La società londinese Euromonitor International ha diffuso le sue analisi sui trend globali fino al 2015. Dettati dalla crisi. I consumatori vanno in cerca di prodotti di qualità, non vogliono più indebitarsi, scelgono l'online. Ma continuano a impazzire per l'hi tech

Spendere meno, spendere meglio. Possibilmente, senza indebitarsi. E poi, più esperienze di vita vissuta che beni materiali. Sono alcuni dei trend globali del consumo da qui al 2015, analizzati in un rapporto della società londinese Euromonitor International. Ovviamente, a dettare le tendenze prossime venture è la crisi, con la fosca previsione di una recessione dalla quale forse usciremo solo tra due anni.

Così, si parte dalla ricerca del valore. Non è tempo di frizzi e lazzi, insomma. I consumatori sono sempre più attenti ai propri acquisti: a cosa comprano, a quando comprarlo (svendite, saldi, promozioni) e a dove comprarlo. I brand restano uno status symbol, ma la priorità è un'altra: cercare l'optimum nel rapporto tra qualità e prezzo, con l'aggiunta di un elemento sempre più marcato: la durevolezza. Riprende vigore anche la contrattazione, che i Paesi occidentalizzati avevano da tempo lasciato al resto del mondo e che invece risorge, aggressiva soprattutto al femminile.

A beneficiare della ricerca del low cost sono innanzitutto i siti dell'e-commerce, che accorciando la filiera distributiva possono permettersi prezzi più contenuti. Funzionano bene, più all'estero che da noi, i gruppi d'acquisto online come Groupon e Living Social: riescono a spuntare buone offerte e avvisano i propri soci tramite e-mail o notifiche su smartphone. Il modello hard discount sembra funzionare bene soprattutto nel settore delle drogherie, così come crescono le quotazioni dei negozi a prezzo bloccato e delle catene che offrono stock a esaurimento. Nel settore della moda – abbigliamento e bigiotteria - è sempre più popolare soprattutto tra i giovani il cosiddetto cheap ‘n chic, promosso da brand come Uniqlo, che sta spopolando in Giappone.

Per combattere la crisi non basta spendere meglio: bisogna anche spendere meno. E soprattutto non indebitarsi. Un approccio più cauto al credito è la seconda tendenza segnalata da Euromonitor: la priorità, ora, è vivere entro i propri limiti. Meno carte di credito, più carte di debito. E un drastico calo sul fronte dei prestiti: i consumatori sono più riluttanti a chiederli, e le banche a concederli. In alcuni Paesi, poi, nuove regole tutelano - dagli usurai, ma non solo - chi ha bisogno di denaro contante. A livello globale, il volume dei prestiti è cresciuto solo dell'uno per cento tra il 2007 e il 2012.

Se ne fa ancora un ricorso massiccio solo per lo studio: soprattutto nei Paesi anglosassoni, le incerte prospettive di lavoro spingono i ragazzi ad allungare i percorsi scolastici. In realtà, le vie del credito sono infinite e scavalcano anche le banche. Nel Regno Unito, i cosiddetti “payday loans” con interessi superiori al 4 per cento annuo hanno messo in ginocchio diversi giovani mentre in Cina (dove si registra un boom di carte di credito) va forte il modello “peer to peer” che consiste nel chiedere soldi ad amici e familiari se non a ricorrere ai prestatori online, che offrono tassi più bassi delle banche: oltre duemila siti offrono questo genere di servizio. Difficile stabilire, in questo caso, se sia l'offerta ad adeguarsi alla domanda, o viceversa.

È invece incontrovertibile un altro fenomeno, il terzo trend segnalato da Euromonitor: people power, la “forza del popolo”. Ovvero, una moltitudine di consumatori in grado di formarsi le proprie opinioni, scambiarsele e condizionare i fornitori di prodotti e servizi. Potremmo chiamarlo “effetto TripAdvisor”: le recensioni fai-da-te su un albergo, un ristorante, un nuovo locale possono decretarne il successo o l'insuccesso, in barba al marketing. Ci si fida del giudizio degli altri, espresso in rete. Se l'ottanta per cento dei commenti su un hotel è negativo – questo il ragionamento – meglio lasciar perdere e cercare qualcos'altro. Anche le Apps giocheranno un ruolo sempre più importante: su Localmind, gli aspiranti viaggiatori chiedono informazioni e consigli alla gente del posto: più social di così...

