I nuovi limiti imposti dall’Europa richiedono motori green. E parte la corsa all’alternativa. Ma chi studia le microplastiche lancia l’allarme sull’usura dei copertoni. Mentre l'ambientalista Anna Donati avverte: «Il trasporto su rotaia non può risolvere i problemi della Pianura Padana»

La coincidenza è paradossale. Proprio nei giorni in cui l’Unione europea approvava una stretta ecologista alla circolazione dei camion, a Milano si teneva la più grande fiera nazionale del settore. E da lì arrivavano ufficialmente i numeri del trasporto su ruote in Italia: dati che indicano con chiarezza che soprattutto nel nostro Paese è necessario un cambio di passo. Che infatti sta già avvenendo. 

 

Il regolamento approvato in via definitiva dal Consiglio d’Europa – malgrado l’opposizione di Italia, Polonia e Slovacchia – stabilisce gli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti per i camion: rispetto a oggi dovranno diminuire del 45 per cento entro il 2030 per arrivare gradualmente al 90 per cento a partire dal 2040. Quanto queste misure peseranno sull’Italia lo mostrano i dati emersi dalla fiera Transpotec: da noi l’84 per cento delle merci viaggia su ruote (è quasi un record in Europa) e 97 camion su 100 hanno motori a gasolio, il combustibile grande produttore di quelle microparticelle (PM 2,5 e PM 10) che sono particolarmente pericolose per la salute.

 

L’allarme contro i camion diesel è mondiale e va avanti da anni. Ma i risultati delle ricerche e degli investimenti in motori non inquinanti non hanno ancora un impatto significativo sulle strade: in Italia, considerando camion di tutte le stazze, solo lo 0,3 per cento dei veicoli è elettrico. Ai motori elettrici puri, con i loro problemi di autonomia e di lunghe ricariche, si affiancano in modo sempre più convincente quelli in cui l’elettricità è generata da una cella alimentata dall’idrogeno, in modo da velocizzare i tempi di rifornimento: un pieno di idrogeno richiede una decina di minuti, ricaricare le batterie anche con le colonnine più potenti ha tempi più lunghi.

 

Il risultato è una corsa all’idrogeno che coinvolge le grandi aziende produttrici in tutto il mondo, dall’Europa agli Usa fino al Giappone. «Se l’alimentazione elettrica è ormai consolidata nei camion entro 3,5 tonnellate, per i veicoli pesanti è più promettente quella a idrogeno prodotto da fonti rinnovabili», conferma Anna Donati, responsabile mobilità del Kyoto Club che ha rappresentato nel Progetto Zet (Zero Emission Trucks), nato dalla collaborazione tra ricercatori come quelli del Politecnico di Milano, produttori (Scania e Tesla), gestori di veicoli (Ups) e altri “addetti ai lavori”. «Varie aziende stanno investendo in ricerca su batterie adatte, ma per ora su distanze di 7 o 800 chilometri un tir completamente elettrico è poco competitivo».

 

Alla fiera di Milano si è fatto notare il camion Holthausen partito dall’Olanda e arrivato dopo un viaggio di 1.100 chilometri (con rifornimenti nei distributori di idrogeno già piuttosto frequenti in Germania e Svizzera). E negli stessi giorni a Las Vegas la Honda ha presentato un veicolo che ha un’autonomia di 650 chilometri. Il record in questo campo lo detiene finora un prototipo dell’azienda americana Hyzon, specializzata in motori a idrogeno: ha percorso 870 chilometri senza rifornimento ma usa gas liquido, che va conservato a 253 gradi sotto zero – una temperatura che sarà sempre più difficile gestire visti i continui record di riscaldamento estivo registrati negli ultimi anni. Anche la Volvo sta sperimentando, sulle strade innevate della Svezia oltre il Circolo polare artico, camion a celle di idrogeno prodotti assieme a Daimler che dovrebbero essere in commercio entro il 2030.

