Richieste confuse e contraddittorie, infiltrazioni dell'estrema destra, decine di sigle diverse, la strana reazione delle forze dell'ordine. E il tentativo di partiti e movimenti di mettere la bandierina sulla protesta. Radiografia della mobilitazione che sta bloccando il Paese

Un nugolo di sigle e di associazioni finite dietro l’etichetta “forconi”, infiltrazioni più o meno controllate di frange estreme all’interno degli assembramenti di piazza, obiettivi confusi e spesso contraddittori nelle motivazioni della protesta (si va dal diritto alla casa, alle accise sui carburanti, l’insofferenza alle larghe intese), pericolosi cascami del populismo politico alla ricerca dell’aggancio con i manifestanti per una improbabile ribalta elettorale.
Dietro la drammatica guerriglia urbana di Torino di lunedì scorso e la minaccia di arrivare alle porte di Montecitorio, la pancia del Paese ha finito per prendere la scena all’exploit democratico della partecipazione di massa alle primarie del Pd. Non sarà la scena finale del Caimano, immaginata da Nanni Moretti, ma le analogie non mancano.

E fa abbastanza effetto, prima ancora che Alfano dichiarasse che “l’intelligence ha gli occhi puntati sui violenti”, rileggere, con le lenti dell’attualità, quanto i servizi segreti avevano scritto nella loro relazione al Parlamento di neanche un anno fa: “L’attuale congiuntura economica viene considerata foriera di importanti trasformazioni sociali, potenzialmente favorevoli al progetto insurrezionale basato sul rapporto di ‘affinità’ e sul ricorso all’azione diretta. Emergono pertanto appelli per interventi conflittuali che siano coerenti con la prospettiva di sovvertimento del ‘sistema’”. O, in modo ancora più esplicito, “si sono evidenziati segnali di rilancio della campagna antimperialista/antimilitarista, anch’essa in grado di favorire convergenze in chiave antisistema tra le componenti antagoniste nonché di saldare la protesta con quella dei vari ‘comitati popolari’”.
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Quello che è certo, anche a sentire le parole del sindaco di Torino, Piero Fassino, infuriato con i manifestanti, è che a fare le spese di una situazione ancora magmatica sono i cittadini e i servizi pubblici: “Tutto si può comprendere ma non lo sconvolgere una città, non la mia, ma quella dei miei cittadini," è sbottato, "delle madri che non possono portare i figli all’asilo, dei negozi che non possono essere riforniti perchè si bloccano i mercati generali”.

A voler ricostruire l’intricata vicenda, tutto nasce dal fermo annunciato, dal 9 fino al 13 dicembre, da parte di pressoché tutte le sigle di autotrasportatori, i “padroncini” autonomi alla ricerca di sgravi fiscali per la loro attività. E, non senza qualche ritardo, l’accordo è stato pure trovato dal Ministro Maurizio Lupi, che il 28 novembre è riuscito a fargli firmare un protocollo di intesa e a revocare i blocchi annunciati. Tutto risolto? Macché. Una serie di associazioni minori, ininfluenti sul piano della rappresentanza (si calcola arrivino insieme al 5%), ma agguerritissime sul piano logistico, hanno rifiutato l’accordo col Governo e hanno confermato i blocchi. Tra le altre: Trasportounito, il Movimento Forconi, Life, i Comitati riuniti agricoli, il Movimento autonomo autotrasportatori, Aitras, giusto per fare qualche nome. Piuttosto ignote, a intesa raggiunta, le motivazioni della protesta, che si legano, a sentire un dirigente della Questura di Roma, a “un generico sentimento diffuso di contrarietà alle istituzioni nazionali e comunitarie”.

E con identico sentimento, nel frattempo, si è costituito il “Comitato 9 dicembre”, in parte formato dagli stessi autotrasportatori, ma in larga parte appoggiato da movimenti spontanei di cittadini, disoccupati, precari, ambulanti, studenti e affini.

