L'appuntamento nell'ateneo toscano con il fondatore di WikiLeaks, i giuristi Stefano Rodotà e Michele Ainis e il filosofo Remo Bodei. Per discutere dei diritti al tempo dei social network e dei rischi per la democrazia

«In questo momento qua fuori ci sono 6-8 agenti con il compito di controllarmi. Pensate che ogni giorno vengono spese 12 mila sterline per questo. La pressione nei confronti dell’ambasciata dell’Ecuador è fortissima, specie in seguito allo scoppio del caso Snowden». Comincia così l’atteso video collegamento tra Julian Assange e il polo Carmignani di Pisa, sede della tappa pisana dei Dialoghi dell'Espresso, per un dibattito tutto incentrato sull'etica al tempo dei nuovi mezzi di comunicazione e lo stato della democrazia, e a cui hanno presoparte anche i giuristi Stefano Rodotà, Michele Ainis e il filosofo Remo Bodei.

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«Julian Assange ha avuto il merito non tanto di pubblicare il materiale in suo possesso usando internet come una bacheca, ma di farlo chiedendo il supporto di giornalisti professionisti capaci di leggere, interpretare e di comprovarne l’attendibilità rendendo un servizio importante al pubblico». Spiega, introducendo il dibattito, il direttore dell’Espresso Bruno Manfellotto.
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I due anni spesi da Assange all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra (si trova lì dal giugno del 2012), sono tutti rintracciabili nella stanchezza del suo volto. «Qui la vita non è facile, anche le occasionali visite devono essere compatibili con ferree misure di sicurezza». Eppure, intervistato da Stefania Maurizi, che ha curato in questi anni le pubblicazioni dei leaks per l’Espresso, dalla sua bocca escono parole chiare, giudizi netti che restituiscono l’immagine di un uomo lucido e sempre meno disposto a smussare le proprie posizioni. Il caso Snowden, per la portata delle sue rivelazioni, sembra essere lo spartiacque che divide il prima e il dopo. Assange con orgoglio rivendica l’operato di Wikileaks: «Ad Hong Kong abbiamo aiutato Edward Snowden grazie al nostro sistema di informazione sicuro e grazie alla Russia e altri paesi che si sono adoperati per difendere la vita di questa importantissima gola profonda».

Assange nel rispondere alle prevedibili critiche di complicità con la Russia dichiara senza mezzi termini: «La Russia si è comportata in modo corretto. Perché non ha fatto altrettanto l’Unione europea? Di cosa ha paura?» e ancora «Perché l’Europa si è rifiutata di ospitare Snowden nonostante la retorica sui diritti umani?». Lo scandalo del Datagate e le rivelazioni sul programma di spionaggio Prism, sono un tassello cruciale per capire il mondo, e lo scopo di Wikileaks è quello di fermare la macchina spionistica messa in campo dagli Stati Uniti. «Siamo in un 'mare magnum' di spionaggio – continua Assange - che coinvolge tutte le nazioni. C'è un sistema informatico che controlla tutto il mondo, siamo di fronte a un totalitarismo assoluto, come gli Stati Uniti hanno dimostrato nel caso Nsa. Chi controlla la rete, controlla la società».

Le domande dal pubblico sono molte e, nonostante il tempo si esaurisca velocemente, il fondatore di Wikileaks ha la possibilità di rispondere ad uno studente che chiede cosa sia per lui la libertà: «Non ho la libertà di spostarmi, ma posso comunicare, promuovere campagne, diffondere idee. Del resto ho un lavoro che mi piace e questo mi fa sentire libero. Rifarei senza problemi tutto quello che ho fatto con Wikileaks, perché con il nostro attivismo abbiamo ottenuto risultati concreti. Ce la faremo a cambiare il mondo, sono molto fiducioso».

All’intervento di Julian Assange sono seguiti i costituzionalisti Stefano Rodotà e Michele Ainis e il filosofo Remo Bodei che, rispondendo alle domande di Alessandro Gilioli, caporedattore dell'Espersso. hanno tentato di offrire una cornice giuridica ed etica per affrontare le sfide poste dai sistemi di spionaggio ai diritti delle persone.

È Remo Bodei il primo ad intervenire partendo dalla constatazione che «gli stati hanno il diritto di difendersi da attacchi esterni, non di poter spiare indiscriminatamente» mostrando come il confine tra privacy e sicurezza si riveli spesso un falso limite laddove «la capacità di far passare il potere di controllo per un problema di sicurezza, mette il cittadino in condizione di asservimento».

Stefano Rodotà, già garante della privacy, ha spiegato come «il corpo ‘virtuale’ o ‘digitale’, cioè quello effettivamente conosciuto, schedato, spiato attraverso questi sistemi, è importante quanto e a volte più del corpo fisico e deve essere posto nelle condizioni di essere tutelato dall’invasività delle tecnologie». Un’affermazione che non lascia spazio a pessimismi tanto che, passando in rassegna le rivelazioni degli ultimi 40 anni, il costituzionalista spiega: «Dai Pentagon Papers, fino a raggiungere i casi Assange e Snowden, si può dire che ogni volta la reazione è stata quella di tentare nuove strade per ri-democratizzare questi ambiti, come avviene oggi in Brasile, tanto che la presidente Dilma Roussef se ne è fatta portavoce in sede Onu».

A rendere complessa una regolamentazione del mondo virtuale concorre la profonda trasformazione di alcuni concetti acquisiti come il diritto all’anonimato e il diritto all’oblio, o ancora la distinzione tra figura pubblica e privata cancellata da strumenti come Facebook. In questo quadro si inserisce la riflessione di Michele Ainis, che si cimenta nel tentativo di elencare una serie di nemici della privacy tra i quali: «Noi stessi, perché per esigere un diritto è necessaria la volontà di sostenerlo, un sentimento di adesione che in realtà non esiste se ognuno di noi, attraverso i nuovi strumenti tecnologic,i è in condizione di rendere pubblici documenti, foto e altro».

ha collaborato Luca Parenti