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novembre, 2019

Quei consulenti che aiutano a frodare lo Stato per centinaia di milioni

Alcune banconote da 50  Euro in mano a un cassiere di una banca. 16 aprile 2018 a Genova ANSA/LUCA ZENNARO
Alcune banconote da 50 Euro in mano a un cassiere di una banca. 16 aprile 2018 a Genova ANSA/LUCA ZENNARO

Fatture false per 2 miliardi nel 2018. Tremila società fantasma. E “servizi” a domicilio come quello di Ivan, nullatenente che preleva fino a 35 mila euro al giorno e si trattiene l’1 per cento per il lavoro ordinato via WhatsApp

Alcune banconote da 50 Euro in mano a un cassiere di una banca. 16 aprile 2018 a Genova ANSA/LUCA ZENNARO

Ordini di prelievo spediti ogni giorno via WhatsApp, teste di legno stipendiate a mille euro al mese e piazzate a capo di società che esistono solo sulla carta, un vortice di fatture false per non pagare le tasse e la garanzia di recuperare i soldi del nero.

È il servizio chiavi in mano per l’imprenditore che vuole evadere. Le prestazioni sono assicurate da strutture che tolgono ogni pensiero: offrono consulenti, commercialisti e persino camminatori come Ivan. Incensurato e nullatenente gira con il motorino e preleva tra i 15 e i 35 mila euro al giorno. Glieli caricano sul suo conto e per le “giornate di lavoro” prende l’1 per cento. Un’ondata di denaro a domicilio e un sistema micidiale a cui, solo a Roma, si sono rivolte più di 500 aziende. Imprese di facchinaggio, edili, anche una onlus che doveva tutelare i clienti di partita Iva.

Solo l’anno scorso nel Belpaese ci sono stati 2 miliardi di euro di fatture false. Tremila le società fantasma scovate dalla Guardia di Finanza tra gennaio 2018 e maggio 2019, più di 13 mila gli evasori totali. E così mentre il governo Conte bis annuncia, tra nottate a litigare e continui distinguo, la lotta dura con tanto di carcere per i grandi evasori, il numero dei crediti non riscossi è in costante crescita. 756 miliardi di euro nel 2015, un anno dopo 817, peccato che quelli recuperabili secondo l’allora presidente e amministratore di Equitalia si fermino a 52. Una metastasi criminale che sottrae risorse allo sviluppo del Paese, intossica il mercato, ostacola la concorrenza leale tra imprese e finisce per accrescere il carico fiscale dei cittadini onesti mettendo a rischio le regole della democrazia.

I criminali fiscali del resto si muovono senza sosta. Pochi mesi fa a Chieti una settantina di professionisti con una trentina di società e falsi dipendenti sono riusciti a far sparire 190 milioni. A Napoli un sessantenne friulano, senza nemmeno un cellulare intestato, ha messo in piedi una filiera dell’evasione nel settore siderurgico. Un vero affare: nessuna tassa da pagare e in più il guadagno nel vendere la merce sottocosto. Quanto a chi comprava era talmente consapevole da chiedere prezzi ancora più bassi. Ci sono i senzatetto come Bruno che vive in una baracca, per campare raccoglie rottami e d’un tratto s’è trovato amministratore di un impero e i colletti bianchi che si propongono come consulenti in grado di salvarti dalla crisi.

A Reggio Emilia un gruppo di “benefattori” ha studiato e catalogato centinaia di aziende. Poi è entrato in azione con il servizio di crediti di imposta fittizi per compensare altri debiti, beni acquistati senza pagare l’Iva e 900 milioni di false fatture emesse da società intestate a prestanome e lasciate piene di debiti. A farlo sono persino consorzi d’imprese che vincono appalti pubblici da centinaia di milioni. Postemotori doveva gestire e rendicontare i bollettini per la revisione delle auto, invece ogni settimana trasferiva fondi occulti. Il risultato? 20 milioni di debito verso l’Erario e oltre 45 di false fatture.

«È un sistema diffuso, un fenomeno patologico. Molte aziende vengono portate al fallimento e come concausa ci sono i crediti erariali da evasione. I soldi invece spesso finiscono all’estero. In paradisi societari prima ancora che fiscali», sottolinea il generale Giovanni Padula a capo del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza. Il meccanismo preferito è aprire una società in Paesi a fiscalità privilegiata. Si fa in giornata e sono sufficienti pochi euro per non avere alcuna responsabilità. «Esistono piazze finanziarie diverse e centri di affari, come ad esempio Malta, che attirano capitali di dubbia provenienza. Una volta create le società a cui ricondurre le fatture false il cerchio dell’illegalità si chiude e i milioni sono pronti a prendere la via di Emirati Arabi Uniti, Isole Marshall, Vanuatu», constata Padula.

