Da Nord a Sud, il linguaggio della "stecca" è riconosciuto ovunque. Viaggio nel Paese che si lascia comprare per poche centinaia di euro: tanto a pagare è sempre la collettività

Illustrazione di Emanuele Fucecchi


Cara vecchia piccola mazzetta. Anche il 2018 è stato un anno di grandi e piccole corruzioni. Pasano i governi, si susseguono leggi anti corrotti, ma la malattia resiste, immune a qualunque antibiotico. Uno studio di Transparency international del 10 dicembre scorso ha rivelato che nell’anno appena concluso i giornali hanno riportato 983 casi di corruzione. Quasi il doppio del 2017. E chissà quanti sono rimasti fuori da questo censimento.

Quelle citate da Transparency sono storie per lo più ignote all’opinione pubblica di micro corruzione. Divise per tutti i giorni dell’anno producono il dato più allarmante: tre casi al giorno, che coinvolgono almeno - la stima è al ribasso - 6 cittadini italiani ogni 24 ore. Dal professore universitario che obbliga il ricercatore a versare una somma per garantirsi il rinnovo della collaborazione fino al sindaco che cambia destinazione ai terreni per fare una “cortesia” all’amico imprenditore.

Non c’è settore immune: sanità, istruzione, giustizia, sociale, edilizia. Ogni ambito ha la sua cricca. Non mancano le mafie, che alla lupara preferiscono le bustarelle per convincere gli indecisi.

Chi pensa però che si tratti di un fenomeno concentrato solo in alcune aree del Paese, limitato a zone antropologicamente votate alla tangente, si sbaglia di grosso. Corrotti e corruttori non si nasce ma si diventa, si impara l’arte negli uffici pubblici e di imprese private. I pirati delle mazzette si muovono abili tra le pieghe, i cavilli e le disfunzioni della burocrazia. Più lunghi sono i tempi di attesa per un autorizzazione maggiore è il rischio di imbattersi in stimati professionisti che offrono soluzioni alternative(e illegali) per ridurre i tempi.

La fotografia della mazzetta italiana è impietosa: da sud a nord, non c’è regione, provincia, comune, immune dal desiderio di crearsi una scorciatoia pagando un dazio non dovuto. A scapito delle collettività, danneggiata enormemente dalle innumerovoli cricche locali, più o meno stabili nel tempo o che si aggregano di volta in volta per raggiungere lo scopo prefissato: procurarsi un ingiusto vantaggio personale, lucrando sulle risorse di tutti, giovani e meno giovani.

Intervista
Nel 2018 sono quasi raddoppiati gli evasori fiscali arrestati
11/1/2019


I pirati in doppiopetto, i colletti bianchi della corruzione, considerano il territorio alla stregua di una preda da scarnificare. L’Autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone dal 2014 al 2018 ha esaminato 171 ordinanze di arresto in cui erano presenti reati contro la pubblica amministrazione. L’accusa di corruzione è presente quasi ovunque. E solo l’anno scorso l’ufficio diretto da Cantone ha proposto 19 commissariamenti di appalti pubblici, tutti macchiati da vicende di corruzione. I commissari sono figure utilissime che garantiscono il prosieguo dei lavori, evitando così di chiudere e licenziare. Allo stesso tempo, però, l’indagato non continua a trarre profitto.

Dalle Madonie alle Alpi
La Commissione europea nel 2017 ha svolto un’indagine sulla percezione della corruzione nei singoli paesi membri dell’Unione. Il risultato più significativo è che in Italia il 15 per cento delle imprese ha risposto di aver ricevuto richieste di favori o di mazzette per almeno uno dei sei servizi rivolto alle aziende: permesso di costruire e commerciali, cambio d’uso dei terreni, permessi ambientali, aiuti di Stato e fondi strutturali. La differenza con la Spagna è enorme. Qui solo l’1 per cento ha rivelato di aver subito richieste di questo tipo. In generale il dato italiano è superiore dieci punti la media dell’Unione Europea.

