Partenza dal porto di Mombasa, Kenya, per andare a riprendere una nave sequestrata. Sopra, un piccolo aereo pieno di dollari che vengono paracadutati. Un motoscafo veloce va a prenderli. Poi un segnale, e il mercantile viene liberato

La libertà ha i colori arrugginiti di un grosso rimorchiatore. Ogni volta che la vecchia nave esce dal porto di Mombasa, in Kenia, per molte famiglie sparse nel mondo è in arrivo una buona notizia. A bordo, un manipolo di uomini armati e tante casse di munizioni. Sono i liberatori. Tutti contractor kenioti. Ex soldati o ex poliziotti in viaggio con un incarico segretissimo. E molto pericoloso: scortare il pagamento di riscatti da milioni di dollari. Sono loro a riportare al mondo i marinai rapiti dai pirati del Terzo millennio. Sono stati loro, la mattina del 21 dicembre, a proteggere la liberazione in Somalia della Savina Caylyn, la petroliera della società armatrice Fratelli D'Amato di Napoli dirottata l'8 febbraio 2011 nell'Oceano Indiano. È la mattina della salvezza per i cinque italiani, Antonio Verrecchia, Giuseppe Lubrano Lavadera, Crescenzio Guardascione, Gian Maria Cesaro, Eugenio Bon, e i diciassette colleghi indiani. Un'altra missione senza incidenti per i liberatori arrivati dal mare.

Dal porto di Mombasa alla regione di Harardheere, a Nord di Mogadiscio dove la petroliera italiana era trattenuta, sono almeno dieci giorni di navigazione e paura. Dall'autunno il Kenia è in guerra con le bande somale di fanatici islamici finanziati dall'Iran e addestrati in Eritrea. E un lento rimorchiatore nelle acque territoriali della Somalia è un bersaglio fin troppo facile. Anche perché l'operazione non termina con la partenza della nave liberata. I contractor devono evitare la beffa di finire a loro volta sequestrati durante il rientro.

"Quando la liberazione degli ostaggi viene annunciata", racconta Adam, ex agente delle forze speciali del Kenia, "l'accordo tra l'armatore e i pirati risale ad almeno dieci giorni prima. Ma una volta rilasciata la nave, la nostra operazione prosegue per altre due settimane. Perché, a causa delle correnti oceaniche, al ritorno il rimorchiatore è più lento che all'andata". Adam è il nome di copertura di uno dei principali imprenditori africani del settore. Un gigante. Mani grandi come badili. Fisico da lottatore. Pantaloni e giacca eleganti. Si fa trovare all'ingresso del Carnivore, un ristorante alla moda vicino alla pista dell'aeroporto di Nairobi. "Non è mio interesse apparire", dice subito, "quindi niente nomi veri e niente foto". La sua specializzazione è il delivery, cioè la scorta al denaro del riscatto e la restituzione di navi ed equipaggi. L'incontro con Adam risale a qualche giorno prima della liberazione della Savina Caylyn. Proprio mentre le trattative con i pirati sono nel momento più delicato.

Un portavoce dei sequestratori, in contatto con il sito Internet Somaliareport, sostiene ora che per la petroliera italiana sia stato pagato un riscatto di 11 milioni e mezzo di dollari.

Otto milioni e mezzo consegnati la mattina presto di mercoledì 21 dicembre. Gli ultimi tre alle 12.30 locali. Si tratta della terza somma più alta mai versata in Somalia. Anche gli altri due record sono di quest'anno: 13,5 milioni per la liberazione della petroliera greca Irene e 12 per la petroliera degli Emirati Arabi Zirku. La società Fratelli D'Amato ha invece smentito di avere pagato per liberare la sua nave.

Fino a qualche mese fa i soldi venivano trasportati dal rimorchiatore. "Ho provato a dormire su un materasso di quattro milioni e mezzo di dollari americani. Per tutti i dieci giorni del viaggio, quello è stato il mio letto", sorride Adam: "Ora si usa un aereo adattato a questo tipo di attività. A bordo ha una molla che lancia in mare il denaro. È lo stesso meccanismo usato dalle Nazioni Unite per paracadutare gli aiuti alimentari".

