Anche il fango è potere. Colloquio con Giancarlo De Cataldo
«Tenere sotto controllo i nemici “esterni” è legittimo, ai fini della sicurezza nazionale. Il problema comincia con i “sovversivi”, cioè i connazionali che vogliono abbattere il regime. È qui che il confine tra chi è veramente un nemico del sistema e il semplice avversario politico può diventare molto labile». Parla il giudice scrittore di 'Romanzo Criminale'
«L’informazione è potere. Meglio, il potere è possedere informazioni riservate e decidere se e come usarle. Contro o a favore di chi». Da qui parte Giancarlo De Cataldo, giudice e scrittore, per spiegare come funziona la pratica del “dossieraggio” cioè dell’uso ricattatorio e minaccioso delle notizie, appunto, riservate.
Nel suo bestseller “Romanzo criminale” campeggia la figura del Vecchio, potente e misterioso capo dei servizi segreti, ispirata a Federico Umberto D’Amato, storico dirigente dell’Ufficio Affari Riservati del ministero degli Interni.
Al centro del sequel “Nelle mani giuste”, il destino dell’archivio del Vecchio, migliaia e migliaia di dossier spesso illegali che devono finire, appunto, nelle mani giuste. «Li ho immaginati – dice De Cataldo – caricati su due tir sempre in movimento per sfuggire a ogni controllo. Ma questa è una trovata da romanziere. Invece è storico l’uso dei dossier ai fini di lotta politica interna, e non bisogna certo aspettare l’Ufficio affari riservati. Possiamo risalire già ai prefetti crispini e poi giolittiani, molto attenti a schedare gli avversari politici dei “loro” ministri».
Perché specificare lotta politica “interna”?. «Perché tenere sotto controllo i nemici “esterni” è legittimo, ai fini della sicurezza nazionale. Il problema comincia con i “sovversivi”, cioè i connazionali che vogliono abbattere il regime. È qui che il confine tra chi è veramente un nemico del sistema e il semplice avversario politico può diventare molto labile».
Quindi durante la Guerra Fredda il dossieraggio era in qualche modo legittimo? «Certo, Abbiamo avuto le Gladio, abusi, depistaggi (una relazione del Copaco del 1995 ne ricostruiva dettagliatamente ben 14 casi a partire dal 1945). Ma almeno si può dire che esistevano delle motivazioni, se non ideali, politicamente serie. Dopo il 1989, nella Seconda Repubblica, tutto questo viene meno e allora si scatena una pura guerra per bande. L’uso dei dossier per la carriera o per colpire il nemico personale. O bastonare l’avversario di turno del capo. Quella che è stata chiamata la macchina del fango».
Come si costruisce un dossier? «Raccogliendo notizie a carico di qualcuno o qualcosa. In teoria, notizie vere. Per esempio se un’azienda straniera scala un’impresa che produce materiale sensibile per la sicurezza internazionale, sarà legittimo informarsi. Ma la storia ci dice che poi nei dossier le notizie false si mischiano a quelle vere. E soprattutto che ne viene fatto un uso “deviato”, per colpire qualcuno, proteggere qualcun altro o anche solo minacciare, come si fa con i “galleggianti”».
Cosa sono? «Lo strumento più classico di ricatto. “Galleggianti”, nel mondo dei servizi, vengono chiamati quei dossier che non vengono diffusi, ma di cui si fa trapelare l’esistenza. È sufficiente far circolare qualche notizia, qualche allusione sapiente, in modo che chi di dovere capisca di essere nel mirino. Poi sta a lui adeguarsi o meno».
I dossier “falsi”, quindi, sono utili quanto quelli veri. «Un falso dossier può servire per colpire un nemico, ma anche ad altro. Per esempio a giustificare una guerra come nel caso dell’Iraq. In quel caso le false prove sull’uranio di Saddam erano state costruite a Roma, in qualche bar di piazza Navona, e poi fornite dal Sismi di Niccolò Pollari alla Cia. E l’amministrazione Bush le utilizzò per sostenere che l’Iraq prima si stava dotando di “armi di distruzione di massa”».
Cosa devono pensare gli italiani dei loro servizi segreti? «Intendiamoci: il lavoro di intelligence è una cosa seria, indispensabile per difendere gli interessi e la sicurezza di un paese. E molte volte svolgono il il loro compito con fedeltà ed efficienza. “Un attentato”, mi ha detto una volta un agente, “è quando voi ne venite a conoscenza”. Per dire che c’è un lavoro di prevenzione che avviene nell’ombra e senza pubblicità. Con dolore però dobbiamo constatare che in Italia troppo spesso non è stato così».