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Poi venne Silvio Berlusconi con la sua promessa di rivoluzione liberale incardinata nel programma del 1994, ispirato da Antonio Martino e Giuliano Urbani e da politici come Alfredo Biondi e Raffaele Costa. In molti (non chi scrive) ebbero l'impressione di essere alla vigilia della nascita di un partito liberale di massa di cui il Cavaliere sarebbe stato il divulgatore e il leader pro-tempore.
Come è andata lo si è visto: pro-tempore era il programma liberale, eterni erano Berlusconi e i suoi conflitti di interesse e, alla fine, in tanti anni i suoi governi hanno prodotto qualche vagito riformista e molta roba inguardabile.
Sempre presente è stata l'indomita e generosa pattuglia radicale con alcuni difetti rilevanti, però: l'eccessiva personalizzazione su Marco Pannella, capace di dare ombra persino a Emma Bonino, una certa chiusura (forse più per negligenza che per dolo) verso il mondo esterno e un'immagine eccessivamente libertaria per i gusti degli italiani.
Negli ultimi tempi erano emersi altri due soggetti. Circa un anno fa nacque Fermare il Declino (metto le mani avanti: ho contribuito a fondarlo e potrei non essere obiettivo) che scelse di concentrarsi sui temi economico-sociali più urgenti. Alla base un programma coerente e dettagliato: meno spesa pubblica, tagliare le tasse, privatizzare, liberalizzare, concorrenza nei servizi pubblici e nell'istruzione, valorizzazione del merito, legalità. Alla testa Oscar Giannino, giornalista con un passato giovanile politico. Giannino aveva un modo di porsi originale, quasi bizzarro, ma era un comunicatore formidabile. In poco tempo Fermare il Declino raccoglieva decine di migliaia di aderenti, donazioni diffuse e generose, candidati credibili, e sembrava avviato verso un risultato elettorale sorprendente quando crollò sulla classica buccia di banana: i falsi titoli di studio del suo candidato premier. A cinque giorni dalle elezioni fu un colpo fatale: come ricordava Nenni, se in politica fai il puro, trovi sempre qualcuno più puro che ti epura e Fermare il Declino non sfuggì alla ferrea regola, raccogliendo l'1,1 per cento dei voti.
Infine Scelta Civica, guidata da Mario Monti. Non era forse egli il professore liberale che con il suo governo aveva riformato le pensioni e introdotto serie misure di liberalizzazione?
Ahimè, la gran parte dell'elettorato italiano si ricordò del governo Monti come di un esecutivo che aveva innaffiato i cittadini di tasse senza tagliare le spese, non riuscendo a liberalizzare né un taxi né un notaio. Inoltre, il partito era un'amalgama di cattolici di sinistra e liberali con un programma vago. La campagna elettorale venne sprecata a parlare di alleanze e Monti, nel tentativo di essere più alla mano, risultò goffo. Risultato: un misero 10 per cento, cioè quanto il vecchio centro Udc-Fli-Api prendeva nei sondaggi nel 2011-2012.
Ora Berlusconi è gravemente ferito, Scelta Civica è a continuo rischio di scissione e gli altri tentano faticosamente di ricostruirsi; quella parte di elettorato che vorrebbe più libertà economica, legalità, diritti civili (i cui confini sono mobili, peraltro), istituzioni ispirate a Montesquieu, sono più che mai orfani o pregano nell'arrivo salvifico di Renzi-Godot.
Prima o poi, però, qualcuno riempie i vuoti in politica. Quindi per chi non è rassegnato a una galassia che veda al centro un sole-Pd e due agitate formazioni di contorno delle quali il sole si serve a seconda delle convenienze, è ora di svegliarsi. Quando Giuseppe Prezzolini propose a Gobetti la Società degli Apoti, gli imparziali uomini liberi, critici e osservatori, il giovane Piero rispose che una tale congregazione chiusa sarebbe stata una «punizione di difesa», non una prospettiva. E la storia gli diede tragicamente ragione.