Si comincia sempre così. Con un leggero giro di vite al diritto di informare. Radio radicale continua, è vero, a trasmettere in diretta Internet le riunioni del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. Ovvero il Csm dei consiglieri di Stato e dei magistrati del Tar, che prende decisioni sulle carriere e autorizza incarichi extragiudiziali spesso profumatamente pagati. Ma dalla scorsa estate le registrazioni delle dirette spariscono dall’archivio dopo una settimana. Curioso, no?
L’Espresso ha chiesto spiegazioni alla radio, ricevendo la seguente risposta: «Radio radicale registra e conserva nel proprio archivio dal 10 settembre 2021 le sedute del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. Tuttavia, dal luglio 2024, su richiesta del Consiglio stesso, la seduta che si tiene ogni 15 giorni rimane pubblica una settimana e poi messa “riservata” scomparendo dal sito». Misura, si tiene a precisare, «non dipendente da nostre scelte».
Vi chiederete: che motivo c’era? Le sedute dell’organo di autogoverno dei giudici del Tar e del Consiglio di Stato sono pubbliche. Perché allora vietare a Radio radicale di conservare le registrazioni in archivio?
La verità è che da tempo le lamentele sulle dirette (ma anche sull’uso delle registrazioni da parte della stampa) si erano fatte assai rumorose. Questione di privacy, pensate. Alcuni magistrati avrebbero voluto addirittura abolirle. Che poi, a voler essere precisi, non si tratta nemmeno di trasmissioni in diretta radiofonica aperte: si accede solo sul sito, tramite un link. L’imposizione dei limiti dei quali si sta parlando è stato solo il risultato di una mediazione, in attesa di una presa di posizione definitiva se le dirette possano o no continuare. Ma che cosa può essere accaduto, dopo che per tre anni nessuno aveva posto il problema, almeno non in questi termini?
Facciamo un passo indietro. Alla fine di marzo del 2024 L’Espresso racconta in una nuova inchiesta come i vecchi arbitrati per opere pubbliche siano stati clamorosamente riesumati. Adesso si chiamano «collegi consultivi tecnici». E il settimanale spiega come le registrazioni diligentemente conservate nell’archivio Internet di Radio radicale facciano chiaramente capire che la distribuzione di questi ambiti incarichi extra monopolizzi ormai gran parte dell’attività dell’organo di autogoverno di Consiglio di Stato e Tar. L’inchiesta si trova sul sito del giornale con il titolo “Per i magistrati amministrativi è ricominciata l’età dell’incarico d’oro”.
Il nuovo codice dei contratti pubblici, scritto materialmente da consiglieri di Stato, stabilisce che per ogni appalto di importo superiore a 5 milioni sia obbligatoriamente costituito un «collegio consultivo tecnico» o Cct, composto da avvocati e funzionari pubblici e che possa venire presieduto da un magistrato amministrativo. Ciò servirebbe a evitare o risolvere controversie fra l’impresa e la stazione appaltante ancor prima che nascano. La nuova veste dell’arbitrato, per giunta in forma permanente. E pure benissimo pagato.
Che non siano chiacchiere salta fuori durante una di quelle dirette via web di Radio radicale citata nell’articolo. Dov’è comunicato che per la presidenza di un Cct relativo a un appalto sulla ferrovia Palermo-Catania vinto da un consorzio capitanato da Werbuild il magistrato Carlo Saltelli ha fatto sapere che potrebbe riscuotere bonus fino a un milione e 588 mila euro. Informazione che non si trova nel sito della Giustizia amministrativa, dove per legge dovrebbero essere pubblicati tutti gli incarichi extra dei magistrati con i compensi (e non in tempo reale, se si pensa che mentre scriviamo gli ultimi incarichi sul sito risalgono a quasi un anno fa). Nel sito c’è il valore dell’appalto: 1,6 miliardi; quanto al compenso, non risulta «preventivamente individuabile e definibile». Ma è la prassi.
