Tradite le promesse di benessere fatte al suo popolo, Vladimir Putin gonfia i muscoli del militarismo e del nazionalismo. Usando il mantra dell'intimidazione atomica e la macchina della propaganda. In una guerra ibrida

Rieccoci, malauguratamente. L’eccezionalismo russo e la geopolitica di potenza del Cremlino hanno inaugurato un’altra tappa e generato l’ennesima escalation, mentre i venti trumpisti soffiano in una direzione molto favorevole al regime putinista. Adesso la Russia ha deciso di fare direttamente terrorismo mediatico, agitando a ogni piè sospinto la minaccia delle armi nucleari e oscurando nei propri territori – e in quelli dei Paesi satelliti più fedeli – le Olimpiadi di Parigi per cercare di silenziare un evento globale.

 

Alle prese da tempo con il fallimento delle promesse di miglioramento del benessere del suo popolo, il novello zar Vladimir Putin, secondo il tristemente conosciuto riflesso pavloviano delle dittature, ha gonfiato i muscoli del militarismo e del nazionalismo più sfrenati. Senza che risulti al momento neppure immaginabile da parte sua il ritorno alla ragionevolezza e a più miti consigli. L’intollerabile intimidazione atomica si è trasformata in un mantra ricorrente degli esponenti del putinismo, e viene sfoderata ormai a ogni piè sospinto non soltanto dal solito vicepresidente del Consiglio di sicurezza Dmitry Medvedev – il quale, tragica “ironia” del destino, un’era geologico-politica fa indossava i panni del modernizzatore ed era impegnato sul fronte dei trattati di non proliferazione.

 

La Russia ha deliberatamente scelto da tempo di animare una rinnovata guerra fredda e di far calare la sua «cortina di ferro 3.0» sul Vecchio Continente, puntellata da una decisiva componente high-tech. Va infatti rimarcato come Putin abbia costruito la sua più recente strategia di proiezione neoimperialista non soltanto sulla forza militare, ma anche, e significativamente, sulla propaganda e l’uso delle tecnologie a fini di manipolazione. Sharp power, dunque; e un soft power molto dark, assieme a quello rispettabile della grande tradizione culturale classica – purtroppo totalitariamente asservita ai fini strumentali dell’autocrazia – e a prodotti pop originali quali la serie animata Masha e Orso.

 

Dagli hacker – che, all’indomani del crollo dell’Urss, si moltiplicarono esponenzialmente, mettendo a profitto in maniera illegale certe competenze informatiche e scientifiche diffuse presso le giovani generazioni – reclutati dai servizi segreti eredi del Kgb al ricorso sistematico alla disinformazione e alle interferenze maligne nelle campagne elettorali delle democrazie liberali, dalla famigerata «fabbrica dei troll» di San Pietroburgo (la cosiddetta Internet Research Agency gestita dal capo di Wagner Evgenij Prigozhin, poi fatalmente caduto in disgrazia, e con l’aereo…) ai finanziamenti occulti ad alcuni politici europei e allo sforzo costante di incrementare il disordine informativo, la guerra ibrida e il cyberwarfare costituiscono anelli essenziali della pianificazione bellica del Cremlino.

 

A cui si aggiungono i tasselli del sostegno all’Internazionale sovranista e a quella che due sociologi – Kristina Stoeckl e Dmitry Uzlaner – nel libro omonimo (pubblicato da Luiss U.P.) hanno definito l’«Internazionale moralista». Ovvero l’oscurantismo tradizionalista della dottrina biopolitica ed etica della Chiesa ortodossa rivisitata in salsa postmoderna e di cultural wars. Giustappunto, terrorismo mediatico di Stato, un unicum nella storia della politica di potenza.