Un Paese profondamente diviso vota il nuovo padrone dell'Eliseo. Tra la conservazione di Nicolas Sarkozy e la rivoluzione di Ségolène Royal. E tanti problemi: disoccupazione, immigrati, pace sociale

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Il 6 maggio i francesi andranno al voto per cancellare definitivamente il 'trauma' del 2002. Quando, al primo turno delle presidenziali, insieme a Jacques Chirac, si impose Jean-Marie Le Pen, vecchio leader della destra nazionalxenofoba. Allora i francesi vennero assaliti dal dubbio: essere diventati una democrazia 'anomala'. Malata. Come l'Italia. Come noi.
Così, lo scorso 22 aprile, hanno votato in massa (quasi l'85 per cento degli aventi diritto: il più alto grado di partecipazione dal 1965) per ristabilire la 'normalità' prevista dalla democrazia bipolare. Ci sono riusciti.

Nicolas Sarkozy e Ségolène Royal - che, domenica prossima, si contenderanno lo scettro del 'monarca democratico' - rappresentano, a pieno titolo, l'alternativa storica della V Repubblica. La Francia di destra contro quella di sinistra. Insieme, il 22 aprile, hanno ottenuto circa il 57 per cento dei voti validi. In valori assoluti: 21 milioni. Non avveniva dal 1974 (quando nel primo turno si imposero Giscard d'Estaing e Mitterrand). Sarkozy e Royal hanno sottratto spazio alla loro destra e alla loro sinistra. Il peso elettorale delle 'estreme', infatti, rispetto a cinque anni fa, si è quasi dimezzato. Si è ridotto, nell'insieme, dal 38 al 23 per cento dei voti validi. In parte grazie alla sindrome del 2002, che ha spinto i francesi a usare il 'voto utile' fin dal primo turno. In parte perché entrambi i candidati hanno lavorato in questo senso. Sarkozy, in particolare, non ha negoziato in nessun modo con il FN. Ma gli ha 'rubato' lo stile, le parole e gli argomenti, come ha recriminato lo stesso Le Pen. Non esitando a esibire temi inquietanti: l'ereditarietà del vizio pedofilo e perfino dell'istinto suicida. Ma soprattutto, Sarkò ha sottratto all'estrema destra la rappresentanza della 'paura'. Ha dato voce all'inquietudine delle periferie metropolitane, come della provincia francese, nei confronti delle violenze che si sono diffuse nella società, nella scuola, nella vita quotidiana. Soprattutto dopo le rivolte che hanno agitato le banlieues di Parigi e delle maggiori città francesi, nell'autunno 2005. Sarkozy le ha affrontate, da ministro degli Interni, in modo, a sua volta, 'violento'.

Per definire i protagonisti dei moti - giovanissimi, perlopiù di origine straniera - ha parlato di 'racaille'. Feccia. Una formula che ha sollevato sdegno, fomentato ulteriore rivolta. Ma gli ha guadagnato il consenso di una quota rilevante di elettori dell'estrema destra. La sua politica securitaria, d'altronde, ha scavato anche nella sinistra. Tanto che nelle periferie di Lyon, altra metropoli agitata dalle violenze, Sarkozy ha superato, in modo inatteso la Royal. La paura, d'altronde, è un 'privilegio' delle classi popolari, che abitano le zone in cui la vita è più precaria.

Ségolène Royal, invece, ha insistito sulla sindrome del 2002. Sulla 'paura' dell'estinzione socialista. Un rischio reale se, per la seconda volta di seguito, i socialisti (e, con loro, la sinistra) avessero perso il treno del ballottaggio. Sulla 'paura' di Sarkozy. La geografia elettorale dei due candidati presidenti riflette questa alternativa. Fra 'deux Frances'. Opposte. Ségolène Royal conquista il retroterra storico della tradizione radicalsocialista. Si impone nei dipartimenti 'atlantici'. In particolar modo, nelle enclaves del Sud-Ovest. Sulle tracce del passato.