L’ultimo rapporto 2018 di Confartigianato è l’amara instantanea di quanto già emerso nelle ricerche sia della Commissione europea sia di Transparency international: elaborando i dati Istat, l’ufficio studi dell’associazione degli artigiani è arrivata alla conclusione che il 7,9 per cento della famiglie italiane nel corso della vita ha ricevuto richieste di denaro, favori, regali o altro in cambio di servizi o agevolazioni. Segue a questa constatazione suffragata dai dati una classifica regionale. C’è il Lazio che svetta, con il 17,9 per cento, poi l’Abruzzo con l’11,5 per cento di famiglie che hanno subito i metodi della corruzione. A seguire Puglia, Basilicata, Molise e Campania, che vanno dall’11 al 8,9 per cento. Subito dopo si piazza la Liguria, 8,3 per cento. A pari merito due regioni che per ricchezza si trovano agli antipodi e che invece sono unite dalla corruzione: Calabria e Emilia Romagna. Il 7,2 per cento delle famiglie di entrambe ha dichiarato di aver avuto richieste illecite per soddisfare ciò che invece gli sarebbe spettato per diritto. In questa speciale classifica troviamo tutte le altre: anche le insospettabili Friuli-Venezia Giulia e Marche, il Piemonte, la Valle d’Aosta, la Provincia Autonoma di Bolzano e la Provincia Autonoma di Trento. Lombardia e Veneto (luoghi di mastondotici scandali su appalti Expo e Mose) si piazzano a metà classifica, dopo Calabria, Emilia Romagna.

Veglione coi carabinieri
E proprio dall’Emilia arriva uno degli ultimi casi del 2018. A Carpi, in provincia di Modena, era tutto pronto per salutare l’anno vecchio in grande stile. E invece l’ultimo Capodanno sarà ricordato a lungo da queste parti. Una storiaccia di corruzione, bandi cuciti su misura e favori sta scuotendo la giunta Pd della città. Nel mirino della procura di Modena una serie di affidamenti senza gara, tra i quali quello dato a una società che avrebbe dovuto organizzare la festa di San Silvestro. Il maggiore indiziato è il vicesindaco e assessore Pd Simone Morelli.

Nell’assessorato che dirige si sono recati i carabinieri per raccogliere documenti utili alle indagini coordinate dal procuratore capo di Modena Lucia Musti. Intanto, nell’attesa di capire l’evoluzone dell’inchiesta (dove emergono anche lotte di potere all’interno del partito e legami con la potente diocesi locale) una cosa è certa: il festone di fine anno è stato annullato dalla giunta di cui è assessore Morelli. Irregolarità nell’assegnazione dell’appalto. A subire, dunque, sono sempre i cittadini. Come al solito il prezzo di vere o presunte corruzioni lo paga la collettività, costretta a rinunciare al suo giorno di festa.

Le indagini ci diranno quanto è robusta l’ipotesi dei magistrati. Di certo, però, sono fatti come quelli di Carpi che hanno ricadute dirette sulla vita delle persone. Possono sembrare ipotesi di corruzione spicciola in confronto ai grandi appalti milionari, ma è corruzione quotidiana, i cui effetti si riverberano ogni giorno sui destini di famiglie e imprese.

Furbetti ad alta quota
Anche nell’insospettabile Valle d’Aosta non mancano i furbetti della mazzetta. A finire nei guai a novembre, per esempio, è stato il responsabile dell’ufficio tecnico del comune di Valtournenche. Lui, secondo gli investigatori, sfruttando la sua posizione ha favorito la cerchia di imprenditori amici in cambio di denaro. Chi in qualche modo si è opposto ha dovuto incassare le ritorsioni. Molto più clamore ha suscitato nella stessa regione il caso dell’ex governatore Augusto Rollandin, indagato nell’ambito di un giro di corruzione insieme a un manager e un imprenditore. Si attende la fine di febbraio, per capire se verrà o meno rinviato a giudizio.

