Migrazioni
Il pianista di Yarmouk: “Tornare in Siria? Solo per una visita. In Germania ho la mia casa e la mia musica”
Dieci anni fa Aeham Ahmad fuggì dal campo profughi palestinese in cui era cresciuto e approdò in terra tedesca come rifugiato. Oggi è un concertista di fama internazionale. E si interroga sull'ipotesi avanzata dal governo di Berlino di rimpatriare i profughi siriani
Dopo la caduta del regime di Assad resta incerto il futuro di quasi un milione di siriani residenti in Germania. Aeham Ahmad è uno di loro. Concertista di fama internazionale, ribattezzato il “pianista di Yarmouk” per la celebre foto che lo ritrae tra le macerie del campo profughi palestinese in cui è cresciuto, distrutto dai miliziani dell’Isis, così come il suo strumento, dieci anni fa fuggì in Germania, dove oggi abita assieme alla moglie, ai suoi genitori e ai tre figli. Adesso che diversi esponenti del governo tedesco si dicono favorevoli a dare 1.700 euro ai siriani che tornano in patria, il musicista valuta la situazione e guarda il suo Paese da lontano. Pensa di tornare? «Vedremo: ho voglia di tornare a Yarmouk, ma solo per una visita. Ho il passaporto e la cittadinanza tedeschi, qui ho la mia casa e la mia musica».
Aeham Ahmad, lei ha conservato forti radici in Siria. Come vede il suo Paese?
«La fine della dittatura è una grande notizia. Il regime, prima del padre Hafiz al-Asad e poi del figlio, ha succhiato il sangue e il petrolio del popolo siriano. Siamo stati 54 anni senza democrazia, con sofferenze indicibili. E ora, dopo tanti anni di sangue, dolore e armi chimiche, il popolo siriano si rivolge ai miliziani islamici radicali. Quando sei disperato speri solo che Dio ti aiuti. Dove erano coloro che oggi si indignano contro i radicali islamici quando la Russia e l’Iran sostenevano il regime di Assad? Penso che il popolo siriano, dopo questa esperienza, non consenta a un altro dittatore di andare al potere. Lo vedo nei volti dei siriani qui in Germania e in Siria».
Qual è il suo ultimo ricordo della Siria?
«Gli agenti della polizia segreta. Mi catturarono assieme a mia moglie e ai miei figli, mi gettarono in una cella con il volto a terra, sono stato trattato come un animale senza cibo, aria, sole per una settimana. Per questo non sono mai tornato in Siria finché Bashar al-Assad era al potere».
Durante gli anni della dittatura molti suoi parenti e amici sono stati uccisi o feriti. Cosa le raccontano oggi i suoi contatti superstiti in Siria?
«Mio fratello fu arrestato dalla polizia segreta nel 2013, lo stiamo ancora cercando. Temo che lo abbiano ucciso, così come hanno fatto con il fotografo Niraz Saied, che scattò la foto famosa con me al pianoforte tra le macerie. Fu arrestato nel 2015 e due anni più tardi dissero alla madre che era morto di infarto. In Siria c’era una vera e propria scuola di tortura, come nei campi di concentramento nazisti».
La foto del pianista di Yarmouk l’ha reso famoso. Ho letto che vorrebbe emanciparsi da quell’esperienza.
«Non è vero, l’immagine del pianista di Yarmouk è stata per me fondamentale. Suscita in me forti emozioni, che resteranno impresse nella mia memoria per tutta la vita. Tengo a ricordare il fotografo che l’ha realizzata, Niraz Saied, ha pagato con la vita questo scatto. Lo hanno catturato, sbattuto in prigione e la polizia segreta siriana lo ha ucciso nel 2018».
In una intervista a L’Espresso uno dei più importanti oppositori al regime, Hadi Al-Bahra, ha affermato di auspicare per la Siria la riconciliazione nazionale. È d’accordo?
«È l’unica soluzione possibile. Durante il regime metà della popolazione sosteneva Bashar al-Assad e l’altra metà era contro, oppositori o rifugiati, ora bisogna evitare la guerra civile. Non erano tutti come quel tizio che uccise in dieci minuti 62 persone sparando loro alla testa, come mostrò un famoso video del “Guardian”. Parlo di tutti i soldati normali costretti ad arruolarsi. Ho sentito un mio amico in Siria, mi ha raccontato che l’esercito ha rotto le righe e quindi ci sono tantissime persone che possiedono armi, che invece vanno raccolte, sequestrate e messe in sicurezza».
Dalla sua esperienza la Germania è un buon modello di integrazione?
«Nel 2015 la Germania non ha fatto un buon lavoro con i rifugiati ma il popolo tedesco ha fatto un lavoro straordinario. Ogni cittadino tedesco ha accolto un rifugiato. Angela Merkel lo aveva promesso e il popolo tedesco lo ha realizzato».
Suo padre, che oggi vive con lei in Germania, è un violinista non vedente. Fu lui a spingerla a studiare musica, fino al diploma al conservatorio di Damasco. Cosa le ha insegnato?
«Suona a orecchio perché è cieco. Mi ha insegnato che non tutto è scritto sulla partitura: devi pensare, spalancare le orecchie, cercare la musica intorno a te. Ha 72 anni, è autodidatta, proprio ieri abbiamo fatto un piccolo concerto per un amico tedesco venuto a trovarci».
Tre grandi pianisti jazz: Keith Jarrett, Tigran Hamasyan, Herbie Hancock. Cosa prova quando ascolta la loro musica?
«Keith Jarrett è formidabile, un musicista folle che nella sua carriera ha alternato molti concerti meravigliosi e alcuni orribili. Adoro il Köln Concert e il modo in cui canta, anche se si trova fuori tono. Tigran Hamasyan invece è il più grande: trovo geniale la maniera in cui mescola il jazz con il suo background armeno. Di Herbie Hancock, infine, rispetto il beat e apprezzo i progetti di oriental jazz uniti alla musica sufi insieme a Dhafer Youssef. Adoro l’oud (strumento a corde tipico della musica araba, ndr) e sono spesso in contatto con Youssef».