Verso il voto
Nella città una volta feudo della sinistra il candidato sindaco della destra è favorito nei sondaggi. Siamo andati a vedere perché
di Fabrizio Gatti
L'applausometro di artigiani e piccoli imprenditori a Ferrara ha già deciso. L’acclamazione più sonora alla fine dell’illustrazione del programma va ad Aldo Modonesi, l’assessore uscente proposto dal Pd. Segue, di poco, Alan Fabbri, lo sfidante della Lega sostenuto anche da Forza Italia e Fratelli d’Italia. Molto più fiacco il battito di mani per Tommaso Mantovani del Movimento 5 Stelle, che si presenta ricucito dopo le liti interne. Tra loro tre e altri cinque candidati delle liste concorrenti, fra cui Roberta Fusari di +Europa, tutti seduti sul palco davanti al pubblico, la città emiliana sceglierà il dodicesimo sindaco dal dopoguerra.
Ovviamente gli umori nell’auditorium della Confederazione nazionale dell’artigianato non possono essere un sondaggio completo sul risultato delle amministrative del 26 maggio. Ma sono comunque un segnale in controtendenza dopo il ribaltone nelle ultime elezioni nazionali del 2018 quando, per la prima volta qui, la destra ha staccato il Partito democratico: 37,8 per cento contro il 30,9, nel confronto diretto per il Senato, con i 5 Stelle terzi al 22,5.
Benvenuti nella provincia profonda, dove la politica torna a riempire le sale. E non soltanto se c’è Matteo Salvini. Soffia aria di resistenza civile, di fronte all’evidenza di contatti sempre più frequenti tra la Lega e i fascisti di CasaPound.
Dopo aver parlato ai sostenitori dallo stesso balcone da cui si affacciava Benito Mussolini, il 3 maggio a Forlì, al ministro dell’Interno ora manca soltanto il saluto romano. Sono fin troppi i tabù infranti in pochi giorni: dal servizio commemorativo della Rai regionale, con i nostalgici in divisa e lacrime sulla tomba di Predappio per il compleanno del Duce (28 aprile), alla notizia dei ragazzini che in una scuola media fuori Ferrara aggrediscono e insultano un compagno di classe ebreo, con questa ambizione: «Quando saremo grandi faremo riaprire Auschwitz e vi ficcheremo tutti nei forni» (16 aprile). Anche se sono arrivate le condanne, rispettivamente della televisione di Stato e almeno in quest’ultimo caso del ministro Salvini, i continui affronti alla Costituzione risvegliano la risposta. E Ferrara sembra pronta a rappresentarla, come luogo della memoria per quello che è stata prima, durante e dopo la Seconda guerra mondiale.
IL PODESTÀ ERA EBREO
Non si possono dimenticare le parole di uno studente ferrarese di molti anni fa come Giorgio Bassani: «Ferrara era una città totalitariamente fascista», risponde lo scrittore in una bella intervista che Rai Scuola ripropone sul proprio sito Internet. «Gli stessi ebrei, che poi sarebbero finiti in così gran numero purtroppo nelle camere a gas», aggiunge Bassani, antifascista militante dal 1936, oggi sepolto nel cimitero ebraico di via delle Vigne, «in gran parte erano fascisti. Il sindaco di Ferrara, il podestà, era ebreo... Ferrara era una città estrema in questo senso, in qualche modo assoluta in questa negatività».
Bassani ci ha consegnato il ritratto di quel tragico mondo nel suo capolavoro “Il giardino dei Finzi-Contini”, raccontato anche nel celebre film di Vittorio De Sica. Dal 1943 il capoluogo e la sua provincia subirono poi la più dura repressione fascista con rastrellamenti e rappresaglie. Riaprire oggi certe finestre, riaffacciarsi agli stessi balconi di allora, spiazza gli elettori che avevano creduto in Salvini per le sue promesse su sicurezza, immigrazione irregolare, rimpatri. E non certo per lo sdoganamento delle nuove camicie nere.
IL LATO OSCURO
Di Ferrara a inizio 2018 L’Espresso aveva raccontato il lato oscuro. Quel male di vivere che, come in altre città della provincia italiana, non riesce a reagire: crisi economica, spopolamento dei quartieri, invecchiamento degli abitanti, povertà diffusa e stranieri senza documenti né lavoro ridotti al solito spaccio di droghe. Un ribollire di insoddisfazioni e paure, soprattutto nelle zone lontane dai percorsi del turismo culturale, che alle elezioni del 4 marzo di un anno fa hanno punito il Pd, al governo fino a quel momento sia in città sia a Palazzo Chigi.