Rimanendo sulle Alpi ma spostandoci verso est arriviamo in Trentino. Nell’ultimo anno qui sono accaduti due fatti degni di nota. Entrambi riguardano settori cruciali per la vita delle persone: sanità e istruzione. Beni comuni usati come cosa privata. La procura di Trento, con la Guardia di finanza, a giugno ha messo sotto inchiesta 17 persone, tra professiori e personale amministrativo dell’Università per appalti irregolari, incarichi esterni pilotati e doppi lavori. Pochi mesi prima della bufera sull’Ateneo è stata la sanità la pietra dello scandalo. Tecnici, professionisti, imprenditori, i protagonisti della vicenda. A vincere gli appalti erano le imprese più fortunate di altre che sapevano in anticipo le offerte dei concorrenti. Così i furbetti riuscivano a sbaragliare gli onesti. Un servizio di soffiate che aveva un suo prezzo.

Anche in Alto Adige il fenomeno è tutt’altro che assente. Una ricerca dell’Astat (l’istituto provinciale di statistica) ha rivelato che l’anno scorso il 3,1 per cento delle famiglie è stato direttamente coinvolto in episodi corruttivi, mentre cinque altotesini su dieci conoscono qualcuno che ha ricevuto una richiesta illecita in almeno un settore tra sanità, istruzione, uffici pubblici, lavoro e assistenza. Del resto la Guardia di finanza sei mesi fa ha reso noti alcuni dati significativi dul Trentino-Alto Adige: «Negli ultimi 17 mesi sono stati recuperati 210 milioni di euro di imposte evase. Denunciate per reati contro la pubblica amministrazione 134 persone e sequestrati 3,4 milioni».

Furbetti con la fascia
Il corrotto a volte può indossare la fascia tricolore di un sindaco. Succede di continuo, ma le tante storie di malapolitica locale non escono dai confini provinciali. Eppure messe assieme tratteggiano un quadro in cui il municipio, simbolo più prossimo della democrazia, viene svenduto a interessi privati. Prendiamo il caso di Acireale. Roberto Barbagallo del Pd è stato sindaco finché la procura di Catania - il pm Fabio Regolo- lo ha indagato per corruzione elettorale. Si è dimesso e ora è sotto processo. È accusato di aver disposto dei controlli amministrativi nei confronti di due ambulanti con l’obiettivo metterli in difficoltà, così da spingerli a chiedere aiuto al sindaco, che in cambio ha chiesto i voti per un suo compagno di partito candidato alla scorse Regionali.

A nord, invece, lo scorso hanno ha patteggiato una pena a 4 anni Danilo Rivolta, l’ex sindaco Forza Italia di Lonate Pozzolo, provincia di Varese. Secondo l’accusa, Rivolta ha ricevuto denaro per cambiare la destinazione d’uso di alcuni terreni. Favori, insomma, a imprenditori amici tramite anche lo studio di architettura del fratello.

Sempre in Lombardia, a Seregno, a finire nei guai per una storiaccia di corruzione e abuso d’ufficio sono stati l’ex primo cittadino Edoardo Mazza (Forza Italia) e il due volte sindaco e poi vice di Mazza Giacinto Mariani, leghista della prima ora, mr preferenze, devoto a Matteo Salvini. Di Mariani campeggia una foto su Facebook dell’11 novembre 2018 di fianco al ministro del Viminale, «il mio ministro preferito», ha scritto Mariani. Quella visita non gli ha portato particolarmente bene: 30 giorni dopo è stato rinviato a giudizio. La sua colpa sono le irregolarità commesse, sostengono i pm, su una pratica edilizia viziata dalla corruzione dell’allora sindaco di Forza Italia, Mazza.

