Il leader russo accusa quello ucraino di aver rinunciato ai negoziati per colpa delle pressioni occidentali. Ecco a quali episodi fa riferimento. E perché le cose non stanno proprio così

Non è un caso che proprio adesso Vladimir Putin accusi Volodymir Zelensky di essere il vero ostacolo alla pace. Il momento è delicato: mentre l’economia russa è stata messa sul piede di guerra, l’aiuto occidentale sembra meno granitico. L’ultima tranche di sostegno americano (60 miliardi di dollari) stenta a passare al Congresso; l’Europa invece ha sbloccato la sua, ma con gran fatica per via dell’ostruzionismo di Viktor Orbán – e a dire la verità non è un pacchetto così generoso, 50 miliardi di euro spalmati in quattro anni, una somma pari a circa lo 0,08% del Pil dell’Unione europea in quel lasso di tempo. E anche il sostegno delle opinioni pubbliche occidentali pare più incerto.

 

In Italia, ad esempio, gli ultimi sondaggi dicono che solo il 41% è favorevole all’invio di armi all’Ucraina, il numero più basso dall’inizio della guerra. Tutto questo mentre la battaglia sul campo è in una fase di stallo. La controffensiva ucraina ha fallito e ora tocca ai russi attaccare. Ma torniamo alle accuse di Putin. Periodicamente lo Zar dice che il vero guerrafondaio è Zelensky. O meglio: Zelensky, sostiene Putin, avrebbe potuto anche fare la pace, ma è stato spinto dagli alleati – soprattutto gli americani e gli inglesi – a continuare a combattere, col preciso scopo di logorare la Russia. «Che idioti… Poteva essere finito tutto due anni fa… Questo dimostra che non sono indipendenti. È chiaro a tutti e al mondo intero».

 

Di cosa sta parlando Putin? È la storia dei colloqui interrotti di Istanbul. Bisogna tornare indietro alle prime settimane di guerra, quando il leader del Cremlino aveva provato a conquistare Kiev e non c’era riuscito. A fine marzo del 2022 i diplomatici di entrambe le parti si ritrovarono nella capitale turca, e a quel punto le pretese russe sembravano ammorbidirsi. I detrattori di Zelensky dicono che c’era la possibilità di trovare un accordo. Il tema principale sul tavolo: la neutralità dell’Ucraina. Quegli incontri di Istanbul sono emersi come uno dei punti chiave delle diatribe tra Ucraina, nazioni occidentali e Russia.

 

Alcuni sostengono che l’Ucraina all’epoca perse l’occasione di porre fine alla guerra. Cosa andò storto a Istanbul? E fu davvero un’occasione sprecata da Kiev? Di certo le trattative furono rese molto più difficili – forse impossibili – dal massacro di civili ucraini scoperto dopo il ritiro delle truppe russe da Bucha. E poi c’è la questione delle interferenze occidentali. La propaganda di Putin batte incessantemente su questo punto. Ma è un tema che viene tirato fuori anche da commentatori occidentali (molte volte anche in Italia). Come prova di queste presunte ingerenze ci sarebbe il contenuto di un articolo di Ukrainska Pravda, quotidiano ucraino. Fonti anonime dell’entourage di Zelensky hanno riferito al giornale che la controparte russa sembrava pronta a un incontro tra Putin e Zelensky. Poi quel processo si è interrotto. E sarebbe accaduto in concomitanza con il viaggio di Boris Johnson, all’epoca primo ministro inglese, atterrato improvvisamente a Kiev il 9 aprile 2022.

 

Ecco cosa scrive di quella visita Ukrainska Pravda: «Johnson portò a Kiev due semplici messaggi. Putin è un criminale di guerra, bisogna fare pressione su di lui, non negoziare. E in secondo luogo, anche se voi (ucraini) siete pronti a firmare accordi sulle garanzie (di sicurezza), noi (Regno Unito) non lo siamo. Possiamo firmarli con voi, ma non con lui (Putin), che comunque non li rispetterà».

 

Fu vera ingerenza? Perché gli ucraini si tirarono indietro? Un resoconto grossomodo simile esce fuori da un’altra intervista, quella rilasciata da David Arakhamia, parlamentare del partito di Zelenksy, “Servitore del Popolo”, e capo della delegazione che intavolò i negoziati con la Russia. Arakhamia racconta che i negoziatori russi erano arrivati a proporre un cessate il fuoco; in cambio chiedevano che l’Ucraina accettasse di non aderire alla Nato. «Dicevano di essere pronti (i russi) a finire la guerra, se noi avessimo adottato la neutralità, come a suo tempo fece la Finlandia».

 

L’intervista di Arakhamia viene citata di continuo come prova della nefasta mano occidentale. La storia però è più complicata di così. Il giornalista Roman Romaniuk, autore dell’articolo di Ukrainska Pravda, afferma di non essere d’accordo con chi dà la colpa a Johnson per il naufragio del negoziato di pace. Secondo Romaniuk, Johnson non era lì per ostacolare l’accordo, semplicemente espresse il suo scetticismo verso Putin, e questo scetticismo era condiviso dal team di Zelensky. Il fatto che mancasse fiducia è confermato da Arakhamia. «Non ci fidavamo dei russi».

 

Come fidarsi del resto? Il ministro degli Esteri Sergej Lavrov mentiva fino a pochi giorni prima dell’invasione, per lui le truppe russe al confine con l’Ucraina si stavano solo esercitando. C’era quindi un enorme sospetto che il negoziato fosse una strategia per prendere tempo e poi riattaccare, usando la Nato come pretesto. La verità è che Johnson portò a Kiev un messaggio giusto: vi sosteniamo. Il problema ora è mantenere quella promessa.