Ora che è il momento delle amministrative, l’uomo scelto da Salvini per trasformare il malcontento in consenso è laureato in Ingegneria dei materiali, ha 40 anni e i capelli lunghi raccolti in un codino. Si chiama Alan Fabbri. Fa il politico di professione. Tessera presa a vent’anni. Candidato in quasi tutte le elezioni dal 2001 in poi. A trent’anni nel 2009 viene eletto primo sindaco leghista a Bondeno: quattordicimila abitanti a venti minuti di macchina da Ferrara, il suo paese è entrato nella storia della Resistenza il 18 febbraio 1945 per la rivolta di oltre centocinquanta donne che come ricorda una delle protagoniste, la partigiana Lidia Bellodi sul blog di Salvatore Giannella, per impedire la deportazione di figli e mariti assaltarono il municipio e distrussero i registri dell’anagrafe. Con tutte le drammatiche ritorsioni che seguirono.
Nel 2014 la Lega impone Fabbri al centrodestra per la presidenza della Regione Emilia Romagna. Silvio Berlusconi lo convoca ad Arcore per un breve esame, insieme con Giancarlo Giorgetti, attuale sottosegretario del premier Giuseppe Conte. Poi dice: «È un bravo ragazzo con la barba e il codino, ma glieli farò tagliare».
Alan Fabbri non è diventato presidente, solo consigliere regionale. Ha però conservato barba e codino.
Ecco, quando gli fanno la domanda sulla sicurezza, ti aspetti che l’aspirante sindaco della Lega, che oggi può contare su un ministro dell’Interno del suo stesso partito, snoccioli la ricetta per trasformare il parco-simbolo accanto alla stazione di Ferrara in un’area vivibile: con iniziative per riaprire i tanti negozi chiusi e rimpatriare irregolari e pregiudicati, secondo gli slogan cari a Salvini.
Fabbri dovrebbe essere esperto: ha partecipato a manifestazioni dietro cartelli con la scritta “Stop invasione, prima la nostra gente”. Invece cita l’ex premier Matteo Renzi, nome che perfino i renziani locali sono riusciti a dimenticare. E si fa ancora una serie di domande: «Mi chiedo che impressione ha il turista quando scende dal treno» dice Alan Fabbri «e vede che ti spacciano davanti e va bene se non ti stuprano». L’immagine appare eccessiva perfino agli imprenditori che avevano appena approvato le sue proposte sul contrasto alla burocrazia asfissiante e l’idea di sostenere il trasferimento delle manifatture dalla via Emilia. Parte infatti un oh di disappunto. Alla fine l’applauso è comunque corposo, grazie anche alla claque schierata qui in fondo sulla penultima fila di poltroncine. Bisogna però concludere che Fabbri non ha risposte, né soluzioni.
L’elezione della Lega può essere una sventura per l’economia delle città che vivono di turismo culturale. A Udine i vassalli di Salvini in Comune e Regione hanno annunciato la decimazione dei finanziamenti al festival VicinoLontano, che ogni anno a maggio organizza il premio letterario internazionale intitolato a Tiziano Terzani e soprattutto richiama oltre quarantamila visitatori che riempiono alberghi, ristoranti e negozi. «Il premio Terzani non promuove qualcosa di specifico e identificabile con la nostra realtà e funge in maniera marginale da traino per l’industria turistica», ha dichiarato a fine marzo l’assessore comunale alla Cultura di Udine, l’impiegato regionale Fabrizio Cigolot, 63 anni. Con la Lega alla guida del centrodestra deve sparire tutto ciò che non aderisce alla visione sovranista del mondo: dallo striscione per Giulio Regeni, tolto dalla facciata del Comune di Trieste, alla litania quotidiana di Salvini contro la trasmissione di Fabio Fazio alla Rai, l’inquadratura è sempre più stretta tra le griglie di una museruola.
