero. Con una pedante avvertenza: l’autonomia italiana in uno scenario internazionale non può esistere. Non per improvvisa cessione di sovranità, ma per la deliberata scelta, non facilmente revocabile, di appartenere all’Unione Europea e all’Alleanza Atlantica. Con i suoi benefici. E con i suoi limiti. Se vi dicono la Nato manda armi a Kiev e l’Italia no, non ci credete. Se vi dicono l’Unione Europea non prende più metano da Mosca e l’Italia sì, non ci credete. Certo pedante, però necessario. Dunque l’Italia ha interrotto gli scambi con la Russia e di fatto ha smantellato una cooperazione – squilibrata perché la Russia ha risorse energetiche e l’Italia ha prodotti finiti – durata oltre vent’anni e rafforzata dai governi di centrodestra e anche di centrosinistra. Fra il 2018 e il 2019, una epoca lontana che non ha scontato pandemia, inflazione, aggressione russa, Roma esportava verso Mosca merci per circa 7,5 miliardi di euro e ne importava da Mosca per circa 14,5 miliardi di euro (la Russia era il principale fornitore di gas). Questi 14,5 miliardi che l’Italia versava a Mosca, soprattutto per metano e petrolio, sono diventati 18,6 nel 2021 per l’aumento dei prezzi e addirittura 27,1 miliardi nel 2022. Cioè nel 2022, anno di conflitto, di embarghi, di rescissioni, pure l’Italia ha sorretto l’economia di guerra russa e le ha concesso il tempo di riorganizzare le rotte. Per acquisto di materiale di provenienza russa, l’Italia era al quarto posto nella classifica mondiale, preceduta soltanto da Cina, India e Turchia. Le esportazioni italiane a Mosca sono crollate presto: -24 per cento già nel 2022, -23 per cento nel 2023 (la media arriva a ottobre) e ormai siamo attorno ai 5 miliardi di euro, un paio di anni fa erano 7,6. La ricerca di nuovi venditori di metano per affrancarsi da Vladimir Putin, avviata col governo di Mario Draghi e conclusa col governo di Giorgia Meloni, ha quasi azzerato le importazioni da Mosca: -85 per cento, da 27,1 miliardi nel 2022 a neanche 5 nel 2023 (3,7 a ottobre). Adesso il metano in varie forme e vari modi proviene da Algeria, Azerbaijan, Qatar, non proprio fiorenti regimi democratici.
Il rapporto commerciale con l’Ucraina è marginale per l’Italia. Lo era in una stagione di pace apparente. Lo è in una stagione di guerra devastante. Abitualmente Roma spedisce a Kiev macchinari per le fabbriche e prende da Kiev grano e mais. Le esportazioni sono cresciute e siamo vicini al picco di 2 miliardi di euro toccato nel 2020, logicamente le importazioni calano per la guerra che ha distrutto o quantomeno sospeso le imprese ucraine di ogni tipo. Per mera curiosità, tabacco e bevande “made in Italy” sono richieste con costanza da Kiev, mentre Roma ha importato «altri alimenti» (zucchero, cacao, caffè) da Kiev per decine di milioni di euro nel 2023, in passato erano assai di meno.
A Bruxelles e Washington nessuno si è stupito del risultato eccezionale per le esportazioni russe nel primo anno di guerra (488,9 miliardi nel 2022), un caso unico derivato dai tassi di inflazione, invece molti devono stupirsi del 2023: oltre 300 miliardi sui livelli del 2018 e del 2019. Più che la cifra in sé, stupisce la capacità di Mosca di modificare repentinamente la destinazione delle merci. Come detto, per esempio, l’Italia ha troncato le importazioni dalla Russia (-85 per cento), in linea con Germania (-90), Francia (-80) e Spagna (-75) e anche con Stati Uniti (-70), Australia (-98), Giappone (-55) e Canada (-92). Europa, Stati Uniti e alleati di emisferi diversi hanno isolato lo Stato paria di Putin, ma Putin li ha sostituti con due potenze mondiali che assieme fanno 2,8 miliardi di abitanti, Cina e India.
Pechino ha sfondato il muro dei 100 miliardi di importazioni da Mosca nel 2022 e nel 2023 ha fatto di più con un rialzo – registrato fino a ottobre – del 9,1 per cento. Nuova Delhi ha relazioni più acerbe con Mosca, cinque anni fa i suoi acquisti in Russia erano contenuti, circa 5,7 miliardi di euro, nel 2022 hanno sfiorato i 33 miliardi e nel 2023 sono raddoppiati. L’interscambio Russia-Cina è solidissimo e abbastanza bilanciato con Pechino che è da sempre in cima alla lista degli esportatori per Mosca: 56 miliardi nel 2022, circa 100 nel 2023. L’India compra molto russo, vende poco ai russi.
Chiuso il mercato occidentale, la Russia si è consegnata ai cinesi, è diventata più asiatica e più presente in America Latina: fa affari con Hong Kong, Singapore, Indonesia e altrove con Brasile e Argentina. In Africa ha la Costa d’Avorio. Per le merci di Mosca in entrata o in uscita è centrale la Turchia, l’ambigua Turchia che è parte dell’Alleanza Atlantica e snodo commerciale per Putin. Il miglior cliente di quel che rimane dei prodotti ucraini è la Polonia. Kiev compra essenzialmente da Polonia e Germania, e si è legata in prevalenza ai Paesi che sostengono la sua resistenza e che poi si aspettano di tirarla su. Per giugno in Polonia è previsto un incontro, l’ennesimo, della conferenza per la ricostruzione in Ucraina. A cadenza frequente, imprenditori, istituzioni e politici si danno appuntamento per immaginare l’Ucraina di domani.
Oggi non sappiamo cos’è l’Ucraina di domani. Quant’è larga. Quant’è lunga. Quant’è rasa al suolo. Quello che sappiamo, col crudo esame degli scambi commerciali, è che il 24 febbraio 2022, al primo razzo lanciato, al primo parà atterrato a Kiev, l’Ucraina e la Russia si sono spostate sul mappamondo. L’Ucraina è entrata nel mercato di sorveglianza americano-europeo. La Russia si è rifugiata nel mercato alternativo a quello americano-europeo, un mercato più energico poiché più giovane che riunisce Cina e India, peraltro in competizione fra loro.
La guerra che ha «stancato» non è finita e non è finita la contesa, metro per metro, di quei territori ucraini che i russi hanno occupato. La pace che verrà, e in qualche modo verrà, fisserà i due fronti. Di qua un mondo con una andatura, di là un mondo opposto. Niente di sorprendente. Se non la stoltezza di chi non se ne cura. Se il Donbass non interessa, parlate almeno di denaro. I sondaggi non ne patiranno.