A macchia d’olio, da Torino a Foggia, da Milano a Roma, da Parma a Perugia si è propagata l’onda anomala, non di rado infiltrata da gruppi appartenenti all’estrema destra. “In prospettiva”, si legge sempre nella profetica relazione dell’intelligence, “è ipotizzabile un’intensificazione dell’impegno dell’area dell’estrema destra sul sociale, cui potrebbe accompagnarsi una possibile recrudescenza della conflittualità tra antagonisti di opposto segno ideologico, già degenerata nel recente passato in episodi di violenza”.
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La risposta delle Istituzioni è stata sin qui, a voler esser generosi, più che contraddittoria. I Sindacati della Polizia si sono spaccati sul gesto degli agenti che si sono sfilati il casco (insieme ad alcuni carabinieri e agenti della guardia di finanza, che però ancora non hanno rappresentanza sindacale) e hanno costretto il questore di Torino a mettere una pezza al gesto definendola come una conseguenza del “venir meno dello stato di tensione e delle esigenze di ordine pubblico”. Intanto, a quanto riferiscono fonti del Siulp, uno dei sindacati di polizia, il diktat ai manifestanti è: “I nostri agenti saranno accanto alla protesta, ma non fatevi infiltrare dagli anarco-insurrezionalisti o non potremo che rispondere con la forza”.

I Sindacati confederali, dal canto loro, hanno, in qualche modo, fatto atto di penitenza a capo chino, attraverso le parole di Susanna Camusso, per la quale occorre “aprire una stagione di sperimentazione" per identificare in alternativa allo sciopero nuove "forme altrettanto efficaci e non esclusive che abbiano la capacità di identificare l'elemento di unificazione del mondo del lavoro”. Un’ammissione che mette l’ennesima lapide sulla capacità della Cgil di gestire con un linguaggio moderno il conflitto collettivo e il disagio sociale.

E la politica? Dalla Lega, a Grillo a Forza Italia sono in tanti a voler cavalcare l’onda alla ricerca di sponde improbabili, tanto più che il sentimento antipolitico tra i manifestanti è talmente diffuso da risultare, nei fatti, impermeabile alle lusinghe dei Palazzi e dei loro dintorni. A suonare per primo la carica è stato il segretario neo eletto della Lega, Matteo Salvini, che, inebriato dal plebiscito ottenuto dalla base per guidare ciò che resta della creatura bossiana, ha tuonato un elegante “ci siamo rotti le palle che Bruxelles ci deve dire cosa dobbiamo mangiare” concludendo così: “ben vengano il blocco al Brennero e il movimento dei Forconi. Non è più tempo di mediazioni, noi stiamo con chi blocca, non con chi svende”. Stessi toni dall’ex comico ligure che ha invitato tutte le forze dell’ordine a non proteggere le istituzioni delegittimate.

Resta, poi, il caso più curioso che è quello di Forza Italia. C’è chi, infatti, come Daniele Capezzone, sgrida gli ex amici Alfano e Letta di non aver compreso le ragioni della protesta, ma di essersi limitati all’aspetto repressivo. Gli fa eco un comprensivo Francesco Paolo Sisto (che pure presiede la Commissione affari costituzionali della Camera): “il popolo dei forconi si sta qualificando sempre più come il popolo del bisogno”, “credo si debba guardare a queste manifestazioni come ad un movimento giustificato sul piano sociale ed economico”. E la pitonessa Santanchè, col suo essere al fianco dei dimostranti, apre la pista all’incontro più strampalato di questo scorcio d’anno: Berlusconi ha, infatti, invitato a Palazzo Grazioli una delegazione di dimostranti a illustrargli dettagliatamente le ragioni della protesta, quasi che decadendo si fosse dimenticato vent’anni di incontri e di agitazioni degli autotrasportatori prima e dei forconi poi. In fondo, votano anche loro. Solo all'ultimo momento il Caimano ha preferito rinviare l'incontro.

C’è da capire, a questo punto, se la bufera degli scontri terminerà effettivamente, come preannunciato, il 13 dicembre o se andrà avanti ad oltranza. Intanto, già lunedì prossimo è programmato uno sciopero nazionale del trasporto pubblico e tra le sigle c’è anche quella della Faisa-Cisal: la stessa che poche settimane fa, per bocca di uno dei suoi leader, Andrea Gatto, ha appoggiato i cinque giorni di astensione selvaggia che hanno paralizzato i genovesi contro la giunta del Sindaco Doria. Disse allora: “Genova è la scintilla di un incendio che si espanderà in tutta Italia”.