
Le due crisi che stanno per colpire l’Europa sono ormai ben note, a tal punto che la maggior parte delle persone le considera quasi noiose. Per noia, o per semplice irritazione, si arriva alla indifferenza. E l’indifferenza è pericolosa. Come avrete probabilmente indovinato, le due crisi sono originate da Atene e Londra, e riguardano il default del debito pubblico della Grecia e la sua conseguente uscita dall’euro, e l’avanzare della Gran Bretagna verso un referendum sulla decisione di uscire del tutto dall’Unione europea.
Il default della Grecia diventa ogni giorno più plausibile. E le elezioni in Gran Bretagna hanno prodotto un punto morto, uno stallo, un’instabilità tali che un referendum sembra ineluttabile.
Si tratta di crisi notevoli, in qualsiasi periodo. Ma la ragione per la quale adesso sono ancora più pericolose è che la politica europea, e in verità la società europea, è in uno stato di particolare fragilità. Con 23 milioni di disoccupati nell’Unione, rabbia e delusione sono onnipresenti. Intanto, il nostro vicino a est, l’Ucraina, è stato invaso, e i nostri vicini a sud, nell’Africa del nord, sono in condizioni tali che decine di migliaia di migranti sono in procinto di partire per venire da noi. Queste minacce, lungi dall’unire l’Ue, hanno messo ancor più in evidenza le divisioni e la perdita di fiducia nelle soluzioni comuni e collaborative.
Ogni volta che in un paese membro dell’Ue si svolgono le elezioni - in Grecia a gennaio, in Gran Bretagna a maggio, in Spagna a dicembre e, quanto mai importanti, in Francia nel 2017 - sul futuro dell’Europa incombe come un’ombra cupa la possibilità che un partito populista e anti-Ue guadagni terreno o arrivi addirittura al potere. La gravità delle due crisi, greca e britannica, è dovuta al fatto che presumibilmente renderanno quell’ombra ancora più cupa.
Il timore nei confronti di un simile esito spiega perché l’ex corrispondente de “l’Espresso” Annalisa Piras e io abbiamo intitolato The Great European Disaster Movie il nostro nuovo documentario che sarà mandato in onda in anteprima in Italia l’8 maggio su Sky Cinema. È un campanello d’allarme per trasmettere una migliore consapevolezza di qual è la posta in gioco.
La crisi greca e quella britannica potrebbero determinare diversi tipi di avversità, ma purtroppo molti degli stessi risultati. Tra queste due crisi vi sono alcune analogie, benché si presentino per ragioni diverse. La prima è che sia il nuovo governo greco di sinistra sia il governo britannico uscente di centrodestra hanno commesso il medesimo errore madornale.
Nelle loro contrattazioni con gli altri governi europei, hanno definito i rispettivi Paesi eccezioni che esigono un trattamento speciale, e di conseguenza si sono isolati da sé, alienandosi ancor più i loro alleati naturali. Un’altra analogia, ancora più importante, è che per esasperazione molte autorità politiche europee - compresi alcuni leader nei governi di Germania e Francia - sono arrivate però a ritenere che, per quanto incresciosa possa essere l’uscita di Grecia e Gran Bretagna dall’Ue, si riuscirebbe in ogni caso a far fronte alle conseguenze. «Que sera, sera…», cantava Doris Day. Forse, alla fine, andrà così. In entrambi i casi, però, questa visione fa correre un grosso rischio al futuro del nostro continente.
Esaminiamo per primo il caso della Grecia: il nuovo governo di Syriza si è comportato male nei negoziati e ha aggravato la situazione della Grecia. La piccola ripresa alla quale il Paese stava assistendo alla fine del 2014 si è già esaurita. I titolari di conti di deposito stanno prelevando i loro soldi dalle banche elleniche. Di conseguenza, invece del calo del debito pubblico greco che la Commissione Ue ancora a febbraio prevedeva per quest’anno (dal 176 al 170 per cento del Pil), la Commissione ormai prevede che entro dicembre ci sarà un aumento fino al 180 per cento del Pil. Per pagare le pensioni e i salari del pubblico impiego il governo greco sta dando disperatamente la caccia a denaro liquido. Malgrado ciò, non ha fornito ai suoi creditori nulla di quello che essi avrebbero potuto considerare un serio piano di riforme economiche.
Tutt’altro: ha lanciato accuse ai quattro venti a proposito dei risarcimenti dalla Germania per danni di guerra. La tentazione, quindi, è quella di impartirgli una bella lezione, invece di offrirgli altri finanziamenti per un ulteriore salvataggio. È lo stesso punto di vista che ebbe il Tesoro Usa nel settembre 2008 con Lehman Brothers, quando decise di lasciarla fallire per riportare un po’ di disciplina nel mercato. Ne conseguì un crollo a catena nel sistema finanziario internazionale, e da lì la peggiore recessione dagli anni Trenta. Se la Grecia lascerà l’euro, si ritiene che Mario Draghi e la Bce si adopereranno per evitare la rovina.
Di sicuro faranno «tutto quello che è necessario», se vogliamo prendere in prestito le parole di Draghi. Faranno quanto meno tutto ciò che le leggi europee e la Costituzione tedesca consentiranno loro di fare. Ma sarà sufficiente? Non ne sarei così sicuro. Il meglio che possiamo augurarci è che la Germania e gli altri governi stiano predisponendo un apprezzabile piano economico volto a contrastare i danni inferti da un’eventuale uscita della Grecia dalla zona euro: un massiccio programma di investimenti pubblici, abbinato a una forte spinta finalizzata a realizzare il mercato unico europeo, comprendente servizi, e-commerce e un’effettiva unione energetica. Se tutto ciò si concretizzerà, potrebbe avere il considerevole impatto che ebbe il Piano Marshall nel risuscitare l’Europa dopo il 1945. Potremmo chiamarlo il Piano Merkel. Speriamo.
Un piano simile, comunque, non riuscirebbe a salvare l’Europa dalle conseguenze di un’uscita dall’Ue della Gran Bretagna, tenuto conto che gli effetti di tale evento sarebbero di gran lunga più di natura politica che economica. Accadrà davvero? David Cameron promette di indire un referendum sul tema entro il 2017, se dopo le elezioni formerà il nuovo governo. Potrebbe non essere in grado di formarlo, ma è probabile che un referendum, prima o poi, ci sia. E la Gran Bretagna continuerà a essere un partner destabilizzante nell’Ue.
Proviamo a pensare al 2017, l’anno di un possibile referendum in Gran Bretagna e delle elezioni presidenziali in Francia. Pensiamo a una Marine Le Pen del Front National anti-Ue ed estremista che riesce a vincere. Sareste pronti a scommettere che non diventerà presidente della Francia? Già, e avreste ragione. Se però provate a immaginare che prima di allora nella zona euro si verifichi una nuova crisi innescata dall’uscita della Grecia, e che la Gran Bretagna si metta a spingere con forza la porta di uscita dall’Ue, siete ancora sicuri di voler scommettere contro la possibilità di una Le Pen presidente in Francia?
Traduzione di Anna Bissanti
Bill Emmott è stato direttore
di “The Economist”, ed è produttore esecutivo di “The Great European Disaster Movie”