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31 agosto, 2010

Quando il romanzo diventa globale

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Parla lo scrittore americano Joshua Ferris, tra gli autori più attesi al Festivaletteratura 2010

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Un giudizio inequivocabile: "Il miglior romanzo che ho letto negli ultimi dieci anni", ha scritto il critico letterario dell'"Economist" parlando dell'ultimo libro di Joshua Ferris. L'opinione del newsmagazine britannico su "Non conosco il tuo nome" (Neri Pozza) conferma i plausi che il giovane scrittore americano ha ricevuto da "Publishers Weekly": "Stupendamente fuori di testa e ineccepibilmente credibile", ha scritto questa bibbia della letteratura contemporanea Usa, avvalorando così l'opinione dei giurati del concorso letterario PEN-Hemingway che nel 2007 gli avevano assegnato il premio per il suo primo romanzo "E poi siamo arrivati alla fine".

Il trentacinquenne Ferris sarà uno dei nomi di punta del Festival di Mantova. "Per me è affascinante andare a manifestazioni letterarie come questa, girare per città straniere a promuovere i miei libri", dice Ferris a "L'espresso". Non sono parole di circostanza, chiarisce: "Perché si tratta dell'essenza del lavoro di uno scrittore. Quando scrissi il primo romanzo credevo che il momento di massima emozione fosse quello della pubblicazione. E invece ho scoperto che con ogni edizione straniera il libro rinasce di nuovo. Diventa una straordinaria finestra su un mondo sconosciuto". Ferris abita a Hudson, un villaggio nella campagna a due ore a nord di New York, ma quello che gli interessa, è indagare su mondi diversi, che non siano l'America. E indica un paradosso: "Sono diventato adulto nell'era della globalizzazione. Quando vado all'estero, incontro persone che parlano perfettamente inglese, usiamo perfino la stessa gestualità e per un momento ci illudiamo di essere tutti diventati uguali, parte della stessa identità culturale e politica. Ma dopo un po' capiamo che le differenze rimangono e sono molto più complesse di quanto non sembri". È il fascino del diverso che lo porta in giro per il mondo: "L'esperienza di ritrovarmi nel mezzo di persone non americane è un modo per acuire i sensi e di reinventare la vita e la letteratura".

Ferris, in realtà sta parlando del suo ultimo romanzo e di alcuni aspetti della narrativa che sono intrinsecamente "americani". In "Non conosco il tuo nome" il protagonista Tim ha un rapporto con il suo lavoro probabilmente difficile da capire per i lettori non americani. "È un avvocato di successo in un grande studio legale di New York e le relazioni con i colleghi, le gerarchie interne e i comportamenti codificati al lettore straniero potrebbero sembrare una creazione della mia fantasia di romanziere. In realtà sono uno specchio del vero mondo del lavoro americano", dice. Ora sta pensando di passare un anno in Italia per finire il terzo romanzo, che si preanuncia (dicono coloro che lo conoscono) un altro successo. Lui non si sbilancia: "Nella vita di uno scrittore conta quello che hai scritto fino oggi, non le ipotetiche pagine che saranno composte domani".

Poi confessa: "Prima di venire pubblicato mi intimoriva perfino l'idea di considerarmi uno scrittore". Il primo testo lo diede alle stampe nel 1999, aveva venticinque anni. Era un racconto, "Mr. Blue", nella rivista letteraria "Iowa Review". Oggi è autore frequente del "New Yorker" e uno scrittore diffuso in tutto il mondo. Ma non per questo ha perso la curiosità.

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