 

Siamo ancora alle sperimentazioni, insomma. E i risultati si vedranno a mano a mano che il parco autocarri sarà rinnovato: «Per favorire il ricambio sono necessari incentivi pubblici differenziati», commenta Donati. «Già oggi in Germania chi acquista un camion elettrico può contare su finanziamenti più alti di chi acquista un diesel». Altre strategie per ridurre l’inquinamento sono i corsi che insegnino ai camionisti a guidare in modo da consumare meno. E una pianificazione collettiva che permetta ai gestori di diminuire i viaggi di ritorno a vuoto. 

 

E i biocarburanti? Il governo Meloni ci punta molto e a questo si riferiscono le associazioni di categoria che al Transpotec, di fronte alle nuove regole europee, hanno invocato la «neutralità tecnologica»: cioè un mix di motorizzazioni e tecnologie che consenta, per fare l’esempio più significativo, di continuare a usare il parco camion esistente alimentandolo però con quei «combustibili chimici» che in fase di produzione inquinano molto meno dei derivati del petrolio. 

 

«Sono combustibili che vanno bene per esempio per i veicoli agricoli, anche perché possono essere utilizzati vicino al luogo di produzione», commenta Donati, «ma in vista di un progetto di emissioni “quasi zero” – le emissioni zero per il Progetto Zet non sono realistiche – gli investimenti vanno concentrati su elettrico e idrogeno». Senza dimenticare che il biofuel resta una delle strade più promettenti per diminuire le emissioni inquinanti del trasporto aereo: in Europa, fino al 50 per cento del combustibile bruciato in volo può derivare non dal petrolio ma da scarti vegetali.

 

Tutto questo basta a delineare un quadro molto complicato: «Stiamo parlando di un settore estremamente difficile da affrontare», ripete Donati. Ma c’è un problema in più: perché le emissioni sono solo una delle fonti di inquinamento riconducibili ai camion. L’altra è legata all’usura degli pneumatici. L’allarme lanciato ormai da mesi da studiosi inglesi e americani non ha avuto finora molto seguito in Italia: basti pensare che nel recente studio sui copertoni da scegliere per la propria auto, Altroconsumo ha considerato come fonti di inquinamento solo produzione e smaltimento, salvo poi raccomandare gomme gonfie e stile di guida regolare per ridurre l’usura. 

 

Un recente studio dell’Imperial College di Londra denuncia che «aumentano le prove del contributo delle particelle prodotte dal consumo dei copertoni nell’insorgenza del cancro o di problemi di salute che coinvolgono cuore e polmoni, sviluppo e fertilità». Secondo uno studio della banca dati americana Pew Charitable Trust, l’80 per cento delle microplastiche presenti in mare è formato da gomma sintetica che proviene dai copertoni. Il composto più pericoloso è il 6PPD, che rende gli pneumatici più resistenti all’usura e alle fessurazioni. Ed è un problema che non sarà risolto con i motori elettrici, anzi, visto che auto e camion a batteria pesano di più di quelli a benzina o gasolio.

 

Come per le auto elettriche quindi anche per i camion la quadra verso un futuro meno inquinato non è sostituire tutti i camion di oggi con veicoli puliti: bisogna anche ridurre il volume di merci che viaggia su ruota. E la soluzione non è semplicemente il trasporto su treni, che in Italia ha i suoi limiti: «Ha senso sui trasporti internazionali o sulle lunghe tratte tra Nord e Sud del Paese», spiega Donati, «ma non può risolvere i problemi del bacino padano, con una rete fittissima di produzione e distribuzione». La strada è lunga e sono forti le resistenze, non solo dei diretti interessati ma dei partiti che in tutta Europa li blandiscono. Ma la quantità di furgoni elettrici o persino di cargobici ai quali si affida l’ultimo miglio delle consegne di merci nelle città, e che aumentano a vista d’occhio, fa ben sperare.