Opinioni
17 agosto, 2025Si fanno i conti con bizzarri divieti e con il portafoglio alleggerito prima di stendere l’asciugamano
C’era una volta il boom economico degli anni Sessanta che consentì a molti italiani di migliorare la qualità della loro vita: avere una casa più bella, magari comprandola con un mutuo, acquistare un’utilitaria Fiat, mandare i figli all’università e l’estate andare in vacanza anche per periodi più o meno lunghi, per settimane. La meta preferita era quasi sempre il mare.
Per molti quel sogno da un po’ di tempo è svanito e, per quanto riguarda le vacanze, le varie crisi economiche, il mancato adeguamento dei salari al costo della vita e i sopravvenuti aumenti dei prezzi, le hanno progressivamente ridotte fino a pochi giorni. A peggiorare le cose quest’anno c’è pure il caro ombrellone. In Italia, andare in vacanza non è mai stato soltanto un fatto di svago. Si è parlato spesso di rito collettivo, quasi un pezzo di identità nazionale. Ebbene, quella del 2025 rischia però di essere ricordata come l’estate in cui abbiamo scoperto che il diritto alle vacanze non è più garantito. Che il mare è lì, a pochi chilometri, ma sempre più lontano per chi non può permettersi di pagare tariffe ogni anno più salate. Che il turista si debba districare tra prezzi proibitivi lievitati in nome della sostenibilità e della qualità e l’overtourism generato dai viaggi low cost.
Agosto, mese delle ferie per antonomasia, concentra milioni di italiani nello stesso imbuto: treni pieni, autostrade roventi, spiagge affollate. Ma oggi chi riesce a partire si ritrova con il portafoglio alleggerito ben prima di stendere l’asciugamano. In cambio, riceve talvolta la riprovazione di chi, dalle colonne dei giornali o dal pulpito delle ordinanze comunali, denuncia il fenomeno dell’overtourism.
Il mare, per legge, è un bene comune. Ma da decenni lo abbiamo recintato con concessioni in deroga, stabilimenti, servizi obbligatori. In molte regioni chilometri di costa sono ormai privati della loro natura pubblica: restano strisce di sabbia libera, spesso scomode o irraggiungibili, mentre l’accesso “vero” passa dal pagamento di un lettino e un ombrellone. E non basta pagare: in certi lidi si arriva al paradosso di vietare il pranzo portato da casa, costringendo ad acquistare quello proposto dallo stabilimento. Addio alla lasagna o alla parmigiana fatta in casa, per la gioia di nonni e nipotini.
Per molti, però, il problema non si pone nemmeno: un italiano su quattro rimane a casa. La “staycation” è il termine inglese che rivela un dato crudo: il 25% non parte per ragioni economiche. Infine un altro dato preoccupa gli addetti ai lavori: in diverse località le presenze sulle spiagge sono crollate, se paragonate alle scorse stagioni. Gli imprenditori balneari si chiedono se la cura contro l’overtourism — prezzi a tre cifre per una cabina, costi gonfiati per scoraggiare le masse — non abbia prodotto il suo opposto: una sorta di undertourism che lascia ombrelloni chiusi e lidi vuoti.
Il racconto dello scrittore Diego De Silva, con cui apriamo l’edizione di Ferragosto de L’Espresso, ci restituisce la misura di questa stagione: un’estate sospesa tra desiderio e rinuncia, dove il rito della vacanza si piega alle regole del mercato. Ma il diritto a un po’ di mare, di tempo libero e di respiro non dovrebbe essere materia di ordinanze né di esclusioni. È o dovrebbe essere parte della nostra cittadinanza.
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