Da Seregno a Torre del Greco cambia poco. Se non i nomi. In questo caso nel paese vesuviano è finito a processo Ciro Borriello, sindaco fino all’inchiesta, con l’accusa di corruzione: le indagini hanno evidenziato un legame «malsano» tra il sindaco e alcuni imprenditori. Negli atti si parla di 20 mila euro al mese per Borriello. Saranno i giudici a giudicare le indagini della guardia di finanza e della procura. Intanto però Ciro Borriello per quell’inchiesta ha dovuto rinunciare al sogno di fare politica in grande nella Lega di Salvini. Già, l’ex amministratore di Torre del Greco aveva aderito al Carroccio sovranista, per tutti era diventato il primo sindaco leghista della Campania. Anche Borriello può vantare una foto ricordo con l’attuale mininstro dell’Interno, Matteo Salvini.

I casi, però, non finiscono qui. Si contano a centinaia in pochi anni. Da Brindisi, a Sperlonga, fino ai piccoli comuni dell’Abruzzo o del Molise. Storie sconosciute di democrazia infettata dal germe della mazzetta. Di diritti soppiantati dalla cultura del favore. È il caso delle numerose inchieste sparse nel Paese sull’assegnazione degli alloggi popolari. Veri e propri canali paralleli, dove non conta chi ne ha diritto ma chi può pagare di più. È accaduto a Roma, dove sono stati scoperti corrotti tra dipendenti del Comune e dell’Ater (ente che si occupa delle case popolari). E a Lecce, dove la procura sospetta che alcune assegnazioni siano state fatte in cambio di voti. Tra gli indagati, un altro leghista, il parlamentare Roberto Marti. A lui i pm contestano di aver concesso al fratello del boss l’uso di un bene confiscato

Per un pugno di spiccioli
Le megatangenti miliardarie ai tempi della lira o quelle milionarie di oggi catalizzano l’attenzione mediatica. C’è tuttavia un mondo di sotto della corruzione in cui si muovono professionisti e imprenditori, dirigenti e impiegati, che si vendono per molto poco.

Tra Roma e Torre del Greco, per esempio, è stato scoperto non molto tempo fa un giro di tangenti nel mondo delle assicurazioni. Avvocati, giudici di pace, periti, forze dell’ordine. Nel registro degli indagati sono finiti profili di ogni categoria.

Gli inquirenti hanno parlato di “sistema oliato”, con i legali che dettavano le sentenze ai giudici di pace e stabilivano a chi dovesse essere riconosciuta la responsablità di un incidente. È facile comprendere la portata del danno per chi, invece, era tagliato fuori dal giro. Durante le perquisizioni a casa del giudicie sono stati ritrovati 30 mila euro, secondo gli investigatori sono le mazzette accumulate. Non proprio una cifra sbalorditiva.

Del resto non ha fatto un grosso affare neppure l’impiegato dell’Agenzia delle Entrate di Cosenza che per accelerare una pratica di successione ha chiesto in cambio 300 euro.

C’è poi chi, come un dirigente dell’ufficio tecnicno di una Asl laziale, per garantire l’appalto a ditte amiche, ha chiesto in cambio non cash ma servizi di giardinaggio e traslochi da effettuare nelle sue abitazioni. E che dire delle sentenze comprate per 500 o mille euro in Puglia? Le ha scoperte l’anno scorso la Guardia di finanza a Foggia. Un prezzo alla portata di tutti. Nell’indagine sui verdetti a misura di corruttore è emerso un altro particolare: un commercialista indagato aveva a libro paga un funzionario tributario. Per una spesa mensile di soli 400 euro il professionista si era comprato una pedina cruciale nel meccanismo sanzionatorio. Illuminanti le parole del colonnello dell’epoca che ha condotto le indagini: «La funzione pubblica giudiziaria era stata trasformata in una sorta di giustizia privata». In poche parole il senso della corruzione quotidiana. Saccheggio perpetuo ai danni della collettività.