Farmacisti, notai, tassisti, avvocati, perfino fornai: per carità, giusto intervenire sui loro privilegi. Ma a Palazzo Chigi non ce la fanno proprio a dire una parola sulla rendita di posizione di Mediaset e su tutte le leggine che la avvantaggiano

image/jpg_2168726.jpg
Nell'appassionante intervista a "Repubblica" sulle liberalizzazioni mancate anche da Monti, ultima vittima delle "lobby" che resistono al "mercato" perché "la competizione è il terrore di tutti i conservatori di destra, centro e sinistra", il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Antonio Catricalà, già presidente dell'Antitrust, lancia il grido di battaglia col coltello fra i denti: "Alla fine prevarrà la logica di togliere le rendite di posizione per favorire tutti i cittadini. A gennaio ripresentiamo tutto, le lobby non ci fermeranno".

E le cita tutte, ma proprio tutte: tassisti, farmacisti, banche, assicurazioni, servizi pubblici locali, porti, aeroporti, autostrade, avvocati, notai, ordini professionali. Dimentica soltanto un settore: la tv. Se Elsa Fornero non riesce a dire "sacrifici" senza scoppiare a piangere, Catricalà ha seri problemi con la parola "televisione".

E, per evitare le lacrime, gira al largo.

La stessa amnesia selettiva sul duopolio Rai-Mediaset affligge il suo successore all'Antitrust, Giovanni Pitruzzella, vecchio amico di Cuffaro e Schifani: in un'avvincente intervista al "Corriere della sera", chiede di "rivedere le regole sui conflitti d'interessi", ma non sfiora neppure l'anomalia tutta italiana delle tv in mano ai soliti noti. Curiosamente invece l'Europa seguita a preoccuparsi più per il duopolio collusivo Rai-Mediaset che per gli inquietanti cartelli dei tassisti e dei venditori di Viagra. Il 6 dicembre il commissario ai diritti umani del Consiglio d'Europa, Thomas Hammarberg, ha consegnato l'ennesimo rapporto in cui accomuna l'Italia alle repubbliche ex sovietiche per carenza di pluralismo televisivo.

Nel rapporto, curato dall'ex rappresentante Osce sulla libertà dei media Miklos Haraszti, si legge che il monopolio nella tv e nella pubblicità può "provocare rischi gravi anche nelle più antiche democrazie", come appunto la nostra. Il tutto aggravato dalla presenza in politica del padrone di Mediaset, con tanti saluti agli standard europei che vietano a politici di possedere e controllare tv, per evitare interferenze politiche nella libertà di stampa.

"La Germania e il Regno Unito", scrive Haraszti, "impongono restrizioni sulla diretta proprietà o controllo delle emittenti da parte di attori politici; i paesi Ue richiedono indipendenza dai partiti e dai politici. L'Italia, a dispetto della legge Frattini, non ha fatto niente". Chissà se quel rapporto è finito o finirà sul tavolo di Catricalà e di Pitruzzella. E chissà se, in tempi di assoluta obbedienza all'Europa, i due svagati tutori della concorrenza diranno o faranno qualcosa. Per il momento dobbiamo accontentarci degli inchini e salamelecchi che quasi ogni giorno Catricalà riserva al suo mentore e spirito guida: Gianni Letta. Cioè al più celebre lobbista del gruppo Fininvest-Mediaset che la storia ricordi, prima come addetto ai rapporti del Biscione con la politica (negli anni Ottanta, ai tempi dei decreti Berlusconi di Craxi fino alla legge Mammì), poi come sottosegretario dei tre governi Berlusconi.

"Le vicende della vita", disse Catricalà il 21 novembre, entrando nel governo Monti, "mi hanno portato a una nuova funzione e in questi casi bisogna ispirarsi a qualcuno: il mio modello non poteva che essere Gianni Letta, il miglior interprete che io abbia mai conosciuto in questo mestiere, che mi ha tante volte ispirato e istruito". Più che un elogio, una confessione.

Il 5 dicembre, in pieno orgasmo, aggiunse: "Ho preso il testimone da un semidio come Gianni Letta". Slurp. Chissà se fu il semidio a ispirarlo nel 1997, quando Catricalà, allora capo di gabinetto del ministro Maccanico, estrasse dal cilindro il codicillo-supercazzola salva-Rete4 che ne rinviava il passaggio su satellite a quando le parabole avessero raggiunto un "congruo sviluppo" (cioè mai, visto che nessuno poteva quantificare il concetto di "congruo").

E chissà se c'entrava ancora il semidio nel 2004, quando Catricalà, planato all'Antitrust per volontà di Berlusconi, lasciò marcire in un cassetto l'indagine conoscitiva sul mercato tv trasmessagli dal predecessore Antonio Tesauro, che denunciava la posizione dominante di Mediaset e ne raccomandava un congruo dimagrimento. Forse perché era in tutt'altre faccende affaccendato: doveva spezzare le reni al temibile cartello dei fornai, "particolarmente odioso perché riguarda beni essenziali come il pane e la pasta" e alfine sgominato con una multa draconiana all'Unione Panificatori: 4.430 euro.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Siamo tutti complici - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso