Abbiamo chiesto ai giovani il loro programma per il governo che verrà. Ecco cosa ci hanno risposto. L’intervento di una laureanda

L’istruzione rimane la grande assente nel dibattito elettorale di oggi, nonostante si parli, più o meno strumentalmente, di futuro e di giovani. Questo perché glissare e meglio che affrontare il problema: l’Italia è al penultimo posto per laureat* in Europa, un fatto esemplificativo.

 

Quella di oggi nel nostro Paese è un’università incentrata interamente sul merito, dove regna la competizione e la conquista dei pochi servizi a disposizione. Dove i numeri chiusi ne rendono difficile l’accesso, l’assenza di alloggi ostacola i fuorisede, le poche borse di studio filtrano chi può frequentarla. A tutto questo si somma il costo della vita in continuo aumento e la nostra precaria condizione psicologica. Insomma, l’università di oggi non è per tutt* ma solo per chi può permettersela, per chi già proviene da condizioni familiari privilegiate. Pubblica in teoria ma elitaria nella pratica. Vivere da fuorisede è difficile: i prezzi degli appartamenti stanno aumentando mentre i posti letto nelle residenze pubbliche diminuiscono, portando studentesse e studenti ad abbandonare gli studi perché non possono permettersi di vivere fuori casa. Serve una vera politica della casa che faciliti l’indipendenza delle nuove generazioni. La casa deve essere un diritto e non un ostacolo. Servono più strutture studentesche, a prezzi fissi e calmierati che non oscillino seguendo le regole di mercato, possibilmente ricavate riqualificando edifici già esistenti. 

Editoriale
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In teoria lo strumento principe per permettere a chi non ha mezzi di studiare rimangono le borse di studio, ma spesso i fondi non sono abbastanza per garantirle a chi ne ha diritto. Inoltre, le borse vengono erogate tramite il criterio del merito. La borsa viene tolta a chi non soddisfa un certo numero di crediti, creando spesso un circolo vizioso; per cui chi è in difficoltà è costretto a lavorare, a faticare di più per studiare, quindi a rischiare di perdere la borsa: e così fino alla fine del percorso, per chi ci arriva, per quello che dovrebbe essere un diritto ma diventa una gara a ostacoli, con ricadute psicologiche a volte devastanti. Vorremmo che l’intero sistema “meritocratico” dell’Università venisse ripensato, vorremmo che le condizioni di partenza e le differenze dei singoli venissero prese in considerazione. Vorremmo che la salute psicologica venisse considerata quale ciò che è: un reale problema, da affrontare come tale e come diretta conseguenza, tra le altre, del mondo iper competitivo e individualistico che è l’università, così come la scuola, oggi. 

L’iniziativa
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La campagna “Chiedimi Come Sto” promossa da Udu, Rete degli studenti medi e Spi Cgil, ha tradotto in dati questa condizione, ponendo alcune soluzioni concrete: potenziare i servizi psicologici all’interno di scuole e università e istituire la figura dello psicologo di base.

 

Per quanto riguarda il rapporto tra mondo dell’istruzione e del lavoro, la Rete degli studenti medi ha una posizione chiara sul Pcto dopo le mobilitazioni di quest’anno: appurata la sua inefficacia, il fulcro deve tornare nell’istruzione stessa, non concentrandosi nell’ingresso nel mondo del lavoro ma nella conoscenza effettiva di cosa questo mondo sia e di quali sono i nostri diritti.

 

*Presidente del Consiglio degli studenti dell’università di Padova

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