Viale del tramonto
Con la batosta in Sardegna Matteo Salvini va verso la sua fine politica. E l’Italia non lo rimpiangerà
La stangata nell'Isola è l’ennesima di una serie ormai lunga. Adesso arriva l’Abruzzo dove cinque anni fa la Lega era il primo partito e oggi è alleata con l’imprenditore del caso Verdini. L’ultima chance è il Ponte. Ma non è detto che Meloni consenta l’inaugurazione prima delle Europee
Finirà come Angelino Alfano a fare l’imprenditore? O come Gianfranco Fini, in qualche buen retiro ad aspettare che il telefono squilli per un’intervista? O magari come l’altro Matteo, Renzi, a fare soldi fra rinascimenti sauditi? La Sardegna ha dato a Matteo Salvini l’ennesima stangata con la Lega che passa dall'11,4% del 2019 al 3,8%, in marcia accelerata verso l'irrilevanza politica. E il vicepremier ha pure il broncio scontento di chi ha subito dalla capricciosa Giorgia Meloni l'imposizione del candidato Paolo Truzzu. La realtà è che ripresentare il catastrofico sardista Christian Solinas avrebbe significato straperdere.
E se la Sardegna non è mai stata terra dell’abbondanza per i suprematisti lumbard, non si sa quanto ravveduti, lo scorso ottobre il profondo nord ha ribadito che la stella del Capitano è al tramonto. A Trento il 27,1 per cento del 2018 si è più che dimezzato. A Bolzano, la sconfitta imita quella sarda: dall’11 al 3 per cento. Adesso tocca all’Abruzzo dove il ministro delle infrastrutture si farà aiutare dall’imprenditore-politico Gianluca Zelli, fornitore dell’Anas sulla quale il Mit ha potere di indirizzo e onorato dalle cronache come colui che Tommaso Verdini, il quasi cognato finito agli arresti a fine dicembre, interpellava per i biglietti alla prima della Scala del 2019. Ma la dinamica del voto è già chiara.
Se l’uscente Marco Marsilio di Fdi vincerà, vincerà l’alleata-nemica Meloni. Se perderà, perderà Salvini che non riuscirà a ripetere – gli allibratori non accettano scommesse – il trionfo del 2019 quando la Lega si laureò primo partito con distacco al 25,96% più il 3,11% di Azione politica, il partito di Zelli che per il voto del 10 marzo prossimo è confluito con il simbolo Salvini premier. Altri tempi il 2019. Alle Europee di allora la Lega sbaragliò la concorrenza interna e del centrosinistra con un tonante 34,2% e 9 milioni di consensi. Il prossimo giugno sarebbe un buon risultato se il partito arrivasse alla metà della metà di questo risultato, vittima del capriccio di un elettorato che si diverte a esaltare e a distruggere nel giro di pochi anni.
Ma Salvini ha già deciso la strategia con la furbizia di chi ha passato in politica la maggior parte della vita. Lui non si presenterà. Se perderà, come perderà, eviterà di prendere lo schiaffo in prima persona e potrà dire che la Lega ha perso perché lui non c’era. Resta da capire se al voto per Strasburgo, fissato tra il 6 e il 9 giugno, Salvini riuscirà ad arrivare con una tonificante posa della prima pietra al cantiere del ponte sullo Stretto. Dal suo punto di vista, deve farcela. La cerimonia inaugurale per un'opera contrabbandata come uno tsunami di miliardi sul Mezzogiorno, quando il grosso dei finanziamenti pubblici rimarrà ben a nord di Roma, potrà forse convincere qualche padre di famiglia riluttante a inghiottire decenni di insulti razzisti e a mettere la croce su Alberto da Giussano. Ma sarà poca roba e, in ogni caso, bisognerà vedere se la presidente del consiglio deciderà di fare quello che finora non ha fatto: abbracciare in modo convinto la causa pontista che drena soldi dal bilancio dello Stato e porta un risultato molto incerto, molto proiettato nel futuro remoto in termini di propaganda.
Se nemmeno il collegamento fra Calabria e Sicilia, che è diventato oggetto di un’inchiesta della Procura di Roma ancor prima del taglio del nastro, risolleverà le sorti della Lega, Salvini dovrà prendere atto che il suo percorso, contestato a chiare lettere dal fondatore Umberto Bossi perché troppo a destra, è al capolinea. Da lì bisognerà che scelga fra il modello Alfano, Fini o Renzi. Ma dell’avvocato agrigentino il Capitano non ha gli studi e di Fini gli manca il titolo nobiliare di chi ha rotto o ha tentato di rompere con la tradizione fascista della destra italiana. In quanto al monarca saudita e al suo cantore Renzi, difficile che Mbs si commuova per uno che voleva gli arabi su vagoni separati della metro milanese. Quindi Salvini finirà come Salvini, rilanciando a un tavolo di poker che ha capito i suoi bluff e aggrappandosi a quello che è stata la sua vita da quando a 19 anni entrò nel consiglio comunale a Milano vestito di verde. All’Italia non mancherà.