A soli otto anni Claudio Cimarosti è già abituato a guardare la morte in faccia. Non solo quella che gli appare a piazzale Loreto nei volti del Duce, di Clara Petacci e dei gerarchi, al cospetto dei quali è posto dal padre senza alcun indugio. Tra partigiani assassinati e violenze verbali, Claudio può dire di aver bruciato presto le tappe della vita

Claudio Cimarosti con la madre in piazza Duomo
Quel giorno in piazzale Loreto io c’ero.

Prima ancora che fossero appesi a testa in giù alla pensilina del distributore di benzina, la notizia che Mussolini e la Petacci erano stati uccisi ed erano in piazzale Loreto si sparse per la città. Anche mio papà lo seppe, prese immediatamente la bicicletta, mi mise in canna e partimmo per piazzale Loreto.

In piazzale Loreto c’era una folla enorme. Mio papà, con me per mano, tentò di avvicinarsi al punto dove c’erano i cadaveri di Mussolini, della Petacci e degli altri gerarchi, ma fu impossibile anche perché, ad un certo punto, la strada era stata completamente allagata. […] Poco dopo che fummo arrivati furono appesi a testa in giù alla pensilina di un distributore di benzina e noi potemmo vederli. Forse credo […] che quello non debba essere stato uno spettacolo molto edificante per un bambino di otto anni!

E questo ebbi modo di dirlo a mio papà, una sera, chiacchierando, qualche anno prima che lui morisse. “Come hai potuto pensare – gli chiesi – di portare un bambino di otto anni a vedere dei cadaveri esposti in piazza?”.
E lui mi diede ragione.

“Oggi – mi disse – Non lo rifarei sicuramente, ma questo ti deve far capire che clima c’era in quel periodo, che aria si respirava in quei giorni. Tu sai che in vita mia non sono mai stato un esagitato, però quel giorno mi sembrò assolutamente normale portare anche te, perché quello era un avvenimento storico eccezionale, ma soprattutto perché tutti gioivano che il fascismo avesse fatto quella fine. Che fosse finita la guerra, le lotte civili, la dittatura. E mi sembrò giusto far partecipare anche te a questa gioia”.

[…] D’altro canto non era la prima volta che vedevo dei cadaveri. Era una cosa quasi normale in quel periodo. Una mattina io ed i miei amici, nel bel mezzo del parco Solari che dovevamo attraversare per andare alle scuole di via Ariberto, trovammo, steso in un prato, il cadavere di un partigiano. Evidentemente era stato ucciso nel corso della notte e giaceva là da ore senza che alcuno se ne curasse. Un’altra volta andammo a vedere due partigiani che erano stati fucilati a piazza Cantore. E di morti se ne sentiva parlare ogni giorno. Uccisi da entrambe le parti, partigiani e fascisti. E si sentiva parlare di gente arrestata, di persone sparite, si sentiva parlare di torture che avvenivano nelle carceri.


Claudio Cimarosti (Milano, 1937)

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