Uno dei leader delle proteste del 2013, Davide Mannarà, è stato arrestato per spaccio di droga. Non è il solo rivoluzionario anti-tasse ad essere finito nei guai. Tra desaparecidos, spogliarellisti, antisemitismo e candidature alle elezioni, ecco chi resta
Che avesse dei guai era noto. Già nel dicembre del 2013, mentre guidava la protesta dei Forconi liguri sotto la prefettura di Savona, si era trovato a rispondere a un inviato della Rai sulla sua condanna in primo grado per traffico internazionale di stupefacenti e riciclaggio di denaro. Davanti alle telecamere del Tg regionaleDavide Mannarà, 35 anni, non aveva però fatto una piega: «Sono ancora in fase di giudizio», aveva risposto: «E poi noi siamo un movimento del popolo e nel popolo ci sono pregiudicati, non pregiudicati, gente comune, imprenditori, lavoratori lasciati a casa... ci siamo tutti». Ora che quel “tutti”, ovvero il movimento di piccoli artigiani, agricoltori, autotrasportatori e disoccupati riuniti sotto il simbolo dei “Forconi”, è scomparso dalla ribalta mediatica, anche per Mannarà sono tornati i guai: il 28 agosto è stato arrestato per spaccio di droga. Il pasionario che col megafono arringava i ribelli sotto le prefetture della Liguria sarebbe stato coinvolto in un canale di rifornimento di cocaina sull'asse Valencia-Savona.
Ma quello di Mannarà non è l’unico caso di un esponente del variegato movimento a finire dietro le sbarre. Ad aprile a essere arrestato era stato il leader veneto dei Forconi, l’imprenditore Lucio Chiavegato, reso celebre dalle sue numerose ospitate tv. Coinvolto nell’inchiesta della Procura di Brescia per una presunta organizzazione armata che progettava la secessione del Veneto, è finito in carcere insieme a Patrizia Badii, un'ex imprenditrice in crisi con un passato da ballerina di rock'n roll acrobatico, anche lei militante indipendentista e uno dei volti femminili più noti delle proteste forconiane, complice anche la sua presenza fra le poltrone delle trasmissioni su La 7.
Chiavegato, come gli altri arrestati, è rimasto in carcere un paio di settimane. E una volta tornato in libertà ha abbandonato il tricolore tanto caro ai Forconi (nati meridionali) per tornare a sventolare il vessillo di San Marco, con un nuovo progetto indipendentista. Ha lasciato così la presidenza di Life (Liberi imprenditori federalisti europei), sigla di tanti dei cortei e proteste che avrebbero dovuto bloccare l'Italia nel 2013, e dopo essere passato per il Fronte Marco Polo,il Partito Nord-Est, il Partito nasional veneto e Veneto Stato, ha fondato il suo movimento: "Chiavegato per l'indipendenza". L'obiettivo è sempre lo stesso: essere eletto in Regione e arrivare pacificamente alla secessione di Venezia. Per chi è interessato alla battaglia c’è un canale su youtube, mentre sul suo sito nuovo fiammante sono aperte le iscrizioni (la tessera costa 10 euro) per aderire al partito. Chi invece non vuole spendere soldi può partecipare a sondaggi sul futuro della regione. Come quello dedicato a decidere se, dopo l’indipendenza, sarà meglio battere moneta o tenere l’euro. Un quesito finito 67 a 33 a favore della sovranità monetaria. Al quale però hanno partecipato solo in tre.
Non è escluso che con le regionali del prossimo anno, molti seguano l’esempio di Chiavegato e decidano di candidarsi. Nonostante si dicano contro i politici, tutti i leader Forconi hanno sempre tentato la via elettorale.
Danilo Calvani, l'imprenditore agricolo dalle alterne fortune ricordato per essersi presentato in piazza con una Jaguar fiammante, alle comunali di Latina del 2011 raccolse qualche centinaio di voti; alle elezioni politiche il presidente del movimento in Sicilia, Martino Morsello, si era candidato con Forza nuova; il leader siciliano, Mariano Ferro, alle regionali del 2012 si era candidato con “Il popolo dei Forconi”, prendendo l'1,37 per cento dei voti. Lo stesso Ferro, quando si era vociferato di una lista alle europee, aveva minacciato un esposto contro l’uso improprio del marchio. Nemmeno le proteste di piazza dei mesi scorsi sembrano però aver giovato granché agli uomini del Forcone: Monselice, 18 mila abitanti in provincia di Padova, era uno dei centri nevralgici degli imprenditori ribelli; eppure alle elezioni per il sindaco, a maggio, la lista civica “C9D Forconi” ha raccolto appena 67 voti, pari allo 0,65 per cento. Un po’ poco per fare la rivoluzione.
