Nella seconda puntata di Vite Sospese, il podcast de L'Espresso in collaborazione con WeWorld parliamo della crisi umanitaria che sta devastando il Paese tornato in mano ai talebani nel 2021

«In Afghanistan sono 70 gli editti proclamati dall'emirato islamico contro le donne. Contro la possibilità che possano lavorare nella maggior parte dei posti, frequentare la scuola secondaria, andare nei parchi o muoversi senza essere accompagnati da un tutore maschio».

A descrivere la situazione delle donne, il cui ruolo ormai è ridotto a poco più che essere mogli e madri, è Dina Taddia, consigliera delegata di WeWorld, ong che opera nel Paese da tanti anni. E che ha deciso di restare anche dopo l’arrivo del talebani per supportare la popolazione.

L'Afghanistan sta vivendo una delle peggiori crisi umanitarie al mondo: milioni di persone non hanno cibo, sono sfollate e hanno bisogno di protezione. Il contesto politico restrittivo ostacola l'accesso agli aiuti umanitari e continua a violare i diritti umani, soprattutto quelli di donne e bambine: non possono studiare, lavorare o uscire di casa senza essere accompagnate. 

 

La seconda puntata di Vite Sospese, il podcast de L'Espresso in collaborazione con WeWorld, parla proprio di questo: di cosa significa per una donna vivere in un Paese in cui la liberà non è più garantita. Tra le voci quella di Parasto Hakim, fondatrice di Srak, un network di scuole clandestine, che non ha paura di raccontare la realtà mettendoci la faccia, perché è convinta che la conoscenza sia l’unica vera arma per contrastare i talebani: «Nessun americano o europeo lascerebbe mai crescere i propri figli in Afghanistan. Perché noi dovremmo farlo?»