Addio possesso, benvenuto accesso libero e senza limiti. Una connessione, la voglia di condividere e risparmiare, un servizio con molti utenti e pochi costi e il gioco è fatto.
Per voglia di sentirsi comunità, per rispondere in maniera intelligente alle risorse limitate, ecco che la sharing economy applicata alla realtà diventa contagiosa. Le idee e le imprese si moltiplicano: sono 250 le piattaforme collaborative on line secondo una ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Non c’é settore escluso da questa rivoluzione: turismo, trasporti, abitare (il boom di Airbnb con oltre 500 mila annunci nel mondo) e poi esperienze di autoproduzione, scambio di denaro, network di condominio e quartiere, forme di baratto tra privati e fabbricazione digitale.
Dal 2011 a oggi i numeri sono più che triplicati. Dalla mobilità con l’invasione dei servizi di carsharing per chi non vuole più un'auto di proprietà, fino alla badante e le pulizie di condominio. Dalla casa intelligente con i servizi multipli fino al ristorante fatto in casa, questi sono gli anni del vivere secondo la filosofia della sharing life: essere (o usare) un servizio è meglio di avere.
CONDOMINIO SOCIAL CLUB
In questa nouvelle vague anche i condomini tornano ad essere il centro della vita di quartiere. Non solo un luogo dell’abitare ma anche dello scambio. Lo stabile virtuoso, dove si uniscono le forze per offrire servizi e opportunità per tutti gli inquilini: dalla babysitter, infermiera e badante per più famiglie, ai gruppi di appassionati di coltivazioni domestiche, fino alle biblioteche fatte in casa.
«Il desiderio di comunità c’è ed evidente così come lo scambio, la flessibilità e la temporaneità. Sono quanto mai attuali nella nostra società», ragiona Rossana Galdini, docente di sociologia dell’abitare dell’Università Sapienza di Roma: «Lo sharing però è effettivamente sentito da molti ma praticato da pochi, perché mancano le strutture pubbliche adeguate e la mentalità giusta. I condomini solidali e virtuosi sono esperienze che funzionano, anche se finora delle eccezioni».
Lo spirito (italico) è sempre lo stesso: l’unione fa la forza. Così è nata l’idea della badante e babysitter di palazzo. Previste dal nuovo contratto nazionale dei portieri, assistono anziani e bambini di uno stesso stabile. E possono essere assunte con regolare contratto, pagandole con le quote versate dai singoli inquilini che scelgono i loro servizi.
Un po’ come succede per i portieri. Inizialmente è nata in maniera informale, con il passaparola, uno dei canali principali per trovare chi si prende cura di anziani e bambini, per la comodità di passare velocemente da un pianerottolo all’altro e le referenze del vicino di casa.
L’idea ha preso piede e la ex consulente aziendale Elisabetta Favale ne ha fatto un sito e un lavoro con SpazioCuore.it. Online la domanda e l’offerta di tate e assistenti per disabili e anziani si incontrano.
Il grosso delle richieste è per l’assistenza degli over 70. Così con lo stesso format anche l’associazione Confabitare ha unificato i servizi e messo a punto un nuovo modello di condominio solidale. Alle badanti e babysitter ha aggiunto l’infermiera di palazzo on demand, per venire incontro ai bisogni di assistenza della fascia più vecchia dei vicini di casa.
La formula è semplice: un solo professionista che suddivide le ore di lavoro tra più famiglie, abbattendo i costi delle prestazioni e ottimizzando i tempi per gli spostamenti. In un sol colpo decine di visite. Si prenota un appuntamento e l’infermiera arriva direttamente in appartamento per medicazioni semplici, prelievi, controllo della pressione, iniezioni ed educazione terapeutica. L’iniziativa è partita in 45 condomini di Bologna, allargandosi poi ad altre città.
LE PULIZIE 2.0
Non c’è limite alle offerte che possono nascere. L’idea alla base della start up lanciata da tre studenti della Bocconi è la signora delle pulizie su chiamata. Un tocco sullo smartphone per prenotare il servizio e casa lucida a meno di 10 euro l'ora. Con easyfeel.it l’utente si collega, prenota un operatore e riceve risposta entro 24 ore. Un tam tam che sbroglia la giungla di servizi in nero, con una “pulizia customizzata”, comprensiva di servizio di stiratura.
Il progetto è firmato da tre universitari con l'incubo delle pulizie: Daniel Amroch, Denny Nasato, Andrea Rocco. A pochi mesi dal lancio, il servizio ha incassato più di 170 prenotazioni, 60 operatori, introiti che viaggiano sui 1.000 euro e una visibilità in crescita. Non male, per uno spunto autofinanziato con un investimento da 25mila euro. «Il tutto nasce da un bisogno concreto: come studenti, stavamo pensando che ci serviva qualcuno per le pulizie. Ma è un ambiente che funziona sempre in nero e per passaparola, senza garanzie di qualità», spiega Andrea Rocco. Quando la necessità aguzza l’ingegno nasce la start up.
AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA
Non hanno insegne, si fanno pubblicità con il passaparola o nel web attraverso più o meno esplicite offerte. Si chiamano Guerrilla restaurant, locali clandestini, cucine aperte di case aperte. Più semplicemente, sono case private in cui i proprietari organizzano cene tra sconosciuti. Un movimento internazionale nato nelle sale da pranzo delle casette con giardino della periferia di New York.
Il concetto è elementare: io sono brava dietro ai fornelli, metto a disposizione le mie abilità culinarie, la mia casa e chi viene a mangiare da me lascia una donazione. Dietro a questa tendenza sono nate le piattaforme di social eating: sono tante e offrono ciascuna un servizio diverso. Da Gnammo a Ploonge, passando per Peoplecooks e Ceneromane.com.
C’è chi vuole guadagnare, chi promuovere i piatti tipici e chi attirare gli stranieri. Alcune community di social eating, invece, sono pensate espressamente per gli stranieri, come Newgusto, Bon Appetour, che consente anche di cucinare insieme ai padroni di casa. Tutto nasce via Web: il calendario delle cene rimbalza tra blog, siti e social network. Le regole sono poche: arrivare puntuali, non pretendere di essere serviti come al ristorante, essere tolleranti con il commensale seduto al proprio fianco, aver voglia di condividere.
Si prenota tramite mail e si riceve sempre per posta elettronica l'indirizzo a cui presentarsi e una postilla che recita “Byob“, che nel gergo delle cene underground significa “bring your own bottles“ ovvero portate una bottiglia di vino. Il contributo che i commensali lasciano ai padroni di casa varia in base al menù.
«La filosofia del social eating non è quella del ristorante che punta a massimizzare il numero dei coperti e a far alzare quanto prima i clienti per far posto a quelli in arrivo – spiegano Marco e Daria, organizzatori di Napoli -. Da noi si viene per passare una serata in compagnia e relax, aumentare la propria rete di contatti».
Nonsolofood.com è un’idea della milanese Lidia Forlivesi:«Fino al 2010 ho vissuto a New York e lì ho scoperto questo tipo di cene». Tornata in Italia, ha deciso di lanciare il suo progetto basato sulle sue passioni culinarie: la colazione della domenica e la burger night del giovedì.
La sua sala da pranzo accoglie fino a otto persone alla volta: single, coppie, gruppi di amici. Sconosciuti che si ritrovano a fare colazione (o a mangiare un panino) seduti a casa di una sconosciuta. E alla fine si lascia il contributo per la spesa, che ovviamente include anche il lavoro della cuoca. La rivoluzione dello sharing non si può fare a stomaco vuoto.