Gli scricchiolii, per la forza che sperava di riunire, da Nord a Sud, gli artigiani colpiti dalla crisi e dalla burocrazia, si erano sentiti poco dopo il momento d'oro dei tafferugli e degli inviti in prima serata in Tv.
Già alla fine di dicembre uno degli ultimi sit-in ufficiali indetti da Danilo Calvani era riuscito a raggruppare meno di tremila persone. E il mese successivo solo in poche decine avevano aderito all'invito del leader di barricarsi in chiesa per ottenere asilo politico dal Vaticano. Così, mentre Mariano Ferro cerca tutt'ora di tenere stretta l'identità del “vero” movimento dei Forconi, quello col simbolo registrato e la storia più lunga di proteste e cortei, in Sicilia, le altre sigle si sono perse in rivoli dai contorni sempre più disparati. Il “Movimento forza d'urto”, ad esempio, che nei suoi picchetti impediva ai partiti, di destra come di sinistra, di mostrare le bandiere, ha deciso di sciogliersi già nel marzo del 2013. Sul sito web di “Dignità Sociale”, dove campeggiano le foto dei comizi di Calvani, non ci sono più aggiornamenti dal 2013.
A non fermarsi invece è “l'Onda Calabra – movimento per la legalità”, fondato a Cosenza da Salvatore Brosal e Roberto Corsi. Corsi era finito su tutti i giornali nel settembre del 2013, quando la deputata 5 stelle Giulia Sarti aveva dato il suo supporto alla lotta del commerciante calabrese, scrivendo: “Siamo tutti Roberto Corsi”. La lotta di Corsi consisteva nel non pagare più le tasse, considerate ingiuste e vessatorie. Un gesto forte che in una riunione nazionale dei Forconi, dove era salito sul palco con Ferro e Calvani, gli era valso una standing ovation planetaria. Ora però Corsi è impegnato anche su altri fronti. Sulla sua pagina Facebook personale ad esempio, a luglio, se la prende col Vescovo di Oppido Mamertino: non per la processione inchinatasi a favore del boss, quanto per aver ceduto “alle pressioni” del dibattito nazionale: «Il Vescovo sospende le processioni dopo lo scandalo dell'inchino a Oppido Mamertino», scrive sul suo diario a luglio: «non è una vittoria caro Vescovo ma una sconfitta, ecco come evitare delle polemiche inutili e non rinunciare alla nostra cultura alle nostre tradizioni».
Su Onda Calabra le priorità sono altre ancora. In un post del 28 agosto, sotto una foto di George Soros, definito “affamatore di popoli, ebreo”, gli ex Forconi condividono: «Fino a quando vi porranno davanti agli occhi l'icona di Anna Frank, fino a quando col megafono a mille spareranno le infamità di Primo Levi, non verrà mai a galla la vera faccia del giudeo sionista imperialista, nemico dell'umanità intera».
Se questi sono i destini collettivi, anche per quelli personali le traiettorie dei Forconi sono state le più varie. Gaetano Ferrieri, che per 21 mesi aveva presidiato piazza Montecitorio protestando contro la casta e chiedendo adesioni alla sua lotta via paypal, continua a tenere aperta la sua società di servizi commerciali. Il primo impegno però resta politico: ad agosto con altri militanti si è mosso per Venezia sventolando la bandiera della Serenissima e protestando contro l'accoglienza dei migranti: «Profugo italiano senza diritti», il suo cartello.
Continua sporadicamente ad apparire sulla scena, cavalcando la stessa rabbia, anche Davide Fabbri, lo spogliarellista passato per l’Isola dei famosi 8 (“Vikingo”) e nostalgico del Duce. Dopo aver guidato ad aprile a Bologna l’ennesimo corteo flop del movimento come portavoce cittadino, anche lui sembra essere stato investito dal cono d’ombra. Salvo uscirne la settimana scorsa con una azione contro l’immigrazione: la consegna di un finto avviso di garanzia ad Angelino Alfano recapitato alla Prefettura di Venezia, per invitare il ministro a osservare “la più scrupolosa vigilanza sulle coste e il ripristino delle frontiere nazionali”. “Sarai processato se di ebola morirà un italiano”, recitava uno dei cartelli. Peccato che Fabbri, che si definisce pronipote di Mussolini (la bisnonna era sorella di Donna Rachele) abbia dato vita all’iniziativa sotto l’etichetta di “Comitato di liberazione nazionale”. Proprio come l’organo politico-militare della Resistenza al nazifascismo. “Siamo apolitici e apartitici” ha rivendicato il gruppo. O forse è solo confusione.