I voli con i borsoni pieni di dollari decollano dall'aeroporto di Nairobi: "Si lanciano dal cielo", spiega il capo dei contractor kenioti, "perché è più sicuro che tenerli sul rimorchiatore per dieci giorni. I borsoni vengono sganciati in mare vicino alla nave sequestrata. Sono protetti dentro contenitori ermetici e galleggianti. I pirati con un piccolo motoscafo vanno a recuperarli. Poi li issano sulla nave. Lì contano le banconote e se le dividono. Noi osserviamo le operazioni, ma ci teniamo a distanza. È un momento delicato. Perché altre bande di pirati potrebbero attaccare. E a quel punto dovremmo intervenire. Ecco perché non trasportiamo più il riscatto via mare. A nostro favore c'è il fatto che le altre bande non sanno quando avviene il pagamento". Sempre secondo il sito di notizie Somaliareport, la Savina Caylyn è stata autorizzata a partire alle due del pomeriggio. Un'ora e mezzo dopo il lancio dell'ultima tranche di 3 milioni di dollari del riscatto. Forse il tempo necessario alla conta e alla suddivisione delle mazzette.

Dopo aver aperto i borsoni, i pirati permettono l'avvicinamento. Il rimorchiatore affianca la nave da liberare e i contractor kenioti possono guardare da vicino i banditi: "La tensione è altissima", dice Adam, "un giorno ci hanno fatti avvicinare sopravvento a un mercantile. Non si fa mai. Ma loro non volevano saperne di farci accostare sottovento. Alla fine il rimorchiatore ha sbattuto contro il mercantile. I colpo ha spaventato i pirati che hanno cominciato a spararci addosso. Si sono fermati soltanto quando hanno capito che non li stavamo assaltando".

I primi a salire sulla nave sequestrata sono il medico e un rappresentante dell'armatore. In genere il rappresentante è un negoziatore della Salama Fikira, società di sicurezza privata con basi in Kenia, sulle isole Mauritius e in Puntland, nel Nord della Somalia. La scorta armata resta sul rimorchiatore pronta a intervenire nel caso altre bande volessero impossessarsi del riscatto. O della nave, non appena liberata. "Più di una volta, durante le operazioni di pagamento", racconta Adam, "si sono presentati a bordo capi dei pirati con addosso divise regalate dagli Stati Uniti. Uniformi mimetiche nuovissime, anfibi, cinture che gli Usa avevano fornito alla guardia costiera somala per creare il servizio di guardia coste. E infatti i pirati si sono presentati a noi come guardia costiera somala".

Quando una nave viene trattenuta mesi, come la Savina Caylyn, l'armatore deve poi spendere milioni per rifornirla di strumentazione e arredamento. "Più la nave resta ferma, più viene depredata", spiega Adam: "Oltre al riscatto, i pirati pretendono di scaricare le tonnellate di carburante dai serbatoi. Il rimorchiatore serve anche al rifornimento in vista dell'accensione dei motori. I pirati di guardia comunque non sono ricchi come i loro comandanti. Mangiano e bevono così poco che se durante un conflitto a fuoco li colpisci, non sanguinano nemmeno. Continuano a correre. Perfino il loro sangue è magro".

La liberazione è un momento drammatico. Gioia e disperazione si incrociano sullo stesso mare. "Il delivery è un'operazione triste", aggiunge il capo dei liberatori, "perché quando una nave si muove e prende il largo, passa in mezzo ad altre navi sequestrate. I prigionieri a bordo ci vedono. Qualcuno grida. A volte i pirati li portano apposta sul ponte, perché poi nelle comunicazioni facciano pressione sui familiari. E loro, i marinai in ostaggio, ci guardano e piangono".

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