Ossessionato dalla Shoah, è convinto che solo lo Stato etnico salverà gli ebrei. E Il suo nazionalismo estremo lo ha portato ad avvicinarsi ai sovranisti di destra occidentali: Trump, Salvini, il gruppo di Visegrad

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Qualche anno fa, a Benjamin Netanyahu in visita in Italia, nel bel giardino della sinagoga di Firenze venne mostrata la lapide con scolpiti i nomi degli ebrei locali, vittime dei nazisti. Il premier israeliano guardò impressionato il memoriale e disse con enfasi: «Lo Stato degli ebrei esiste perché una cosa simile non accada mai più». Non c’erano giornalisti accanto.

Bibi, come viene chiamato il capo di governo, era in compagnia di pochi e scelti testimoni, per cui le sue parole possono essere considerate sincere e non un messaggio propagandistico per dire: la vita degli ebrei in Diaspora è sempre precaria, meglio che veniate in Israele. Ecco, Netanyahu, presidente del Consiglio uscente che sta affrontando l’ennesima campagna elettorale per le consultazioni politiche del 9 aprile, è un uomo ossessionato dalla Shoah, convinto che gli ebrei fuori dallo Stato d’Israele siano sempre a rischio, che l’ostilità nei loro confronti sia un tratto costitutivo dell’universo sia cristiano che islamico, e che quindi l’esistenza di uno Stato ebraico forte è l’unica garanzia per evitare altri futuri stermini. È una convinzione che Bibi si porta dentro la testa e dentro il cuore fin da bambino inculcatagli dal padre, uno storico importante, Benzion Netanyahu. Ci torneremo.

La svolta dopo Rabin
Intanto procediamo con ordine. Netanyahu è stato eletto premier per la prima volta nel 1996, un anno dopo l’assassinio da parte di un fascista ebreo di Itzhak Rabin, ex generale e uomo che univa una certa brutalità da militare con grande tenerezza (trasmessagli dalla madre), colpevole agli occhi degli oltranzisti non solo di voler cedere i territori occupati ai palestinesi, ma soprattutto di aver presieduto un governo la cui maggioranza poggiava anche sui voti dei deputati arabi, cittadini d’Israele, che pure non facevano parte dell’esecutivo. Ai tempi, nelle manifestazioni della destra, Rabin veniva rappresentato con foto in cui la sua testa era montata sul corpo di ufficiale nazista. Netanyahu, che almeno una volta assistette impassibile a un corteo del genere (lui stava sul balcone) ha sempre e con forza respinto ogni insinuazione di corresponsabilità morale per il clima d’odio che portò all’assassinio. E, dicono coloro che lo frequentano, Bibi non ha mai smesso di considerarsi un sincero democratico e un politico che gioca talvolta duro, ma sempre entro i limiti delle regole.

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Non è questo il parere dei suoi avversari. Soprattutto Tsipi Livni, ex compagna del suo partito, Likud, oggi nemica giurata, che lo accusa spesso di voler stravolgere le regole dello Stato di diritto e di aver in mente un Paese in cui la minoranza araba goda di meno diritti civili rispetto agli ebrei.

Arabi, siete solo ospiti
Ecco, rieletto premier nel 2009 (dopo dieci anni fuori dai governi), Netanyahu oggi è convinto che la controversa legge sullo Stato Nazionale sia invece un suo grande successo. Spiegazione: l’estate scorsa, il premier - con la sua coalizione della destra e dei fondamentalisti religiosi - ha voluto far approvare dal Parlamento una legge che sancisce una situazione di fatto. Israele, dice il provvedimento, è lo Stato della nazione ebraica. Per carità, nessun giudice arabo, cittadino d’Israele verrà allontanato e i medici arabi continueranno a curare i pazienti ebrei; ma la legge è stata un modo per dire a coloro che non sono ebrei (il 20 per cento della popolazione): questa non è casa vostra, siete ospiti, talvolta ben accettati, ma ospiti. E anche: un governo che poggi su una maggioranza che includa i partiti arabi non è del tutto legittimo.
Il personaggio
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E qui torniamo al padre di Bibi, Benzion. Nato nel 1910 a Varsavia, scomparso all’età di 102 anni, era studioso dell’inquisizione spagnola e della storia dei marrani, ebrei convertiti al cattolicesimo. Ora, mentre la teoria prevalente vede nei marrani l’esempio di persone dotate di più identità contrapposte, cattolici in pubblico, ebrei nel segreto e dove le due appartenenze si mescolano, sovrappongono in un mix foriero di tanti fenomeni della modernità (psicoanalisi, introspezione e simili) e mentre la teoria prevalente vede nella doppia identità, ossia nella segreta fede ebraica mai abbandonata, la causa delle persecuzioni, non così pensava Benzion. Per il padre di Bibi, la doppia identità era una falsa ipotesi, perché le identità non sono plurime. I marrani erano quindi sinceramente cattolici, avevano dimenticato i loro costumi ebraici, erano integrati nella società cattolica, e furono i loro concittadini e l’Inquisizione a ricordargli le loro origini. L’odio verso gli ebrei, questa è la lezione di Benzion, prescinde dalla loro collocazione sociale, identità linguistica e culturale contingente. Per rimediare, occorre essere come tutti gli altri: nazionalisti etnici cioè, nel proprio Stato, sulla propria terra. Il resto, sono giochi sull’orlo della catastrofe.
Sara Netanyahu e Melania Trump

