Il Giappone non sa più chi è
L’infinita cerimonia per il cambio di imperatore nasconde la crisi d’identità del paese. Che soffre per la ruggente crescita cinese e ha la popolazione più anziana del mondo
L'imperatore Akihito e la sua famiglia sono di certo le persone più amate e rispettate del Giappone, eppure non hanno un cognome, un documento d’identità, né un passaporto. Non possono votare, né tanto meno essere eletti. Ci sarebbe da chiedersi se, giuridicamente parlando, siano a tutti gli effetti cittadini.
Il loro primo nome, spesso scelto ancor prima del concepimento e in genere non dai genitori, e la loro data di nascita, risultano solo dal “kotofu”, un antico registro di volta in volta aggiornato a mano, di cui esistono solo tre copie e al quale hanno accesso pochissime persone, tra le quali il Gran Ciambellano di turno ed il Sommo Sacerdote della Jinja Honcho, l’associazione che riunisce i templi shintoisti, la religione non più di Stato ma tutt’ora molto popolare e, almeno formalmente, molto seguita.
La stessa associazione custodisce i preziosi “sanshu no jingi”, cioè le tre insegne imperiali: il Sacro Specchio, la Spada ed il Gioiello. A suo tempo, narrano le leggende, appartenute alla Dea del Sole Amaterasu, bizzosa progenitrice dell’impero, e di volta in volta sono pervenute ai suoi 125 successori.
Tre oggetti, due dei quali sono certamente copie recenti (la Spada originaria venne perduta in mare nel 1185; il vero Sacro Specchio è custodito nel Tempio di Ise e non è stato mai spostato di lì) che in occasione di una segretissima cerimonia vengono consegnati (o più probabilmente “indicati”, senza nemmeno svolgerli dal loro involucro di tessuto) al nuovo imperatore.
Sarà questa la cerimonia più importante del lungo, costoso e affascinante rito di passaggio che inizia il prossimo primo maggio, il giorno dopo l’abdicazione di Akihito, 85 anni, in carica dal 1989, quando morì suo padre Hirohito.
L’imperatore uscente ha visto crescere nei decenni la sua popolarità: durante il suo mandato si è recato in tutte le 47 prefetture, accorrendo sempre - spesso prima delle autorità politiche - in occasione dei frequenti disastri naturali o di altro tipo. La sua foto accovacciato per terra, assieme alla consorte Michiko, accanto agli sfollati di Fukushima ha fatto il giro del mondo e ha colpito molto il popolo, al quale fino al secolo scorso era vietato persino alzare lo sguardo al passaggio del sovrano. Un popolo che oggi sarebbe pronto a riconoscere al ruolo di imperatore anche una maggiore rilevanza politica: «Nell’immediato dopoguerra il sistema imperiale era giunto al suo minimo storico», spiega Hidekazu Kanda, decano della stampa giapponese. «Allora un referendum istituzionale come quello che avete avuto in Italia ne avrebbe sicuramente sancito la fine. Oggi invece, di fronte alla inadeguatezza e all’arroganza dei politici. la gente comune vedrebbe con favore un maggiore coinvolgimento della famiglia imperiale, che non è più oggetto di culto dei fanatici nazionalisti, ma amata e rispettata da tutta la popolazione».
Ad Akihito succederà il figlio primogenito, Naruhito, non ancora sessantenne. Le cerimonie termineranno, dopo oltre una settantina di eventi più o meno pubblici, a fine novembre, con il sontuoso “daijosai”, che si potrebbe tradurre con il termine “consacrazione”. Una lunga e complicata transizione, per la quale il governo ha stanziato circa 200 milioni di euro, parte della quale si svolgerà davanti ai capi di stato e di governo che per l’occasione verranno invitati (in occasione dell’ultima consacrazione, quella di Akihito, furono oltre un centinaio gli ospiti stranieri) e che prevede anche una bizzarra visita notturna della Dea del Sole, che secondo la tradizione si congiungerebbe carnalmente con il nuovo erede, perfezionando così il processo di transustanziazione.
La Costituzione attuale, invece, definisce l’Imperatore un semplice “simbolo del popolo”, attribuendogli compiti spesso pesanti per durata e numero (sono oltre un migliaio l’anno) ma esclusivamente di rappresentanza, senza alcun potere politico come quelli concessi ai sovrani delle monarchie costituzionali nel resto del mondo.
Il cambio di imperatore avviene in un paese che dopo l’impressionante rincorsa nel dopoguerra - quando nel giro di pochi decenni passò dalle rovine a diventare la seconda potenza economica del mondo - sembra oggi fermo, incapace di affrontare le varie emergenze nazionali e le nuove sfide imposte dal cosiddetto “secolo cinese”. Quasi che dopo una lunga e avvincente fuga in corsia di sorpasso, il motore del Giappone abbia ceduto, e che l’intero paese sia, oramai da tempo, fermo ai box, in attesa di meccanici competenti, che vogliano o sappiano metterci le mani.
Nonostante le promesse più volte reiterate e una maggioranza blindata in entrambe le camere, il premier Shinzo Abe, giunto al quarto mandato, non è riuscito a far ripartire l’economia, ferma da anni attorno allo zero virgola, né a dare risposte alle varie emergenze sociali. Nonostante i dati ufficiali parlino di “piena occupazione”, infatti, in Giappone meno di un terzo dei lavoratori ha un contratto a tempo indeterminato, i salari non crescono da quasi vent’anni e i giovani si sentono insicuri e disorientati. Sono in aumento le persone che scompaiono senza dare più traccia di sé – li chiamano johatsusha, gli “evaporati” - e soprattutto avanza il triste fenomeno del kodokushi, la “morte in solitudine”: centinaia di anziani che nelle grandi città si lasciano morire nei loro appartamenti, e i cui cadaveri vengono scoperti spesso per caso, dopo molti mesi, magari a seguito di denunce per cattivo odore.
Ma più grave ancora, in prospettiva, è l’emergenza demografica. Il Giappone ha il primato mondiale di invecchiamento della popolazione, senza che questa venga compensata da giovane immigrazione. Nel 1950 solo il 5 per cento della popolazione giapponese aveva più di 65 anni, oggi questa percentuale è al 35, ed è destinata ad aumentare visto che le nascite continuano a calare. Nel 2017, per la prima volta da quando si fanno queste statistiche, sono scese sotto il milione. La popolazione sta calando al ritmo di circa 250 mila unità l’anno. Entro la fine del secolo, potrebbe ridursi della metà, da 120 milioni a 60. E questo perché ci si sposa di meno, ma soprattutto non si fanno più figli. Un dato rende l’idea della situazione: l’unico settore commerciale che cresce al ritmo del 7 per cento l’anno è quello dei pannoloni per anziani.
Intanto la leadership politica è sempre più logora, più preoccupata di sopravvivere agli scandali domestici che di ricostruire un ruolo internazionale per quella che è pur sempre la terza potenza economica del mondo ma si sente ormai minacciata dalla crescita impetuosa dell’immenso vicino continentale, la Cina. E non pochi pensano che le dimissioni di Akihito, crudelmente procrastinate dal governo per oltre due anni, siano dovute non solo a questioni di età e di salute ma anche al suo malcelato dissenso proprio nei confronti degli attuali leader politici.
Ora tocca appunto a Naruhito e a sua moglie, la “principessa triste” Masako. Si dice che l’erede continuerà nella stessa direzione del padre, avvicinando sempre di più la famiglia imperiale al popolo e provando ad aiutare come può il Giappone. Un Paese in crisi di identità, incapace di reagire, e che per questo si aggrappa sempre di più al suo imperatore.