Il commento
Il caso Ilaria Salis è l’ostentata sfida dell’Ungheria all’Italia e all’Europa
Per Viktor Orbán, l'italiana in catene è uno scalpo da esibire. Mentre l'Unione Europea non sa difendere la propria civiltà
Eppur non si muove. Nella bruttissima vicenda di cui è rimasta vittima Ilaria Salis balza agli occhi l’immobilismo istituzionale del governo Meloni, con la sua posizione sempre – per dirla con Romano Prodi – «meravigliosamente equivoca». A cui fa da contraltare la condotta del Quirinale, dal quale sono state invece indirizzate parole decise e impegnate durante una telefonata con il padre Roberto, prostrato dal buco nero dell’odissea penitenziaria in cui è stata risucchiata la figlia in Ungheria. Vale a dire la sedicente nazione «cristianissima» – come proclamano i suoi vertici, a partire dall’eterno primo ministro Viktor Orbán – dove una cittadina europea, detenuta (da tempi estenuanti e in condizioni degradanti) in attesa di giudizio per un «reato» fumoso, viene trascinata in un’aula di tribunale incatenata e con i ceppi alle caviglie. Ilaria Salis rappresenta, infatti, in modo plateale, lo scalpo elettorale da esibire in vista delle Europee da parte di Fidesz, il «partito-Stato» orbaniano, che compete per il voto con altre formazioni posizionate alla sua (ancora più estrema) destra.
E, sfortunatamente, non si tratta di un paradosso distopico, ma della questione di fondo in un Paese diventato in questi anni una fucina del neofascismo e del peggiore neopopulismo, e assai simpatetico con la Russia di Vladimir Putin. In poche parole, le uova del serpente poste nel cuore dell’Unione europea, sotto la tana dell’«autocrazia elettorale» e della democratura illiberale orbaniane. Ed è precisamente l’abolizione de facto dello Stato di diritto in Ungheria a emergere di nuovo in tutta la sua inusitata prepotenza, come pure (purtroppo) il doppio registro delle istituzioni europee che non hanno ancora assunto davvero – dopo averli ripetutamente ventilati – i necessari provvedimenti nei confronti di un politico cinico, reazionario e antidemocratico, che ha fatto proprio della sfida verso l’Ue la principale risorsa della sua campagna elettorale permanente.
Ecco, questa dovrebbe costituire per l’Unione europea – il cui Parlamento, già nel settembre del 2022, aveva definito l’Ungheria orbaniana una «minaccia sistemica» per i propri valori fondativi – l’opportunità di agire al fine di tutelare la propria visione ideale e la propria civiltà giuridica. E per l’esecutivo di destracentro in carica dovrebbe essere un’occasione per dimostrare che tiene alla difesa di tutti i cittadini italiani – al di là delle loro opinioni politiche individuali – più che ai tatticismi da dispiegare a Bruxelles e a Strasburgo. Come dovrebbe giustappunto fare un (o una) presidente del Consiglio per indossare i panni dello (o della) statista. E, invece, l’«amico» autocrate ha voluto ostentatamente disattendere – dato che la decisione discende dal sistema carcerario direttamente dipendente dall’esecutivo e non da quello giudiziario – perfino l’unica richiesta rivoltagli da Giorgia Meloni nel corso della sua visita a Budapest di due mesi or sono: quella di evitare di infliggere nuovamente alla detenuta l’umiliazione disumana del guinzaglio e delle catene ai piedi.
E, dunque, in entrambi i casi – la reazione delle autorità europee e l’azione dell’esecutivo italiano – si rivela malauguratamente facile prevedere quale sarà l’esito finale di questo orribile affaire…