In molti se ne sono accorti: c'è chi corre ai ripari – ad esempio, eliminando le autorecensioni positive che, se smascherate, si rivelano un boomerang micidiale – e chi cerca di volgere la situazione a proprio vantaggio: stimolando il feedback diretto e continuo dei propri utenti, chiedendo scusa laddove è necessario, ricalibrando il proprio marketing e annullando i propri punti deboli. Sono soprattutto l'industria del turismo e l'enogastronomia ad essere investite dal fenomeno, ormai globale.

Un altro aspetto sempre più in grado d'influenzare tendenze e costumi è il crescente multiculturalismo: soprattutto negli Stati Uniti e in Europa, il melting pot non è più solo questione d'integrazione sociale. In America, gli asiamericani sono diventati il gruppo più benestante e scolarizzato: a scuola, i loro figli influenzano gli stili di vita dei coetanei autoctoni e delle altre minoranze; dal cibo alla moda, dalla musica al tempo libero. L'alto tasso di natalità dei “newcomers” ha generato prodotti ad hoc per la famiglia e l'infanzia, così come il cibo etnico non è più un tabù, ma una curiosità culturale da soddisfare anche per gli occidentali più tradizionalisti. L'industria si adegua: venti milioni di musulmani che mangiano carne halal sono un segmento di mercato più che appetibile; le confezioni e gli imballaggi di molti prodotti devono ormai contenere istruzioni in più lingue, e anche i prodotti di bellezza tarati sul “modello occidentale” vanno riparametrati su diversi toni di pelle e stili delle acconciature.

Etnico o no, il cibo resta croce e delizia dei Paesi sviluppati. Nonostante l'attenzione rivolta alla salute e al benessere sia sempre più alta, i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità dicono che il tasso d'obesità continua a crescere, anche se più lentamente rispetto agli anni passati: dal 1980 ad oggi è raddoppiato, complice il miglioramento delle condizioni economiche generali di una parte del mondo, a iniziare dall'America Latina. Il Messico ha il record mondiale negativo, con il 37 per cento degli over 15 in sovrappeso.

All'opposto, il Sudest asiatico è una sorta di paradiso per filiformi, ma durerà ancora poco: giusto il tempo di assimilare lo stile occidentale, fast-food inclusi. Tre fattori influenzano pesantemente la tendenza a mettere su peso: la crescita del consumo di cibi con alti livelli di grassi saturi, l'aumento della quota di sedentari e un'etichettatura spesso inconsistente, nel migliore dei casi confusa, il più delle volte fuorviante. Le conseguenze sono presto dette: infarto, diabete di tipo 2, ipertensione e scompensi cardiaci di varia natura. Chi non riesce a gestire un'alimentazione corretta o perlomeno a fare esercizio fisico per smaltire qualche caloria si rifugia nelle scorciatoie, dalle pillole dimagranti alla liposuzione. Diversi governi cercano di metterci una pezza: ad esempio, introducendo tasse sui cibi ipocalorici o vietando i distributori di merendine nelle scuole. Ci sono catene che offrono alimenti BFY (better for you) teoricamente salutistici, mentre sui menu dei ristoranti inizia a comparire l'indicazione delle calorie contenute nei singoli piatti. La scoperta di dolcificanti naturali come l'estratto di monk fruit (un frutto cinese) e l'agave porteranno presto a una nuova generazione di cibi e bevande senza zuccheri, o a basso contenuto zuccherino. Ma, ovviamente, se c'è chi cerca di combattere l'obesità, c'è anche chi ne ha fatto il proprio core-business. Basti pensare alle catene per oversize, specializzate nelle “taglie forti” anche per bambini e ragazzi.

Tutt'altro che obesi, statistiche alla mano, sono invece gli... ex anziani. Addio, tradizionali differenze generazionali: i confini tendono ad abbattersi, persino in settori come la moda e gli stili di vita. La maggioranza dei “baby boomers” rivendica il diritto a considerare la vecchiaia dagli ottant'anni in su. Internet abbatte le barriere - anche culturali – e i mercati si adeguano. Come? Se da un lato diminuiscono i prodotti “age specific” tarati sull'età, dall'altra aumentano quelli per i “diversamente giovani”, dalla moda più sbarazzina alla cosmesi, dagli anti-calvizie ai coloranti per capelli, sino alle “pilloline” che rinfocolano il desiderio.

