Che fare con la propria liquidazione? La legge di Stabilità, annunciata ai media mercoledì 15 ottobre dal governo Renzi, cambia le carte in tavola. La novità principale è che, a partire da marzo dell'anno prossimo e fino al 30 giugno del 2018, i dipendenti di aziende private potranno decidere se farsi accreditare in busta paga il trattamento di fine rapporto, meglio noto con la sigla di Tfr. Una novità assoluta. Ci sono solo alcune eccezioni: non potranno beneficiare della nuova norma le persone assunte da meno di 6 mesi, i lavoratori del settore agricolo e domestico (leggi colf e baby-sitter), quelli alle dipendenze di imprese sottoposte a procedure concorsuali o dichiarate in stato di crisi. Per tutti gli altri si apre la possibilità di incassare subito la propria liquidazione. Una misura che il premier, supportato in questo caso anche dal più battagliero dei sindacati, la Fiom-Cgil, ha giustificato spiegando che così i lavoratori avranno più soldi in tasca. Quattrini da spendere subito, spera Renzi, così che la stagnante economia italiana possa ripartire. Per capire se il provvedimento avrà l'effetto sperato dal governo bisognerà aspettare almeno qualche mese. Intanto, in attesa della discussione del disegno di legge in Parlamento, si può cercare di capire cosa conviene fare ai lavoratori con il proprio Tfr.
Le opzioni attualmente a disposizione del lavoratore sono due: lasciare la propria liquidazione in azienda, oppure trasferirla ad un fondo di previdenza complementare. Partiamo dal primo caso. Il disegno di legge Stabilità, che dopo il voto del Parlamento dovrà essere vagliato dall'Unione europea, prevede che il Tfr, se versato in busta paga, venga tassato con le aliquote ordinarie, quelle che vanno dal 23 al 43 per cento a seconda del reddito del lavoratore. Il particolare non è di poco conto, visto che il Tfr lasciato in azienda subisce un tassazione quasi sempre più bassa. Morale della favola? Secondo la simulazione elaborata dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro, ritirare il Tfr in busta paga sarebbe conveniente solo per chi percepisce un reddito lordo annuo inferiore ai 15 mila euro.
SIMULAZIONE 1
A CHI CONVIENE SPOSTARE IL TFR DALL'AZIENDA ALLA BUSTA PAGA
Per tutti gli altri, passare subito all'incasso comporterebbe invece una perdita (nel senso delle maggiori tasse che si pagano prendendo ora la quota di stipendio, rispetto a quelle che si contabilizzano per il Tfr lasciato in azienda): da soli 50 euro all'anno per chi ha un reddito compreso tra i 20 e i 28 mila euro, fino a 569 euro per chi percepisce un compenso lordo di 100 mila euro o più. Tutto questo senza considerare che chi opterà per il Tfr in busta paga vedrà aumentare il suo reddito (Isee) e quindi diminuire le possibili detrazioni d'imposta (il discorso non vale per il calcolo del bonus da 80 euro). Secondo Marina Calderone, presidente dell'Ordine nazionale dei consulenti del lavoro, «se venisse confermata anche nel testo definitivo, la tassazione ordinaria su questa componente di reddito in busta paga e l’incidenza del Tfr anche ai fini del calcolo Isee determinerà inevitabilmente il flop di tutta l’operazione».
SIMULAZIONE 2
DAL FONDO PENSIONE ALLA BUSTA PAGA QUANTO CI PERDE IL LAVORATORE
Fonte: Fondazione studi consulenti del lavoro
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Un altro punto controverso è quello della rivalutazione. Il Tfr lasciato in azienda aumenta di valore (dell’1,5 per cento più lo 0,75% annuo dell’indice di inflazione), mentre quello ritirato in busta paga no, a meno che il lavoratore non lo investa in qualcos'altro. Anche su questo punto le cose dovrebbero però cambiare. Nella bozza della legge di Stabilità è previsto che la rivalutazione del Tfr lasciato in azienda, oggi tassata all'11 per cento, dall'anno prossimo venga sforbiciata del 17 per cento. Insomma, lo Stato si prenderà una fetta più grande delle liquidazioni lasciate in azienda. E lo stesso meccanismo verrà adottato nei confronti di chi ha scelto di destinare la propria liquidazione ad un fondo di previdenza complementare: la tassazione sui rendimenti dei fondi pensione passerà infatti dall'11,5 al 20 per cento. Cosa cambia in sostanza per i lavoratori? I rendimenti dei fondi pensione privati sono stati mediamente più alti di quelli ottenuti da chi ha deciso di lasciare il Tfr in azienda. Secondo l'Assofondipensioni, l'associazione che rappresenta i fondi pensione negoziali, dal 2008 al 2013 il rendimento medio lordo dei fondi è stato del 3,2 per cento, mentre la rivalutazione aziendale del Tfr si è attestata sul 2,6 per cento. Cosa succederà adesso che il governo vuole portare la tassazione sui rendimenti dei fondi pensione dall'11,5 al 20 per cento? Michele Tronconi, presidente di Assofondipensione, stima che «su un lasso di tempo di 30 anni, immaginando un rendimento medio annuo del fondo pari al 4 per cento, la cifra che il lavoratore potrà incassare alla fine sarà inferiore del 6 per cento rispetto a quella che incasserebbe oggi: quindi, considerando che anche i rendimenti del Tfr lasciato in azienda aumenteranno (dall'11 al 17 per cento), il fondo pensione risulterà ancora la soluzione mediamente più conveniente». Un'opinione condivisa anche da anche Enzo Di Fusco, direttore scientifico della Fondazione studi consulenti del lavoro: «Le modifiche di tassazione, seppur penalizzino maggiormente il Tfr versato ai fondi piuttosto che quello lasciato in azienda, non comportano cambiamenti rilevanti: per il Fisco sono cifre significative, ma per il singolo individuo la differenza rispetto a oggi è di pochi euro».
Le nuove misure sul Tfr in busta paga non dovrebbero dunque cambiare di molto le cose per i lavoratori, visto che le tasse verranno aumentate sia per chi lo lascia in azienda sia per chi lo mette in un fondo. Quelli che invece vorranno incassare mese per mese la liquidazione di un tempo, lo potranno fare, ma nella maggior parte dei casi ci perderanno qualcosa. L'unico a guadagnarci, grazie agli aumenti fiscali, sarà lo Stato. Quanto? Tra gli addetti al settore circola un numero: 700 milioni di euro. Contattato da “l'Espresso”, il ministero dell'Economia non ha confermato la cifra.