Nicolas Sarkozy, invece, marca una discontinuità evidente rispetto alla Francia di Chirac e della tradizione gollista. Perché penetra e si afferma nelle zone di forza del FN. Nel Sud e a Est. In Provenza, Savoia, in Alsazia. Mentre nei dipartimenti di Parigi, i due candidati, la destra e la sinistra, fanno osservare un certo equilibrio.

Anche il profilo sociale dei due elettorati rispecchia questa simmetria. Per età: le generazioni più giovani hanno votato maggiormente per Segò. Le più anziane per Sarkò. Lo stesso dal punto di vista della categoria professionale. La sinistra di Segò: pesa maggiormente fra i dipendenti pubblici, fra gli studenti e i disoccupati. Mentre la destra di Sarkò ha conquistato gli imprenditori e i lavori autonomi, ma anche, e soprattutto, i dipendenti del privato e i pensionati. Invece non ha funzionato il richiamo di 'genere'.
Nonostante lo slogan di Royal incitasse a una 'France Présidente' (al femminile, dunque), le donne hanno distribuito il loro voto equamente, fra lei e Sarkozy.

Quanto alle motivazioni del voto, la maggioranza degli elettori della Royal pone l'accento sul tema delle 'ineguaglianze sociali' e sul problema della 'disoccupazione' e della 'precarietà lavorativa'; gli elettori sarkozystes, invece, danno la priorità alla 'lotta contro l'insicurezza' e contro 'l'immigrazione irregolare'. Considerate, quasi, due facce della stessa medaglia. Insomma, due candidati presidenti e deux Frances.

A sinistra, la Francia dei ceti pubblici e intellettuali, della solidarietà sociale e del lavoro protetto. A destra, la Francia che attira gli imprenditori ma anche i ceti popolari; denuncia l'insicurezza, chiude all'immigrazione. Una distinzione che riflette, in larga misura, ciò che avviene altrove, in Europa. Ciò rafforza quell'immagine di 'ritorno alla normalità', che abbiamo evocato in precedenza. Domenica: si svolgerà un confronto destra-sinistra. Senza l'interferenza degli estremismi e dei populismi del passato.

Tuttavia, a ben guardare, in questa elezione, emergono segni di cambiamento profondi. Destinati a incidere sul futuro politico del Paese. Il primo riguarda il ricambio della classe dirigente. Royal e Sarkozy rappresentano la nuova generazione politica francese. Dopo trent'anni almeno di continuità. Non solo per ragioni di età (entrambi cinquantenni). Ma perché si sono imposti contro la nomenklatura dei partiti a cui appartengono.

Sarkozy ha riorganizzato l'Ump che, in pochi anni, è salito da 70 mila a oltre 300 mila iscritti. Ne è divenuto leader in contrasto aperto con Chirac e il suo entourage (il primo ministro de Villepin in testa). Da anni studia e si comporta da 'Presidente'.

La Royal ha dovuto faticare di più. Nonostante sia cresciuta accanto a Mitterrand. Nonostante sia la compagna del segretario del PS, François Hollande (anzi, ciò, probabilmente, l'ha ostacolata). Non è facile, d'altronde, imporsi per una donna attraente, in un partito con molti leader accreditati e radicati. Non a caso si è affermata 'fuori' dal partito: a furor di popolo (sull'onda dei sondaggi). E 'nel' partito: proponendo e imponendo le 'primarie' (importate e adattate seguendo l'esempio italiano). Dove ha travolto i concorrenti, grazie al contributo dei 'nuovi iscritti'. Perlopiù giovani. Il PS, d'altronde, in poco tempo, è passato da 100 a 200 mila iscritti.

Entrambi hanno innovato profondamente la comunicazione politica tradizionale. In campagna elettorale permanente da quattro anni, Sarkò. Da uno e mezzo, Segò. Hanno fatto largo uso dei media, di Internet, dell'immagine, dei sondaggi.

