Ritratto
Carlo, storia di un Re Ribelle che riscrive lo stereotipo della fiaba
Nelle storie dell’infanzia i maschi fanno solo gli interessi del regno mentre il figlio della regina Elisabetta II tratteggia un modello nuovo. E anche per questo la sua figura apre a nuove possibilità
Nessuno di noi si è mai chiesto se il Principe Azzurro volesse davvero sposarsi. Lo abbiamo dato per scontato visto che gira per tutto il regno alla ricerca di un piede che calzi la scarpetta di cristallo, ma non abbiamo prove che questa decisione venga da sua scelta libera e consapevole. Il compito dei principi nelle fiabe è uno solo, e molto chiaro: garantire la continuità del regno, e offrire ai propri sudditi una bella storia aspirazionale, che sia funzionale alla conservazione del potere. Questo vale per il principe de “La Bella Addormentata nel Bosco”, per il principe di Biancaneve, e non viene mai messo in discussione.
Il conflitto tra le principesse e le loro famiglie di origine è presente in quasi tutte le fiabe più note. Ma di principi ribelli nelle fiabe non ce ne sono, perché quello che i principi vogliono dalla propria vita semplicemente coincide con ciò che è meglio per il regno, e non vale la pena neanche farsi una domanda in merito. Siamo meravigliate del fatto che gli uomini siano così determinati a non cedere un centimetro del proprio potere? Beh, siamo noi che abbiamo insegnato e continuiamo a insegnare ai maschi che sono venuti al mondo per fare esattamente quello.
Per potersi ribellare, i principi dovrebbero avere una propria individualità, dovrebbero avere aspirazioni, sogni, desideri propri e dovrebbero saperli riconoscere. Ma i personaggi maschili nelle fiabe ci vengono sempre presentati come privi di una vita interiore o disinteressati a scoprire di averne una. Quel poveretto del padre di Biancaneve rimane vedovo, e sposa una donna terribile che, per gelosia, gli impone di separarsi dalla sua unica figlia. E che cosa sappiamo noi di ciò che prova quest’uomo? Assolutamente niente.
Non sappiamo nulla dei pensieri o dei sentimenti di nessuno dei principi delle fiabe più famose: questi personaggi ci vengono presentati come vasi vuoti, il cui compito è contenere la storia, riportare l’ordine attraverso un ripristino delle convenzioni sociali.
All’interno dell’universo disneyano - quello attraverso il quale la maggior parte di noi è entrata a contatto con le fiabe - ci sono soltanto due personaggi la cui emotività è mostrata in modo esplicito, e in cui è anzi uno dei motori della storia: la Bestia ne “La bella e la bestia” e Quasimodo ne “Il Gobbo di Notre-Dame”.
Non è un caso il fatto che, all’interno dello schema profondamente abilista dei classici Disney, si tratti di due personaggi “osceni”, nel senso etimologico del termine. “Osceno” deriva dal latino obscenus, che indica qualcosa di indecente, di disgustoso. Il termine latino viene a sua volta dal greco skenè, spazio scenico, e ob con funzione di privativo. Questi maschi che vivono in modo esplicito, evidente, la propria vita interiore sono cioè personaggi che non si possono guardare, che devono essere tenuti lontani dalla scena. La Bestia, infatti, vive i suoi turbamenti nascosta in un castello, e l’impossibilità di altri umani di essere esposti al suo dolore è così radicale che perfino i suoi servitori sono stati trasformati in oggetti. Quasimodo, d’altra parte, vive nascosto nel campanile di Notre-Dame, e anche nel suo caso i suoi unici amici non sono umani, ma i (simpaticissimi, per carità) Gargoyles di pietra della facciata della cattedrale.
Quasimodo riuscirà a integrarsi nella società parigina soltanto quando avrà rinunciato in modo definitive a esprimere il suo amore per Esmeralda, che nel frattempo si è innamorata del molto più convenzionale Febo. La Bestia, dal canto suo, potrà reintegrarsi soltanto trasformandosi di nuovo in un principe rassicurante (di quelli privi di turbamento, come di caratteristiche particolari) e - ancora una volta - attraverso il matrimonio con Belle.
Le fiabe ci hanno addestrato ad aspettarci due cose da un principe: che sposi una bella principessa, e che non ci faccia mai e poi mai vedere che cosa prova. Se è possibile, che ci convinca di essere completamente privo di sentimenti.
Per questa ragione la figura del Re Carlo è così affascinante. Carlo è, a tutti gli effetti, un re ribelle. Attraverso la sua storia, ci è data la possibilità di guardare oltre quel “e vissero felici e contenti” e di testimoniare la vita di un principe che ha provato a vivere la fiaba, e non ci è riuscito perché ha scelto di non rinunciare ai suoi sentimenti, a se stesso.
A differenza di Edoardo VIII, però, Carlo non rinuncia al trono, ma si mette in testa di voler usare la sua storia, la sua prospettiva, la sua vita per provare ad abitare in modo diverso l’istituzione che è nato per conservare uguale, come tutti gli ricordano continuamente nella serie televisiva “The Crown”, che fa di Carlo e del suo lunghissimo viaggio verso il trono un ritratto che forse non avevamo mai visto prima.
L’idea di mascolinità che abbiamo trasmesso per generazioni è in una crisi profonda, dalla quale dovrà emergere profondamente riformata. Servirà del tempo per elaborare dei modelli nuovi, e ci aspettano confusione e dibattiti accesi, perché quello cui stiamo assistendo è un cambiamento epocale. Intanto, un re che lascia nel passato il modello delle fiabe, l’abbiamo trovato.
Francesca Cavallo è autrice della newsletter settimanale Maschi del Futuro