«Vorrei trascorrere una giornata tranquilla», commenta ironicamente un anarco-insurrezionalista parlando in macchina ad altri due compagni. Il primo propone di prendere «a mazzate gli sbirri», ma gli ribattono che forse è meglio «prendere una fabbrica a caso e iniziare a menare». Così il terzo lancia l'idea: «Con i pakistani è bella...». «Dobbiamo menare i pakistani?». E con sarcasmo risponde: «È comodissimo, sono lenti, piccoli, goffi... pochi». Il dialogo registrato dalla polizia di Bologna riguarda tre dei principali esponenti del gruppo anarco-insurrezionalista della città felsinea.
Sono il rumeno Nicusor Roman, 31 anni, Martino Trevisan, 25, e Sirio Manfrini, 26. Tutti e tre hanno alle spalle una lunga lista di reati e adesso sono accusati di aver partecipato a diversi scontri, indossando caschi e abiti neri, armati di bastoni. La conversazione fra i tre anarco-insurrezionalisti avviene a bordo di un'automobile, mentre percorrono l'autostrada Milano-Bergamo. Dopo la proposta di picchiare i pakistani, Manfrini parla degli extracomunitari e dice: «Una sporca musulmana da gettarle l'acido in faccia...». Da queste parole non emerge un grande amore per gli immigrati, contrariamente a quanto vuole dimostrare con manifestazioni plateali il gruppo al quale appartengono, che faceva riferimento fino allo scorso aprile al centro Fuoriluogo, chiuso dopo gli arresti disposti dai pm bolognesi.
Chi vuole picchiare i pakistani e gettare in faccia l'acido alla musulmana, fa parte dei 27 imputati per i quali la procura di Bologna ha chiesto al gip il rinvio a giudizio perché accusati di associazione per delinquere finalizzata all'eversione dell'ordine democratico. L'udienza preliminare è stata il 12 dicembre. Il gruppo - guidato da una psicologa, Stefania Carolei, 55 anni, anche lei imputata, e presente lo scorso 15 ottobre a Roma nella giornata in cui Piazza San Giovanni venne messa a ferro e fuoco da violenti scontri - è costantemente impegnato nel portare avanti una serie di campagne contro il sistema (e contro i Centri di identificazione ed espulsione), e per questo motivo ha partecipato negli ultimi due anni a decine di manifestazioni.
Alcuni dei componenti sotto processo a Bologna avrebbero preso parte agli scontri di piazza San Giovanni, e in precedenza al G8 di Genova, a quelli dei mesi scorsi avvenuti in Grecia e in Val di Susa. In questi ultimi due casi tre giovani del gruppo sono stati arrestati. Dall'inchiesta coordinata dal procuratore Roberto Alfonso emergono le contraddizioni che solo le intercettazioni della Digos bolognese hanno potuto svelare. Così se da una parte gli anarco-insurrezionalisti protestano contro i Cie e le strutture carcerarie con manifestazioni non autorizzate e cercano addirittura di recuperare un carro armato per sfondare la struttura e liberare gli immigrati, dall'altra indossano caschi, si vestono con abiti di colore nero e imbracciano bastoni per infiltrarsi nei cortei e «sfasciare tutto quello che appartiene al sistema». Allo stesso tempo tentano di picchiare pakistani e sfregiare donne musulmane.
Contraddizioni che nulla hanno a che fare con la tradizione anarchica ma sono la caratteristica di questo movimento, unito solo dalla volontà di distruggere i simboli della società consumistica: non c'è un'ideologia di base ma solo una serie di slogan "anti", intorno ai quali si coagulano gruppi spesso agli antipodi come gli ultras del calcio. E oggi le comuni insurrezionaliste sparse in Europa sentono che è arrivato il loro momento: la crisi economica e le manifestazioni di protesta gli offrono l'occasione per prendere il controllo della piazza. A Bergamo dopo una giornata di scontri Trevisan ironizza con un anarchico spagnolo sulla "caccia" ai gay: «Dobbiamo sottrarre terreno a Forza Nuova, dobbiamo andare a menare dei froci...».
Gli insurrezionalisti che fanno capo al gruppo di Bologna sono violenti e paranoici. Paranoici perché sono sempre alla ricerca di microspie piazzate dagli investigatori, grazie alle quali è possibile accertare che hanno collegamenti con altre strutture anarchiche a Teramo, Milano, Roma, Napoli, Firenze, Livorno, Torino e Lecce. Una galassia che concorda le mosse attraverso Internet e che, quando sa di manifestazioni e cortei parte a razzo: con il volto coperto si infiltra fra i manifestanti e cerca subito lo scontro con le forze dell'ordine. Scelgono la divisa nera per creare un black bloc italiano, di cui formano la falange organizzata ma dove chiunque voglia lo scontro si può inserire: una rivolta aperta a chi ne condivide i bersagli. L'attacco alle auto, alle banche, alle vetrine di negozi e a tutti i simboli del sistema che sostengono di voler abbattere. Come le scene che si sono svolte nelle strade di Roma poche settimane fa.