Perché se a molti piace credere che l'età sia ormai diventata uno stato d'animo, è anche vero che bisogna supportare la teoria. Movimento, sana alimentazione, educazione permanente: vale (quasi) tutto, pur di riportare indietro l'orologio biologico. In questo quadro, c'è un'altra tendenza che riguarda soprattutto gli over 50, e che Euromonitor sintetizza così: “Esperienze, più che beni materiali”. Nelle ricche società occidentali, in molti ormai rifuggono dal lusso per rifugiarsi nel segmento “feel good”. Sentirsi bene, in ogni senso. Il che significa, ad esempio, dedicarsi a nuove attività: teatro, concerti, eventi sportivi, visita di parchi tematici. La programmazione è vita, si tratti di attività avventurose o sfide educational. Una fuga dalla routine, a ben vedere. E un mondo quasi infinito di opportunità, dai corsi per cucina a quelli di fotografia digitale, sino alla danza. Sentirsi vivi è più importante che acquistare un maglioncino in cachemire o l’ennesimo paio di scarpe, insomma.

A proposito di acquisti: hi-tech a parte, due altre tendenze evidenziate dallo studio sono in qualche modo interconnesse: da un lato, il boom del mercato equo e solidale, dall'altro quello dei prodotti organici e naturali. Sono due fenomeni di responsabilità sociale: il consumo consapevole - quasi una scelta politica - porta a scegliere i prodotti dei Paesi in via di sviluppo o i marchi eticamente corretti. “Chilometro zero”, ma non solo: l'animalismo e il vegetarianesimo fanno sempre più proseliti (osteggiando ovviamente il consumo di carne), ma anche le produzioni green e l'ecoturismo hanno un appeal sempre più marcato. In questo, le organizzazioni non governative hanno capito che “arruolare” volti celebri come testimonial porta a un ritorno pubblicitario e promozionale spesso insperato. Sull'altro fronte, è la chimica a essere messa al bando: qui le parole chiave sono “naturale” e “organico”, dai cibi ai cosmetici. Chi ci crede è disposto a spendere di più ma con le dovute garanzie, perché le truffe sono dietro l'angolo. Dagli additivi nell'industria del confezionamento ai soft drink, le multinazionali hanno capito da tempo che assecondare la volontà dei consumatori etici è fondamentale per mantenere – o consolidare – le proprie quote di mercato.

Infine, la madre di tutte le tendenze, la “nuvola hi-tech”. Gli smartphone e i tablets generano un “avviluppamento mobile” in continua evoluzione: dall'informazione allo shopping, dai social network ai pagamenti, ormai stiamo andando verso un “tuttofonino” e prodotti ibridi – i cosiddetti “bridge”, ponti tra un prodotto e l'altro – che presto renderanno del tutto superflui persino i computer portatili, come li conosciamo ora. È il caso dei phablets, più larghi di uno smartphone ma più piccoli di un mini-tablet. Lo shopping si avvantaggerà sempre più dei cosiddetti QR codes, i codici a barre che trasmettono informazioni multimediali e consentono interazioni immediate. E poi c'è il mondo delle Apps, che cresce a ritmi vertiginosi: 24,9 miliardi di “scaricamenti” nel 2011. Quasi il novanta per cento delle application è attualmente gratuito e il trucco è presto detto: l'obiettivo è fidelizzare, per trasformare gradualmente l'utilizzatore casuale in cliente pagante. Tutto questo, se da un lato fornisce enormi opportunità – creative e di ritorno economico – per i programmatori e gli sviluppatori di software, dall'altro sta prepensionando alcuni prodotti come i Cd o i player Mp3 o modificando radicalmente giornali - con il trend “digital first” - e libri. L'utilizzo del cloud computing (server esterni con enormi capacità d'immagazzinamento dati) e degli “smart devices” sta uccidendo l'hardware, specie per le “periferiche” come monitor e stampanti. Sì, insomma: non vivremo sulle nuvole, ma ci faranno gran comodo...