Opinione
Referendum in Scozia: "Dico sì, ma non siamo leghisti"
Toni Giugliano, coordinatore dei “sectoral groups” (gruppi di pressione) favorevoli all’indipendenza
Nella sede degli indipendentisti, nella centrale Hope Street di Glasgow, incontriamo il coordinatore dei “sectoral groups” (gruppi di pressione) favorevoli all’indipendenza. Fra i volantini sulla Scozia che sta per diventare «una delle più ricche fra le nazioni» e quelli in polacco, cinese e urdu pensati per accalappiare i voti delle consistenti minoranze, l’italo-scozzese Toni Giugliano mette subito le mani avanti: «Non pensiate che siamo come la Lega Nord, voi giornalisti italiani, perché non c’entriamo proprio nulla». In effetti c’è un elemento atipico nel nazionalismo scozzese, che lo differenzia non solo dalla Lega ma da gran parte dei movimenti nazionalisti contemporanei: è un movimento profondamente di sinistra. Poco importa se la tomba di Adam Smith si trova a Edimburgo, mentre Marx giace nella capitale dominata dal neoliberismo Tory.
Qual è il motore della vostra campagna?«Sarebbe sbagliato affermare che la storia di dissidi secolari fra le due nazioni non stia giocando un ruolo nella spinta indipendentista, ma la campagna si concentra sulla questione economica e sul problema della democrazia. Quest’ultimo si può riassumere col nostro slogan: «Il futuro della Scozia dev’essere nelle mani della Scozia». Della Scozia, e non nelle mani di governanti conservatori che non avremmo mai scelto. È vero, abbiamo un parlamento scozzese che può prendere decisioni su alcune questioni, ma non è abbastanza. Su temi come welfare e tassazione, difesa e politica estera, Unione Europea e immigrazione, il governo centrale ci sta portando nella direzione sbagliata: una Scozia indipendente si muoverebbe in maniera radicalmente diversa».
Passiamo alla questione economica e alle risorse del mare del Nord.