L'attenzione dei social network sull'epidemia sta scemando. Mentre la febbre emorragica continua a diffondersi, il numero dei tweet precipita. Perché gli umori del sentiment non sono la realtà

L'ebola non è più virale. Purtroppo, solo su Twitter. A cavallo tra ottobre e novembre, l'attenzione dei social network sull'epidemia da febbre emorragica sta scemando. Il 9 ottobre, quando l'infermiera spagnola Teresa Romero sembrava dovesse essere la prima morta su suolo europeo, i tweet hanno sfondato quota 1,5 milioni.

Teresa resta uno dei cinque casi accertati in Occidente, tra Spagna e Stati Uniti. Ma non rimpolpa la lista delle vittime. Teresa sopravvive e i tweet iniziano a calare. Il 17 ottobre sono meno di 800 mila. Il 31 ottobre, secondo i dati di Topsy.com, poco più di 200 mila. E il 7 novembre meno di un decimo rispetto al nostro punto di partenza.



Se il virus procedesse come i tweet, dovremmo fare i salti di gioia. Peccato non sia così. Peccato che il tanto citato “sentiment” abbia poco o nulla in comune con la realtà epidemica. Il numero degli infetti continua a salire. La flessione della curva rossa, che include sia i casi accertati che quelli sospetti secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, non tragga in inganno. Lo sottolinea la stessa Oms: il lieve calo registrato tra il 31 ottobre e il 7 novembre è dovuto soprattutto all'esclusione dalla lista di casi sospetti, rivelatisi negativi, in Guinea.

Secondo l'agenzia WatkinsMedia, che ha analizzato i cinguettii italiani sull'ebola dal primo gennaio all’8 ottobre 2014, “Twitter, a differenza di Facebook, poggia su una rete sociale incentrata su temi e contenuti”. Cioè sulla circolazione di notizie. Ma neppure questa caratteristica contribuisce a rendere il sito di microblogging più attendibile. “Twitter – scrivono gli autori dello studio - è una sorta di simulacro della pubblica opinione”. Che non offre il quadro del problema, ma solo un'immagine della sua percezione. I due grafici non hanno alcuna velleità scientifica. Il virus, a differenza della viralità del web, non si ferma da un giorno all'altro. E un retweet non è un contagio. Ma restano i numeri e le curve.

Quella della malattia è sempre lì. Quella dell'attenzione sta pericolosamente scendendo.

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