Pubblicità
Cultura
luglio, 2024

Il caso Yara ci convince che Bossetti è innocente: fino al prossimo true crime

Dopo quattro anni di indagini, 45 udienze, 100 testimoni e tre gradi di giudizio arriva la (bellissima) serie di Gianluca Neri su Netflix e si ricomincia da capo. Perché alla tavola imbandita della cronaca nera è un peccato non continuare a sedersi. Altro che quinto potere, qui ormai siamo al sesto

Perizie genetiche negate, reperti non mostrati, no a nuovi esami, materiale esaurito oppure poco idoneo. E poi oltre alle prove taroccate, il furgone, le fibre del sedile, la presenza del cemento e i kit scaduti alla fine, al quinto episodio si dice chiaro e tondo: il Dna mitrocondriale di Bossetti non c’è. Nell’episodio finale della serie “Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio” (Netflix) si ribalta di nuovo la sentenza morale, ancor prima di quella giudiziaria, e con chiarezza appare evidente a ogni telespettatore che nonostante quattro anni di indagini, 45 udienze, 100 testimoni e tre gradi di giudizio, l’assassino condannato all’ergastolo per l’omicidio di una ragazzina di tredici anni alla fine è innocente. Oltre ogni ragionevole dubbio. E sino al prossimo true crime, il sesto potere a cui è difficile sottrarsi. 

 

L’operazione assai complessa di Gianluca Neri è quella di mettere insieme tutto quel che si è detto e scritto e studiato per ridirlo, riscriverlo, ristudiarlo, puntando il dito contro il caso mediatico costruito in questi anni, durante i quali trovare il mostro sulle cui spalle scaricare una coscienza collettiva sembrava essere diventata una missione urgente. Ce lo chiede il pubblico, si dicevano gli autori dei programmi. Da “Porta a Porta” ai “Fatti vostri”, da Enrico Mentana a Licia Colò, da Roberta Bruzzone a Corrado Augias, fino a Luca Telese (molto Luca Telese), innocentisti e cinture nere di gogna in un flusso continuo capace di macinare ascolti senza sosta. E ogni racconto aveva la sua validità visiva, come un gigantesco social in cui chiunque poteva puntare il dito senza tema di smentita. 

 

Ma il cambio di verso è facile. Una lacrima inaspettata o un sorriso in un momento tragico stravolge la storia, cambia la luce, da buona a cattiva e viceversa. E si può ricominciare. 

 

Così nella serie Bossetti volteggia in un abbraccio con la moglie nel filmino delle nozze e si intreccia furbamente con Yara, che volteggia anche lei, in un frammento di una gara. E le telecamere di questo lavoro a dir poco accurato, perché Neri la ricostruzione per immagini la sa fare sul serio, indugiano sull’uomo elegante, composto e devastato, che per la prima volta rilascia un’intervista, fatta di sguardi, appelli, mani strette sulle sbarre, mentre i violini diventano gravi. 

 

Come un Giano a cui due fronti non bastano, “Il caso Yara” riaccende dopo quattordici anni i motori di quegli stessi media che sono stati sotto processo per tutta la durata dell’avvincente serie. Perché la cronaca nera è un fiero pasto a cui tutti possono attingere. Ma quel che rimane dopo l’immane lavoro dell’autore di “SanPa” è che a quella tavola imbandita è sempre un peccato non continuare a sedersi.

 

 

***************

 

DA GUARDARE 

Sunny (Apple tv) è un po’ fantascienza, un po’ commedia, un po’ terza via. Creata da Katie Robbins, con la faccia di Rashida Jones racconta tante cose in salsa mistery. Ma soprattutto scioglie un quesito che attanaglia i più: se l’intelligenza artificiale possedesse un corpo ci si potrebbe fare sesso? E la risposta è sì, volentieri.

 

 

MA ANCHE NO
Non è uno show, né un talent, è più un game, ma non si vince un bel nulla. Il nuovo programma di Pino Insegno, previsto per gennaio, si chiamerà “Il buono, il brutto e il cattivo”. È stato annunciato alla presentazione dei palinsesti 2024-2025 con una definizione ben precisa: «Sfida goliardica». E per la pelle d’oca pazienza.

L'edicola

La pace al ribasso può segnare la fine dell'Europa

Esclusa dai negoziati, per contare deve essere davvero un’Unione di Stati con una sola voce

Pubblicità