In Belgio ci sono state oltre cinquemila espulsioni negli ultimi mesi. Ma anche Germania, Francia, Inghilterra cercano escamotage per espellere o per limitare l'ingresso di uomini e donne comunitari che potrebbero, in teoria, gravare sullo stato sociale. Anche se hanno un lavoro e se le direttive europee lo vietano

Alcuni leader europei, tra cui la tedesca Angela Merkel, riuniti a Bruxelles
In Europa è in atto una svolta, tanto silente quanto pericolosa: si alzano barricate a difesa dei propri confini rigettando i cittadini europei con espulsioni a raffica. “Sono cittadini comunitari, e vengono espulsi dai paesi membri. E' accaduto a 5.913 persone espulse dal Belgio in pochi mesi. Ci sono italiani e spagnoli ma anche olandesi, francesi e tedeschi”, denuncia Morena Piccinini, presidente del patronato Inca.

“Prima venivano espulsi quelli che usufruivano dello stato sociale non lavorando. Ora la deriva è preoccupante perché vengono espulsi anche quelli che lavorano” spiega Piccinini.
Dal 2013, l'ordine di lasciare il Paese viene spesso notificato anche a cittadini europei lavoratori dipendenti a tempo pieno, non falsi turisti sociali, o lavoratori invisibili (lavori a nero). Il motivo è che usufruiscono del welfare state. La deriva, se crescesse in tutti i paesi adottassero questa politica ultraprotezionistica, sarebbe l'assottigliamento dei confini intraeuropei, con barricate a difesa del benessere nazionale.

Già nel 1957, i fondatori della CEE avevano capito che se la "libera circolazione" doveva essere una libertà fondamentale, questa non poteva che appoggiarsi su un "coordinamento" transfrontaliero dei regimi nazionali di previdenza sociale. Questa è una deriva contagiosa, in Europa corrono a barricarsi nel proprio welfare Gran Bretagna, Germania, Francia e non solo. Tutti invocano “restrizioni alla libera circolazione” e, soprattutto, a limitare o impedire l’accesso alle prestazioni sociali agli stranieri, anche se cittadini UE.
La Francia ha espulso in massa, nel 2010, Rom Sinti e Caminanti, e per questo è stata richiamata dall’UE. Secondo il rapporto di Médecins du Monde più di 9.000 tra rumeni e bulgari sono stati espulsi dal territorio francese (in totale erano circa 15.000), non solo, secondo un rapporto della Ligue des droits de l'homme, (la lega per i diritti umani), pubblicato ad inizio 2014, il governo avrebbe allontanato dagli alloggi circa 20.000 cittadini europei. Va ricordato che dal Dal 1°Gennaio 2014, la Bulgaria e la Romania godono degli stessi diritti del lavoro degli altri cittadini europei.

Anche la Gran Bretagna con il primo ministro Cameron ha dato una svolta claustrale alla sua rubrica di governo. Non esistono mezze misure contro il "turismo sociale" dei comunitari che mettono a rischio il benessere inglese. Il Premier ha annunciato una serie di restrizioni contro i migranti dell'UE, compreso il divieto di accesso ai sussidi per l'alloggio per tutti i nuovi arrivati, dal 1 gennaio 2014.

E' compreso il divieto di richiedere l'indennità di disoccupazione dopo essere sbarcati sul suolo britannico, come avveniva in passato, e comunque chi ne beneficerà non potrà farlo per più di sei mesi. Il pacchetto di restrizioni è stato sostenuto dai partner di coalizione dei Tories e dai liberaldemocratici. Una quota nazionale d'ingresso, un vero e proprio sbarramento per i migranti provenienti dall'Unione Europea è la proposta che viene direttamente dal civico 10 di Downing Street, abitazione del primo ministro.

La Germania non resta a guardare. Italiani, greci, spagnoli e gli altri europei che si trasferiscono alla ricerca di un posto di lavoro, non avranno più il diritto di ricevere, dal primo giorno di permanenza, il sussidio di disoccupazione, come stabilito dal Piano Hartz (Arbeitslosengeld I – indennità di disoccupazione). Nonostante vi sia, inoltre, una Convenzione europea di assistenza sociale e medica (Trattato STE14) ratificata da 18 paesi, che prevede prestazioni sociali dal primo giorno di permanenza sul suolo ospitante.

Chi non ha lavoro non è ben accetto: dopo 6 mesi si può essere espulsi nonostante la direttiva europea consenta agli Stati membri di espellere i cittadini solamente per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Si sta assistendo a restrizioni della libera circolazione dei cittadini europei e alla riduzione delle tutele e dei limiti d'espulsione. Eppure la direttiva parla chiaro: la possibilità di espulsione dei disoccupati è implausibile, perché i motivi di espulsione non possono essere 'invocati per fini economici' (articolo 27.1 - dir. 2004/38). Le elezioni europee sono state il barometro della pressione sociale sul tema: la libera circolazione delle persone è un pilastro fondamentale del libero mercato, insieme alla libertà di circolazione di beni, servizi e capitali, che finora l'Europa ha difeso. Ma qualcosa sta cambiando.