Aggiungiamo che Benzion Netanyahu era segretario di Vladimir Zhabotinsky, leader sionista brillante, scomparso nel 1940, per un certo periodo affascinato da Mussolini (mai fascista, liberale di destra invece) in opposizione all’establishment laburista dominante. I laburisti volevano creare in Palestina un ebreo nuovo, agricoltore e combattente, socialista e soldato; Zhabotinsky invece diceva che tutto questo era un gioco da ragazzini, gli ebrei andavano evacuati dall’Europa con urgenza perché nel Vecchio Continente avrebbero trovato la morte. E da liberale di destra ragionava in termini di dura e brutale realpolitik, per cui gli arabi avrebbero compreso solo il linguaggio della forza.

La lezione del padre
Il sovranismo di Bibi, il suo nazionalismo senza compromessi, si spiega con la lezione ricevuta in casa. Nazionalista dunque, ma Netanyahu ama dire a chi gli sta vicino di non essere un uomo dal grilletto facile. Si vanta di non aver mai guerre, di non aver sacrificato soldati israeliani. E anche della sua abilità rispetto alla questione Iran. Dicono coloro che lo conoscono che il premier avrebbe bluffato quando minacciava di attaccare Teheran, colpevole di voler sviluppare armi atomiche; conscio dei consigli contrari all’avventura dei capi delle forze armate e dei servizi. È invece fiero di aver allacciato rapporti con Paesi sunniti del Golfo, come Bahrein, Oman, ma anche Arabia Saudita. Ovviamente si vanta di aver convinto Trump a spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme. E poi ci sono le relazioni strettissime con i Paesi europei del gruppo di Visegrad: queste sono per Bibi motivo di orgoglio, tanto che i capi di governo di quelle nazioni sono attesi a Gerusalemme a metà mese. Si tratta di luoghi dove i conti con la Shoah, non sono stati fatti? Non importa: sono alleati perché in omaggio alla realpolitik e alla convinzione per cui è impossibile che chiunque nel mondo ami gli ebrei, Israele ha interessi strategici, non amici di cuore. Fin qui, Bibi, figlio di Benzion.

In concreto, Netanyahu si presenta al suo pubblico come alfiere e garante dello status quo; del presente che deve perpetrarsi in eterno. Ecco quindi che il regime dell’autonomia senza Stato dei palestinesi in Cisgiordania è per lui una situazione ideale; per quanto riguarda Gaza, ha più volte autorizzato il trasferimento di soldi dal Qatar alla popolazione della Striscia, anche perché in cuor suo sa che a Hamas, che governa quel pezzo di terra, al momento non c’è alternativa. E ancora, Bibi è l’uomo simbolo del boom economico che Israele vive da dieci anni e più: crescita al quattro per cento l’anno, niente disoccupazione, zero inflazione.

La teoria del complotto
In tutto questo, su Netanyahu incombono accuse di corruzione e abuso di potere. Parlandone con gli amici, lui dice che in fondo si tratta di cose non significanti: regali di un tycoon di Hollywood, Arnon Milchan, a lui a alla moglie (champagne e sigari) e conversazioni con un proprietario di media perché l’immagine sua e sempre della moglie non fosse del tutto negativa (e c’è un do ut des); roba dice lui, che tutti i politici hanno sempre fatto. Peccato che non sono di questo parere gli investigatori.

Come tutti i sovranisti e populisti, Bibi è convinto che contro di lui ci sia una specie di complotto tra magistrati, stampa, poteri forti, sinistra e organizzazioni non governative (che tutti i sovranisti del mondo odiano), ma confida che potrebbe sconfiggerli un’altra volta, forte come è di incarnare il bisogno di stabilità. Secondo alcuni, ad aprile rischia di vincere nelle urne per poi non riuscire a mettere in piedi una coalizione di governo. Gli esperti sostengono, che se cadrà sarà perché il pubblico potrebbe risultare stufo dello spettacolo in corso e ansioso di vedere sul palcoscenico un nuovo protagonista, Benny Gantz, un generale senza biografia, e che si presenta come l’incarnazione del vecchio mito del pioniere soldato. Ma questa è un’altra storia.