MENO VENTICINQUE MILIONI
Anche il Comune di Ferrara ha pagato, finora, il mancato allineamento. A fine febbraio il ministero per i Beni culturali comunica la cancellazione di quasi venticinque milioni destinati al completamento del Museo nazionale dell’Ebraismo italiano e della Shoah, istituzione voluta nel 2003 dal Parlamento, con una legge votata all’unanimità alla Camera e al Senato. I soldi ci sono, erano già stati stanziati, ma sono stati redistribuiti perché la segreteria regionale del ministero non ha avviato nei tempi prescritti le procedure di gara e di assegnazione dei lavori. Un mese prima lo stesso ufficio del ministro Alberto Bonisoli, del Movimento 5 Stelle, aveva bloccato l’ampliamento degli spazi espositivi di Palazzo dei Diamanti. «L’hanno fatto il centodiciannovesimo giorno sui centoventi del silenzio assenso», protesta il candidato sindaco del Pd. E anche per lui parte l’applauso.
Aldo Modonesi, 48 anni, è laureato in Scienze politiche all’Università di Bologna, dove ha collaborato come assistente al corso di Sociologia dell’educazione. Si è formato nelle Acli di cui è stato vicepresidente regionale. Abita con la famiglia nel quartiere Gad-Giardino Arianuova Doro, lo stesso da cui arriva gran parte delle proteste per degrado, risse e spaccio. Nella giunta del sindaco uscente Tiziano Tagliani, è assessore ai Lavori pubblici, Mobilità e Sicurezza. «Prima viene il lavoro, come rendere attrattivo il territorio, come dare sviluppo, dopo viene la sicurezza», commenta davanti a imprenditori e artigiani. Rivela pubblicamente di essere favorevole al collegamento con il porto di Ravenna, alla realizzazione dell’autostrada regionale Cispadana e della terza corsia sulla Bologna-Padova, «che diventerebbe una camionabile, riducendo così il rischio di incidenti ogni volta che un Tir fa un sorpasso».
TANTE PICCOLE FRAZIONI
Da quando è in campagna elettorale, quasi ogni pomeriggio Modonesi va a presentarsi nelle tante frazioni. Ferrara, con i suoi 132 mila abitanti e centocinquanta milioni di bilancio annuale, è il diciassettesimo comune italiano per estensione ed è attraversato da mille chilometri di strade. Il candidato sindaco del centrosinistra, affiancato da tre liste civiche, spiega che in un territorio così vasto l’eliminazione delle circoscrizioni voluta da Berlusconi ha allontanato i cittadini: «Quello che possiamo fare», dice a Baura, mille abitanti affacciati sul Po di Volano, «è istituire dodici delegazioni che, come accadeva alle circoscrizioni, avvicinino l’amministrazione alla città: ci saranno un delegato del sindaco, una consulta collegiale, una dotazione finanziaria per attività come il doposcuola, un ufficio mobile del Comune che raggiungerà le frazioni e dal prossimo settembre l’infermiere di comunità».
Un importante capitolo del suo programma è dedicato all’Università, che ha da poco abolito il numero chiuso in Medicina: una risorsa non soltanto formativa per Ferrara, ma anche demografica ed economica con ottomila matricole, oltre ventimila studenti e un indotto che supera i quaranta milioni. Modonesi ha abbandonato l’idea della giunta Tagliani di risolvere i problemi intorno alla stazione con l’esproprio e la demolizione dell’ingombrante Grattacielo, un quartiere verticale racchiuso in due torri di cemento. «Comune e Università sono impegnati nel programmare la crescita della facoltà di Medicina con più spazi per la didattica, servizi e alloggi per i ragazzi. Ridurremo la tassazione per chi affitta la casa agli studenti, anche nel Grattacielo», spiega a L’Espresso: «il quartiere Giardino diventa quartiere universitario. L’arrivo dei ragazzi porterà sicuramente negozi, locali, qualche pub e anche quelle strade torneranno a vivere».
I sondaggi, quelli veri, pubblicati in città già da febbraio, davano Fabbri al 40-43 per cento, Modonesi al 27-30. E i 5Stelle all’11 per cento che con Tommaso Mantovani, 55 anni, laureato in Storia, insegnante, socio del Wwf e di Medicina democratica, riparte dalle origini ecologiste del movimento. La destra comunque per ora è sotto il 50 per cento. Si andrebbe quindi al ballottaggio: alle ultime comunali il sindaco Tagliani era passato al primo turno con il 55 per cento, contro il 17 della coalizione berlusconiana, con la Lega che cinque anni fa, nel risultato delle europee, si era fermata al 4,8 per cento. Oggi potrebbero quindi diventare determinanti sia le liste civiche vicine al centrosinistra, sia la capacità di coinvolgere gli astenuti. Su questa terra pianeggiante e delusa, alle regionali del novembre 2014, il sessantadue per cento degli elettori non è andato a votare.