L'assassino di Falcone (e di moltissimi altri) scoppia in lacrime durante un processo, parla delle "atrocità" commesse e giura che il suo cambiamento è autentico

Brusca piange: c'è da credergli?

Ci sono mafiosi come Vito Roberto Palazzolo che custodiscono i loro segreti. E altri che hanno compiuto crimini spietati ma mostrano scene di pentimento sorprendenti. È accaduto con Giovanni Brusca che ha pianto in udienza davanti ai giudici. Chi lo ha visto in faccia dice che a Brusca, il killer che ha confessato più di cento omicidi, uno spietato sicario, un boss che molti hanno descritto privo di sentimenti, sono scese le lacrime fino a impedirgli di proseguire nelle parole.

Così la scorsa settimana, a 17 anni dal suo arresto, per la prima volta il dichiarante Brusca ha chiesto pubblicamente perdono ai familiari delle sue vittime. Lo ha fatto ricordando di essere l'assassino di Giovanni Falcone, degli agenti della scorta e di tante altre vittime «di cui non capivo il motivo per cui Cosa nostra e Riina ne decideva la morte. E continuo a non comprenderlo adesso... Sono stato un "automa" del male, perché credevo in Salvatore Riina e per me Cosa nostra era una istituzione e la rispettavo».

Il colpo di scena ha spiazzato tutti in aula. Brusca rompe gli indugi davanti alla Corte d'assise di Caltanissetta che sta giudicando due mafiosi e tre falsi pentiti nel quarto processo per la strage Borsellino. Brusca, che è accusato anche di aver ordinato l'uccisione del quindicenne Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell'acido, si commuove quando gli viene chiesto il motivo per il quale ha iniziato a collaborare.

«Ho vissuto per Cosa nostra e ne rispettavo le regole e il mio "altruismo" verso l'organizzazione mi ha portato a commettere fatti orrendi, perché non avevo nulla di personale contro Falcone o contro molte delle mie vittime. Vivevo per Cosa nostra e per rispettare le sue regole. Mi rendo conto solo adesso delle atrocità che ho fatto e ancor peggio non sapevo per conto di chi le ho fatte e quale fosse
il motivo».

Con le lacrime agli occhi dice: «Ho fatto del male a tante famiglie, di giudici e altre persone, e ai loro familiari chiedo perdono». Il collaboratore torna al giorno del suo arresto che ricorda come un momento tremendo per la forte azione degli agenti: «Comprendo lo stato d'animo che avevano i poliziotti, ai quali non porto rancore. Avevo ucciso Falcone e gli uomini della scorta e quindi non mi aspettavo un trattamento particolare. Ho pensato che durante il blitz i poliziotti fossero arrivati per uccidermi. Per fortuna c'è un Dio: mi sono buttato a terra, perché se non fosse stato così non sarei qui».

L'inizio turbolento della collaborazione è quello che marchia la carriera da pentito di Brusca. «All'inizio ho commesso un errore, ma quando ho deciso di essere serio, privo dei rancori nei confronti di pentiti che erano miei ex nemici, ho iniziato a fare sul serio ma avevo la sensazione di un muro di gomma che veniva alzato dai magistrati perché quasi tutto quello che dicevo mi veniva rivolto contro». E conclude: «Difficile è stato in passato il mio rapporto con alcuni pm. Ho dovuto riconquistare la fiducia di tutti grazie ai riscontri processuali che sono stati trovati alle mie dichiarazioni».

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