E forse non c’è da stupirsi che il 17 luglio 2024 scoppi il caso. Nel plenum del consiglio di presidenza la schiera di chi vorrebbe il bavaglio è sempre più numerosa. Mettere in piazza proprio tutto, compresi gli incarichi rigettati dal plenum causa richieste esagerate, non è molto carino. E a settembre la situazione non cambia. Si decide così di affidare la rogna a una commissione appositamente costituita. La guida il presidente del Consiglio di Stato Gabriele Carlotti, fra i più critici delle dirette di Radio radicale. In attesa del suo pronunciamento, all’inizio di ogni riunione si vota per autorizzare la diretta, e la spaccatura si ripete. Da una parte i consiglieri di Stato, contrari, insieme a tre dei quattro membri laici, Giovanni Doria, Francesco Urraro ed Eva Sonia Sala. Dall’altra parte i rappresentanti dei Tar e l’ultimo membro laico, l’avvocato siciliano Giangiacomo Palazzolo. E ogni volta finisce che il presidente del Consiglio di Stato e dell’organo di autogoverno, Luigi Maruotti, autorizza la diretta con un proprio provvedimento. Dove si prescrive che le registrazioni non vadano conservate «per non più di sette giorni». Va avanti in questo modo da mesi. Senza che la distribuzione degli incarichi si arresti.
Assolutamente legale, certo. Ma non per questo meno discutibile. E la sordina a Radio radicale di sicuro non rende la cosa più digeribile. Magistrati (e funzionari pubblici) pagati a parte da imprese private impegnate in appalti per prevenire e risolvere controversie, riducendo così i tempi biblici delle opere pubbliche. Il tutto per giustificare parcelle che le tariffe profilano monumentali. Qualcosa, oggettivamente, stona.
Nel giro di un anno e mezzo, dal primo gennaio 2023 al 30 giugno 2024, il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa ne ha distribuiti 99. La crescita è frenetica. Nella sola seduta del 14 maggio 2025, la più recente intercettabile prima della sua rimozione dal sito, si sono contate ben nove presidenze di Cct assegnate a nove magistrati: Concetta Anastasi (Tar Marche), Domenico De Falco, Fabio Di Lorenzo e Viviana Lenzi (Tar Campania), Nicola Fenicia (Tar Toscana), Antonio Pasca (Tar Lecce), Giovanni Grasso, Silvia Martino e Carlo Saltelli (consiglieri di Stato).
Ma la febbre dei Cct, grazie al fatto che sono diventati obbligatori per legge, dilaga anche in altre categorie di funzionari pubblici. Con Anas e Ferrovie in testa agli assegnatari. In due anni gli avvocati dello Stato ne hanno avuti 60. Fra loro, pure titolari di incarichi di governo. Come il commissario dell’autostrada A24-A25 Marco Corsini (presidente di quattro Cct) e il capo di gabinetto del ministro della pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, Pio Giovanni Marrone. Ma anche il vice capo dell’ufficio legislativo della ministra per la famiglia, Alfonso Peluso, e il capo di gabinetto del vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, Paolo Grasso.
Alla generosa incombenza dei Cct, vietata come detto a tutti i magistrati ordinari, possono accedere anche i giudici contabili. E pure qui troviamo alcuni magistrati che già ricoprono incarichi di governo. Per esempio il capo di gabinetto del ministro dello Sport Andrea Abodi, Massimiliano Atelli. Oppure il vice segretario generale della presidenza del Consiglio, Marco Villani (47.398 euro il compenso dichiarato). O ancora l’esperto della Struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture Salvatore Pilato (46.970 euro). Con il che si entra in un’altra dimensione, quello dell’istituzione direttamente connessa con gli appalti pubblici, cioè il ministero di Salvini. Ed è lecito chiedersi se sia opportuna l’assegnazione di incarichi di quel tipo a funzionari statali appartenenti a istituzioni competenti sulle opere pubbliche. L’elenco sul sito degli incarichi autorizzati a dirigenti del ministero delle Infrastrutture presenta diversi casi. Alcuni di importo modesto, altri più consistenti. Francesco Sorrentino, direttore del Provveditorato per Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta è presidente di due Cct per importi complessivi dichiarati di 94.576 euro. Enrico Maria Pujia, nominato da Salvini direttore del dipartimento Trasporti e navigazione, presiede invece un Cct relativo a un appalto al porto di Civitavecchia, per un importo di 91.417 euro.
Resta sempre il problema del tetto alle retribuzioni dei dipendenti pubblici, ora pari a 253 mila euro l’anno. Perché le norme dicono che il limite è onnicomprensivo. Tutto ciò che lo supera in teoria dovrebbe essere riversato all’amministrazione di competenza. La legge parla chiaro, ovvio. Siamo il Paese del motto «dura lex, sed lex». Ma anche quello dove le leggi si interpretano, prima di essere applicate. Una volta si fece una legge che vietava ai dirigenti pubblici nominati nei collegi sindacali di percepire retribuzioni per la loro partecipazione a «organi collegiali» di società pubbliche. Subito dopo se ne fece un’altra precisando che quella legge s’interpretava «nel senso che» fra gli organi collegiali incriminati non erano compresi «i collegi sindacali».