All'Inail di Milano il primo esperimento di terapia collettiva rivolto alle vittime di infortuni sul lavoro. Per curare non solo le ferite nel corpo ma anche depressione e stress (FpSMedia)
«Ciao a tutti, mi chiamo Marco, ho 44 anni e otto anni fa ho avuto un incidente sul lavoro». Per chi ha subito un trauma, raccontarlo è sempre difficile. Ancora di più se davanti a te ci sono tante persone ad ascoltarti. Marco Tonani ne aveva ben dieci.
Tetraplegici, paraplegici, amputati. Era la prima esperienza italiana di terapia di gruppo per vittime di infortuni sul lavoro. Un progetto pilota nato dalla mente di due assistenti sociali dell'Inail di Milano, Roberto Cilia e Manuela Ferrario.
All'inizio non è stato facile, molti dei partecipanti non avevano superato lo shock. Iniziavano a raccontare la loro vita proprio dall'incidente, come se il prima non esistesse. Ma incontro dopo incontro si sono aperti, fino a raccontare le nuove difficoltà della vita quotidiana in carrozzina, dal sentirsi inutile ai problemi con la sessualità. Hanno capito di condividere quegli ostacoli. I risultati sono stati talmente soddisfacenti che ora altre sedi Inail di tutta Italia stanno copiando l'esperimento.
Parlando degli incidenti sul lavoro si pensa subito alle conseguenze fisiche: le gambe che se ne vanno, un braccio amputato, una menomazione. Ma le ferite più profonde sono quelle interne, psicologiche. Secondo una
ricerca dell'Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro, chi è vittima di un disgrazia con gravi conseguenze mentre svolge il proprio mestiere sviluppa depressione, ansia, rabbia e stress. I livelli non solo maggiori rispetto a quelli delle persone comuni, ma nella maggior parte dei casi sono veramente elevati. Insomma, la depressione è talmente profonda che si perde lo stimolo a vivere, ci si arrabbia facilmente e rovinare i rapporti personali con chi ci sta attorno è un attimo.
La legge non prevede aiuti psicologici e chi si deve pagare lo psicologo deve farlo di tasca propria. L'unico sostegno è l'indennizzo proprio dell'Inail, ma anche quello è causa di stress e di problemi: una
ricerca del centro studi Ires-Cgil sul settore edile, quello più colpito da queste tragedie, dice che nel 20% dei casi si supera i trenta giorni previsti, ma in molti casi si oltrepassa l'anno, a volte ce ne vogliono pure tre per colpa della burocrazia. Tempi lunghissimi per chi non ha altri redditi, senza contare che spesso la convenzione con i centri di riabilitazione privati non è sufficiente e bisogna pagare una parte della quota di tasca propria.
Proprio da queste considerazioni nel marzo 2011 è nato l'esperimento milanese: «C'erano persone che da anni erano alla prima fase» racconta Marco Tonani, su una carrozzina dopo un incidente in macchina mentre si spostava per lavoro. E' lui stesso a spiegare quali siano queste fasi: «Prima arriva il rifiuto, la domanda classica che ognuno di noi si pone è: "Perché a me, cosa ho fatto di male per meritarmi questo destino?". Poi arriva la consapevolezza, ci si guarda attorno e ci si rende conto che molte altre persone sono nella nostra stessa condizione e a volte stanno anche peggio di noi. Infine arriva l'accettazione, un giorno ci si accorge di non sentire più la differenza tra noi e chi ci circonda». All'inizio ci si sente gli occhi di tutti addosso, come se tutti notassero la tua "differenza". «In realtà siamo noi che cerchiamo lo sguardo degli altri perché siamo insicuri. Io, dopo aver accettato la mia condizione, mi sono accorto che gli altri non mi guardavano più».
Però il trauma porta con sé enormi conseguenze, soprattutto nei rapporti personali: «Cambiano le relazioni con gli amici, con i familiari, bisogna cambiare il modo di divertirsi e di vivere la propria sessualità», racconta Cilia, «Ci sono state separazioni, rapporti difficili con i figli, spesso chi ha subìto l'incidente non riesce più a relazionarsi con chi gli sta vicino oppure chi gli sta vicino non ce la fa a confrontarsi con l'handicap. Ripeto, è un grosso cambiamento, tutti devono elaborare il "lutto", e non è facile, ma condividere la sofferenza aiuta a non sentirsi soli». I risultati del gruppo sono stati ottimi: alcuni si sono iscritti all'Anmil, altri a corsi di sport per disabili, altri hanno acquistato fiducia in se stessi. Marco oggi non solo lavora, ma ha preso il brevetto di volo ed è completamente autonomo: «Mi auguro che il gruppo di mutuo aiuto venga riproposto per permettere ad altri amici di superare i propri ostacoli e riprendere la loro vita consapevolmente e pienamente». Intanto sia le sedi Inail di Genova che Forlì hanno deciso di realizzare un progetto simile, e anche nel Lazio stanno valutando la possibilità di mutuare l'esperienza meneghina.