Citata nell'audizione davanti alla Commissione parlamentare sulle Ecomafie dal pentito Carmine Schiavone, la zona in periferia di Napoli negli ultimi trent'anni ha accolto grandi discariche, spesso riempite di rifiuti tossici non trattati. Anche dopo la chiusura, gli abitanti subiscono le conseguenze del degrado ambientale. Ecco come raccontano a vita accanto alla 'monnezza': casi di tumore nelle famiglie. E paura per ciò che si coltiva e si respira

Pianura: 'Ecco come ci hanno avvelenato'

Nella sua audizione davanti alla Commissione parlamentare sulle Ecomafie il pentito Carmine Schiavone - quando gli viene chiesto se è a conoscenza di rapporti tra la camorra, il clan dei Casalesi e i gestori delle discariche autorizzate - fa un solo nome: la discarica Di.fra.bi (acronimo dei due soci Di Francia e Di Biase ) di Pianura.

L'area di proprietà della famiglia La Marca - il cui capostipite era il fratello dell'omonimo boss di Ottaviano - ha funto da maxi-sversatoio, autorizzato dal Comune di Napoli, per quasi cinquant'anni, il più grande della Campania e tra i più grandi d'Europa. L'ex boss afferma che la Di.fra.bi non solo "aveva il suo scarico ma anche terreni abusivi" perché altrimenti le cave pure che fossero state "50 ettari si sarebbero riempite in due-tre giorni".

Ecco le testimonianze di chi vive accanto a quella discarica e ai quei terreni
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La magistratura accenna alla riserva naturale degli Astroni che confina con la discarica. "Non so la vicenda specifica - si limita a confessare Schiavone - ma la Di.fra.bi ci dava i soldi quindi come scaricava da noi, scaricava anche là". Ma non solo. In alcuni casi pagavano un tanto al chilo per scaricare nella cave illegali fanghi tossici e non. "Pagavano 500 mila lire al fusto perché per distruggerli dovevano avere un'attrezzatura speciale, per cui ci volevano due milioni e mezzo. Allora lui incassava per la ditta i due milioni e mezzo (o due milioni) ed il clan incassava 500mila lire a fusto. Era questo il fattore principale".
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Ecco perchè - secondo Schiavone - le discariche non risultavano mai piene. E alle amministrazioni - che all'epoca davano a dei trasportatori il compito di portare via i rifiuti - tornava la bolla di accompagnamento con la registrazione di un conferimento effettuato legalmente. Questo avveniva negli anni Novanta, "oggi leggo sui giornali che all'improvviso le cave sono piene di immondizia: è perché ci sono i controlli. Quelli che non c'erano prima".

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