«Io se c'ho il bastone davanti, e lo sbirro, sono una mina vagante... Lo uso, non c'è un cazzo da fare...», spiegava Nicusor Roman a uno degli universitari di Bologna che aveva scelto di aggregarsi al suo gruppo. Il rumeno descrive il modo violento con cui affronta le forze dell'ordine che controllano i cortei. Lui è «in contatto con militanti insurrezionalisti di diverse città» e gli investigatori lo descrivono come una persona «potenzialmente in grado di porre in essere azioni di natura eversiva». Due anni fa l'inaugurazione della sede del movimento di estrema destra Forza Nuova a Bergamo ha portato a duri scontri. Roman è stato arrestato e scarcerato in breve tempo e capeggiava uno dei gruppi che ha provocato una decina di feriti, compresi alcuni operatori delle forze dell'ordine. Dopo aver devastato il centro di Bergamo, sulla strada del ritorno il rumeno, intercettato dalla polizia, parla con Trevisan: «Oggi ti hanno denunciato, ti hanno dato due manganellate, cosa vuoi di meglio». I due ridono, e Roman aggiunge: «Ti spaccano di botte, in più rischi anche l'arresto. Vogliamo fare la rivoluzione senza rischiare nulla?». Quando entrano in azione sembrano black bloc, si confondono nella folla, poi fanno esplodere la violenza. Nel gruppo ci sono giovanissimi universitari che provengono da varie città del Sud e del Nord. E nel collettivo fagocitato dalla psicologa Carolei arrivano "pargoli" di tutte le estrazioni: la figlia di milionari proprietari di supermercati a Genova, ma anche il figlio di un magistrato, presidente di tribunale in Calabria. Figli di papà che fanno i rivoluzionari e durante il corso di laurea a Bologna pensano a una rivolta totale, che faccia esplodere la nostra società: un incendio come quello delle banlieue parigine o dei sobborghi di Londra.
Al corteo di protesta che si è svolto due anni fa a Strasburgo, alla vigilia delle manifestazioni per il vertice della Nato, hanno partecipato pure alcuni componenti del gruppo di Fuoriluogo. Per gli scontri la polizia francese effettuò circa 300 arresti e centinaia furono le persone ferite. A protestare c'era anche Trevisan. Il giovane universitario parla al telefono da Strasburgo e la conversazione è registrata dalla polizia. L'insurrezionalista spiega che ha cercato di capire come si muoveva la polizia francese per contenere i dimostranti. Accenna al "gas", ai lacrimogeni, e dice: «Potenzialmente poteva essere molto ma molto peggio di Genova», ma le cose sono andate diversamente «perché gli agenti non hanno caricato». Descrive la strategia utilizzata dai black bloc, che però non cita mai, e li indica come "blocco nero", composto da giovani di ogni parte d'Europa: «Tutti erano vestiti di nero e con il volto coperto».
A organizzare la trasferta dei bolognesi a Strasburgo è Anna Maria Pistolesi, 36 anni, nata in Nigeria ma con una lunga militanza fra gli anarco-insurrezionalisti. Ricco il suo curriculum giudiziario: dalla rapina alle lesioni personali, all'istigazione a delinquere. Gli investigatori la indicano come personaggio di elevato spessore ideologico e operativo, che ha collegamenti e rapporti con la realtà anarchica milanese e veronese. I pm la ritengono una sovversiva e per questo ne hanno chiesto il rinvio a giudizio. Dello stesso avviso sono pure per Maddalena Calore, 24 anni, che fino a pochi mesi fa sembrava essere alla ricerca di una pistola. Tra gli appunti che la Digos le ha sequestrato vi era come realizzare un ordigno, ma anche i riferimenti per risalire ad alcuni agenti della Digos di Bologna e Ferrara. E infine, l'ipotesi di un probabile atto intimidatorio da compiere a Parma.
Un filo investigativo lega le violenze di piazza San Giovanni a Roma e alcuni componenti del gruppo guidato da Carolei. Dopo la rivolta avvenuta nella capitale Digos e carabinieri hanno perquisito a Bologna le abitazioni di 12 universitari che gravitano nell'area anarchica e insurrezionalista. Alcuni di loro oggi frequentano l'aula C della facoltà di Scienze politiche (un punto di aggregazione frequentato da studenti vicini al gruppo della Carolei), altri sono legati al centro Fuoriluogo, e fra loro ci sono Martino Trevisan e Robert Ferro, 25 anni, della provincia di Bolzano. Quest'ultimo è considerato il cassiere del gruppo, accusato di essere uno dei promotori dell'associazione.
Giovani universitari in cerca di rivoluzione che legano le loro idee alla violenza. Sono lontani dai terroristi, e dalla rigida ideologia marxista degli anni di piombo. Per loro invece lo scontro viene prima delle idee. Una mamma, in pensiero, scrive un sms al figlio: «Chissà dove sei veramente quando sparisci per ore e stacchi il telefono. È inevitabile che mi prendono presagi di danni. Non giocarti tutte le cose belle che la vita ed il lavoro che ti stai costruendo possono darti».