Il denaro si inabissa dopo aver rimbalzato tra fatture di comodo e costi gonfiati. Inghiottito in un pozzo nero. Il sistema per prevenire ci sarebbe, ma molti di questi Paesi forniscono un numero di segnalazioni di operazioni sospette inferiore a quello che ci si potrebbe aspettare.

E così il nero diventa bianco e si rigenera nei canali dell’economia legale, alimenta fondi destinati a tangenti per accaparrarsi appalti pubblici, arricchisce le mafie. Perché professionisti senza scrupoli intrecciano affari con la più ricca realtà imprenditoriale del Paese: la criminalità organizzata. I boss gestiscono mediazioni, tessono reti e diventano protagonisti del mercato. Del resto sul totale dei soggetti denunciati o arrestati per mafia negli ultimi dieci anni la professione più rappresentata è proprio quella degli imprenditori.

Le false fatture sono diventate lo schema ricorrente per la criminalità organizzata come evidenzia il recente studio More di Transcrime-Università Cattolica. «È un’attività che sta crescendo con rapidità sia in Italia sia all’estero perché può servire per più scopi illeciti: abbattere l’imponibile fiscale, accumulare contante fuori bilancio e riciclare soldi sporchi. Si specializzano in fatture false e offrono servizi anche a imprenditori compiacenti non legati alla criminalità organizzata. In questo modo creano una rete di collaborazione e di scambio», nota il ricercatore Michele Riccardi. Una nuova generazione mafiosa che permette alle imprese di evadere il fisco per decine di milioni di euro cedendo crediti fiscali inesistenti.

È accaduto a Brescia e con i proventi i feroci stiddari hanno finanziato il traffico di droga. Pur mutando il business e indossando giacca e cravatta sono però rimasti fedeli alle intimidazioni: in aggiunta ai crediti fittizi offrivano anche protezione. E naturalmente mazzette e favori per i pubblici funzionari così da ammorbidire le verifiche fiscali. Gli investigatori hanno scoperto un giro di fatture false per 230 milioni di euro. Ad allertarli sono stati quattro commercianti. Di Gela, che a Brescia sono stati tutti zitti. Perché i confini tra lecito e illecito sono sempre più confusi e porosi e il patto con i clan non crea più disvalore sociale. «I colletti bianchi al fine di garantirsi l’impunità, si mobilitano per cambiare la definizione della realtà o oscurarla, mettendo in atto strategie di negazione, di normalizzazione, o ancora di vera e propria decriminalizzazione», evidenziano in “Le mafie nell’economia legale” (Mulino, 2019) i sociologi Rocco Sciarrone e Luca Storti.

Il sistema repressivo non sembra funzionare perché non tutela la sopravvivenza delle imprese, quasi sempre uccise dagli interventi dello Stato, con la perdita di lavoro e di risorse. «Allo stato attuale non ricorrere ai servizi della mafia costa fatica; è quasi espressione di eroismo. Questa è una condizione insostenibile», constatano con amarezza. Nel lontano 1980 Leonardo Sciascia riteneva che far pagare le tasse agli italiani fosse la più grande utopia che si potesse dare questo Paese. Il sottrarsi a un dovere per molti è un orgoglio, anziché una vergogna. Viviamo un’evasione fiscale ormai capillare con pseudo-professionisti che si prestano a offrire “servizi” per frodare come se fossero società di consulenza in piena regola.

«La verità è che non bastano le galere per tutti quelli che evadono e si fa leva sulla statistica, sulla probabilità di essere scoperti. E anche se dovesse accadere nel frattempo quelle persone hanno evaso per anni. Il fatto è che contribuzione fiscale si basa sulla fiducia e in Italia non c’è. Chi non paga le tasse non si fida dello Stato e lo Stato non si fida delle persone», ragiona il tributarista Sebastiano Stufano, ex ufficiale delle Fiamme Gialle che ha condotto alcune delle indagini di Mani Pulite. Perché come sostiene nel film “Panama Papers” la vedova vittima di una frode assicurativa interpretata da Meryl Streep: «l’evasione fiscale non può finire laddove pubblici funzionari chiedono soldi alle stesse élite che hanno i più forti incentivi a evadere le tasse e il fatto che serva una gola profonda per suonare l’allarme è il segnale che i controlli e i contrappesi della democrazia hanno fallito».

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