Reportage
Gruppi social. Apparizioni. Ex-voto. E raccolte fondi per finanziare chiese e case di cura. Viaggio tra gli ultimi mistici del Meridione
di Maurizio Di Fazio
Il primo esempio di osservazione scientifica su questi portenti apparenti vide protagonista, nella seconda metà dell’Ottocento, la belga Luisa Lateau. E che dire di quelle operazioni chirurgiche “esplorative” che venivano effettuate, senza narcosi cloroformica, per appurare l’invulnerabilità fisica in piena estasi dello spirito? Nonostante le emorragie, non c’era verso di provocare sofferenza nel soggetto in trance cristiana o esteriormente tale. Autosuggestioni, paranormale, incendi d’amore per il padreterno?
Qualche centimetro trascendente o psichico più in là, divampa un cosmo lontanissimo. Arcani al quadrato, che mettono a dura prova il nostro comune senso dell’empirico. E c’è di sicuro qualcosa di autenticamente antropologico e culturale in questo universo ancestrale e iconografico. Con un ulteriore risvolto di cui tener conto: la forte carica di presidio sociale e civile che una figura carismatica con la tonaca può esercitare. In un territorio difficile.
Prendiamo fratel Cosimo, il Padre Pio della Calabria, soprannominato “il mistico dello scoglio”. Merita di essere raccontata la sua avventura circoscritta e stanziale, ma tendente all’infinito. Partendo dalla fine, dal santuario che è riuscito a realizzare nella sua Santa Domenica di Placanica, in provincia di Reggio Calabria, nel cuore della Locride. Una zona sfregiata dai terremoti, dalle alluvioni e da quella ‘ndrangheta che lui combatte aprendo la sua enclave al mondo. Ogni anno vengono in visita nella “Lourdes calabrese” centinaia di migliaia di devoti dai quattro angoli del pianeta. E ogni settimana lui ne riceve in udienza privata duecento. Una domanda a testa. Previo appuntamento telefonico: le istanze sono tantissime e i posti contingentati normalmente, figuriamoci con una pandemia in corso.
Anche su Facebook la sua popolarità è elevata, con gruppi dedicati da ventimila iscritti e oltre. Settanta anni, primogenito di due contadini, costretto ad abbandonare la scuola a 11 anni, ne aveva 18 quando gli apparve la Madonna. Al tramonto, mentre tornava a casa dopo una giornata di lavoro nei campi, fu trafitto da una luce abbagliante sopra un masso vistoso. La presenza sovrannaturale gli disse: «Non aver paura, vengo dal paradiso, sono la Vergine Immacolata. Sono venuta a chiederti di costruire qui una cappella in mio onore. Ho scelto questo luogo: qui voglio stabilire la mia dimora, e desidero che vi si venga a pregare da ogni paese».
Promessa mantenuta: quel masso, quello scoglio appunto, attrezzato come riserva di preghiera, è diventato meta di un incessante pellegrinaggio internazionale. E subito dopo si snodano i vasti spazi del santuario. Le apparizioni in quel maggio del ’68, anno e mese mirabili, altrove, per ben altre ragioni, durarono tre giorni. Prese il via in quelle ore la sua seconda esistenza di veggente e taumaturgo preterintenzionale. Abbondano le testimonianze di guarigioni straordinarie dai mali più disparati in seguito a una sua preghiera o benedizione. Rompicapo scientifici corredati, qua e là, da inoppugnabili referti medici.
Il caso sulla bocca di tutti è quello di Rita Tassone: a Santa Domenica è conosciutissima, perché è una delle volontarie più attive. Decenni fa, fu ridotta sulla sedia a rotelle e in fin di vita da un tumore degenerativo. Le venne persino somministrata l’estrema unzione. Al marito e ai figli non restò che portarla allo Scoglio, extrema ratio per chi ci crede. Era il tredici agosto del 1988. «Fratel Cosimo affermò: “In questo momento non sono io che ti parlo, ma è Gesù che ti ripete le stesse parole che ha sibilato al paralitico in Galilea: Alzati e cammina!”». E Rita, non lo faceva da 13 anni, si alzò e camminò veramente, guarì definitivamente. «Lui però non si fregia mai di queste doti, parla solo di Dio, delle sue meraviglie e della sua misericordia», ci confessa Francesco Oliva, vescovo della diocesi di Locri-Gerace. «È un esempio di vita cristiana».
Irene Gaeta è considerata invece la figlia spirituale prediletta di uno degli stimmatizzati più venerati della storia: Padre Pio da Pietrelcina. Ottantatré primavere portate con sprint, abruzzese d’origine (è di Lanciano), comunica e interagisce col cappuccino di San Giovanni Rotondo dal dopoguerra. «Vivo sulle sue ginocchia da quando avevo 9 anni. Mi apparve una sera in camera da letto ed esclamò: “So tutto di te, perché dal grembo materno l’Eterno Padre ti ha affidata nelle mie mani. Ti salverò sempre. Un giorno mi conoscerai”. Soltanto anni dopo, da una foto di giornale, capii che era vivente e non sopraggiunto dal cielo». Si conobbero nel 1960 e non si lasciarono più fino alla scomparsa del futuro santo, nel 1968.
Irene ha fondato la comunità “Discepoli di Padre Pio” che sta trapiantando, corsi e ricorsi extrastorici, nel comprensorio di Vibo Valentia. Lì, nel comune di Drapia, terrazza di Tropea, ha preso già forma una cittadella immensa consacrata a San Pio. «Fu lui a ordinarmelo: “Devi realizzare un santuario, un ospedale oncologico pediatrico, un centro di ricerca e un villaggio per sofferenti. Se non si fa qualcosa per questa terra, nasceranno sempre più storpi e delinquenti”». Chiesto, fatto, con il contributo dell’oceano di fedeli del frate dei miracoli. «Inaugureremo a breve. Sarà una grande opportunità economica e occupazionale per questa regione». In una delle sue ultime apparizioni, Padre Pio le ha detto: «La Calabria è una stella che brilla nella costellazione dell’universo. Questa è la terra promessa». E se lo promette lui...