BELGIO: VENTI DI QUARANTENA

“L'espulsione di queste persone è una decisione che si basa su un'interpretazione equivoca della direttiva sulla libera circolazione" spiega Carlo Caldarini, direttore dell'Osservatorio per le politiche sociali in Europa" e aggiunge "oggi i due pilastri principali che disciplinano il sistema della circolazione sono la direttiva 2004/38 e il regolamento 883/2004. La prima stabilisce, ad esempio, che ogni lavoratore cittadino dell'Unione, subordinato o autonomo, ha il diritto di soggiornare senza altra condizione che quella di essere appunto un lavoratore (articolo 7.1 – dir. 2004/38), e che un cittadino dell'Unione in cerca di lavoro non può essere allontanato finché è in grado di dimostrare che continua a cercare un lavoro e che ha possibilità di essere occupato (articolo 14.4 – dir. 2004/38). Il secondo, invece, obbliga i diversi sistemi nazionali di welfare a coordinarsi tra di loro in modo che, per fare un esempio, se hai lavorato in Italia e in Belgio, e poi finisci disoccupato, nel calcolare le tue indennità di disoccupazione si dovrà tenere conto di tutti i tuoi periodi di lavoro. Insomma, a conti fatti, queste espulsioni non collimano con le direttive europee”.

In un primo momento, ad entrare nel mirino dell'Ufficio federale per gli stranieri erano per lo più beneficiari del cosiddetto reddito d'integrazione, una misura d'assistenza sociale destinata in Belgio a garantire un minimo vitale a chi non dispone di altri redditi. Poi è stata la volta dei disoccupati, oggi si colpisce chi ha trovato un lavoro con l'articolo 60, ossia una forma d'impiego istituita dallo Stato per favorire l'occupazione sociale.

“Il Servizio federale per l'integrazione sociale spiega, anche sul suo sito web, che il contratto di lavoro articolo 60 è come "un contratto di lavoro subordinato classico"  puntualizza Caldarini "e le carte che i servizi sociali fanno firmare al lavoratore in questione sono in tutto e per tutto un contratto di lavoro”.

I CASI

Willem Groenewegen, olandese, è titolare da 13 anni di una ditta individuale di traduzioni ed è noto per traduzioni in inglese di poesie di poeti fiamminghi. Il 19 agosto 2013 gli è stato comunicato l'ordine di lasciare il territorio belga, adducendo come motivo che non poteva dimostrare di avere sufficienti risorse per vivere, e che quindi poteva esserci la possibilità che potesse rivolgersi allo Stato belga o al Comune di Anversa per chiedere aiuto.

Il decreto di espulsione era molto duro, e gli ordinava di lasciare il territorio entro 30 giorni (il che è contro la direttiva europea 2004/38), pena la reclusione. WG ha dichiarato che non ha bisogno di aiuto: “Sono traduttore professionista e non ho mai fatto ricorso ad aiuti dello Stato, niente sovvenzioni, aiuti o sussidi di qualsiasi genere. Ho fatto tra l'altro traduzioni di poeti per la stessa Città di Anversa che mi ha espulso”. WG ha presentato ricorso contro il decreto di allontanamento, ma il Tribunale di Anversa non gli ha dato ragione e a marzo 2014 ha ricevuto un nuovo ordine di allontanamento.

Questa storia,  insieme ad altre, è stata raccolta dall'Osservatorio Inca. Tra i casi eclatanti c'è quello di una donna francese con tre figli che ha ricevuto un ordine di lasciare il paese mentre lavorava con contratto a tempo pieno “Articolo 60”. In un giorno la donna ha perso lavoro, reddito e diritto di risiedere in Belgio, per sé e per i suoi tre bambini, e questo in pieno anno scolastico.

Una famiglia francese che vive da tre anni a La Louviere, nel Belgio francofono, ha ricevuto un ordine di lasciare il territorio nazionale il 20 novembre. L'Ufficio stranieri ha ritenuto che questa coppia con 4 figli non disponesse di mezzi di sussistenza sufficienti e fosse quindi "un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale del regno". Il padre, Franck D., ha recentemente perso il lavoro. Sua moglie , Stephanie C., ha lavorato in una casa di cura, ma questo lavoro era appunto un "Articolo 60".

Un altro caso, tra i centinaia, è quello di Silvia Guerra, una musicista italiana di 39 anni: dal 1 dicembre 2012 Silvia lavorava come artista presso una scuola di circo, con un contratto di lavoro a tempo pieno di tre anni. Anche a lei è stato notificato l'allontanamento. Con figlio a seguito.

Carlo Caldarini, che da anni vive a Bruxelles ed è un esperto di politiche sociali, ci tiene a sottolineare che sarà promotore in Europa, a breve, di un esposto, insieme ad autorevoli firme della cultura belga e non solo, per arginare questi venti di quarantena. Per ora, le voci che si sono levate contro queste espulsioni si contano sulle dita di una mano, le più importanti sicuramente di Philippe Cordery, deputato francese e Zoé Genot, deputata belga.