I due candidati: hanno cambiato anche il progetto politico dei loro partiti. Zigzagando fra destra e sinistra. Sarkò: ha insistito molto sul 'lavoro', come diritto e come valore; richiamando i padri nobili della sinistra: Jaurès et Blum. Mentre Segò ha cercato di 'temperare' il peso dello Stato, nel discorso politico socialista. Ha fatto, poi, del tricolore, dell'orgoglio nazionale un motivo di campagna elettorale. Fino a chiudere ogni sua manifestazione cantando la Marseillaise.

Poi, l'idea del bipolarismo tradizionale, in queste elezioni, è stata spezzata definitivamente dall'irruzione del 'centro'. Di François Bayrou. Leader dell'UdF. Democristiano. Radicato nella provincia francese, con appendici nei 'suoi' Pirenei. Aveva ottenuto meno del 7 per cento dei voti nel 2002. Li ha quasi triplicati. Metà dei suoi elettori lo ha votato per non votare gli altri candidati. Socialisti delusi da Segò. Postgollisti preoccupati da Sarkò. Bayrou ha cambiato il significato stesso del 'centro', rispetto alla tradizione (rappresentata, ad esempio, da Barre e Balladur). Non più luogo di moderazione, ma di contestazione e di protesta, contro il 'bipolarismo dei poteri forti'. Tanto che Gérard Courtois (su Le Monde) lo ha definito 'estremo centro'.

In questo modo ha attirato ceti sociali politicamente esigenti e competenti. Lontani dal retroterra popolare che tradizionalmente caratterizza questo elettorato. Non è un caso che, per la prima volta, il Centro abbia guadagnato il consenso dei quadri intermedi e delle persone che posseggono un titolo di studio superiore.
Ora, con 7 milioni di voti ottenuti, Bayrou ha assunto un ruolo determinante. Ma ha il problema - e l'obiettivo - di stabilizzare questa 'nuova identità'. Questo elettorato, che in parte non gli appartiene, non lo ha votato per il suo appeal personale o per adesione al suo partito (in realtà, poco radicato dal punto organizzativo e un po' flou, dal punto di vista del progetto). Ma 'contro' gli altri. Deve, inoltre, fare i conti con un sistema elettorale maggioritario a doppio turno che emargina le 'terze forze'.
Per questo cerca di imporsi, fino in fondo, come soggetto politico 'nuovo'. Autonomo. Competitivo. Per questo non si schiera con nessuno. E, in vista delle prossime legislative di giugno, ha annunciato la nascita del Partito democratico (altra cosa rispetto al nostro). Ma è ostile a Sarkò, per ragioni personali e di 'mercato elettorale'. Perché Sarkò è figura forte. Molto più di Ségolène. E perché gli elettori dell'UdF sono più vicini all'Ump che al PS. La stessa Segò, peraltro, si accosta a Bayrou con prudenza. Ne ha bisogno, visto che la sinistra, in Francia, è sempre minoranza. Ma un contatto troppo diretto potrebbe provocare un 'big-bang socialdemocratico', come ha sostenuto Michel Noblecourt.

A prima vista, dunque, il voto di domenica in Francia sembra riproporre la sfida di sempre. Fra i partiti di sempre. Un ritorno alla normalità, dopo l'incubo del 2002. Ma in effetti, queste elezioni hanno segnato un cambiamento profondo. Gli stessi partiti, con gli stessi nomi: non sono più gli stessi. Hanno cambiato identità, prospettiva. Guidati da una 'nuova' generazione di leader: Sarkozy, Royal; ma anche Bayrou (e l'unico a salvarsi dalla catastrofe, fra i gauchistes, è stato, non a caso, Olivier Besancenot: il più giovane, il meno 'professionista'; visto che continua a fare il postino nella banlieue ovest).

Il contrario di quel che è avvenuto nel nostro Paese. Dove, negli ultimi vent'anni, sono cambiati i partiti e le regole elettorali. Assai meno i leader (soprattutto nel centrosinistra). In Italia: tutto è cambiato ma tutto sembra uguale a prima. Mentre in Francia tutto sembra tornato normale. Ma nulla, a partire da domenica 6 maggio, resterà come prima.